Il Worldwatch Institute ha compiuto 30 anni e, per l’occasione, ha recentemente pubblicato il rapporto 2004. L’edizione del “Trentennale del rapporto sulle condizioni del pianeta”, un testo di riferimento che ogni anno disegna il profilo delle emergenze relative allo sviluppo e alla sostenibilità, guarda caso è interamente dedicato al tema dei consumi, e porta un titolo significativo: The Consumer Society. Ci fa piacere: tutti i nodi incominciano a venire al pettine.
L’edizione 2004 analizza le nostre modalità di consumo, le motivazioni dei nostri consumi e i riflessi che le nostre scelte di consumo hanno sullo stato del pianeta e sulla qualità di vita delle persone. Una serie di capitoli specifici sono stati dedicati al cibo, all’acqua, alle energie, alle politiche del consumo e, anche, a una ridefinizione del concetto di benessere.
La domanda di partenza è la seguente: è possibile un mondo caratterizzato da livelli di consumo nettamente inferiori a quelli attuali? La risposta in questo senso è molto chiara: non solo è possibile, ma è anche necessario per la sopravvivenza di molte specie sulla terra, compresa la nostra.
Il testo ci ricorda come il pianeta sia spaccato in due. Da una parte la società dei consumi che comprende poco meno di 2 miliardi di abitanti che consumano ogni giorno una enorme quantità di risorse, intaccando le riserve energetiche mondiali, i bacini acquiferi, le riserve ittiche degli oceani, creando al tempo stesso generazioni con tassi sempre maggiori di obesi e di depressi. Dall’altra parte ci sono circa 3 miliardi di persone al di sotto della soglia di povertà, gravate da fame, precarietà abitativa, malattie.
La società del consumo ha speso, nel 2000, 20 trilioni di dollari in servizi e beni privati: il quadruplo rispetto al 1960. Nel rapporto si legge che ricchezza e consumismo non sono affatto proporzionali alla felicità, e si stima nella quota di 13mila dollari la soglia oltre la quale la felicità non cresce più anche se la ricchezza aumenta. La maggior parte dei beni prodotti sono superflui e distruggono il pianeta. Basti pensare che nel Paese più consumistico di tutti, gli Usa — che rappresentano appena il 4,5 della popolazione mondiale ma il 25% delle emissioni di biossido di carbonio — ci sono più automobili che individui con la patente (un quarto di tutte le automobili del pianeta sono negli States). Ma i record americani sono anche altri: 30 miliardi di dollari spesi ogni anno in giocattoli; 48 nuovi capi a testa di vestiario, 478 milioni di t-shirts, 23 milioni di nuovi computer e 40mila chili di caviale acquistati negli ultimi 12 mesi, mentre 100 miliardi di sacchetti di plastica venivano buttati via. Il primato più controverso riguarda forse i 30 miliardi di litri d’acqua usata ogni giorno in Usa per irrigare i prati.
È significativo che questa sia la prima edizione monotematica in trent’anni, scelta che, se ce ne fosse ancora bisogno, identifica nei consumi la chiave di volta dell’intero sistema globale, attraverso la quale possiamo ancora scegliere tra la catastrofe ecologica, sociale e psicologica del pianeta, e un nuovo piano globale dei consumi e degli stili di vita che restituisca dignità e futuro alle persone così come all’ecosistema.
La ricetta esiste ed è già stata adottata da paesi come il Giappone (nucleare a parte), la Norvegia, la Danimarca, dove secondo il rapporto, il tenore di vita è tra i più alti del pianeta, nonostante la politica verde dei rispettivi governi. Significa consumi collettivi, sviluppo delle economie basate sulla reciprocità, riutilizzo, allungamento della vita media di un prodotto, riparazioni, forte disincentivo della mobilità motorizzata e incentivo dell’uso della bicicletta come mezzo di trasporto metropolitano, ma anche politiche fiscali che penalizzino i prodotti che viaggiano da una parte all’altra del pianeta, ecotasse e un nuovo modello di impresa più legato alle sue responsabilità sociali e ambientali.
Ma, esattamente in sintonia con i principi che ispirano tutte le iniziative di consumo critico, il rapporto ci ricorda che un ruolo cruciale spetta anche ai singoli: «milioni di consumatori, possono, tutti insieme, decidere come sarà il futuro del pianeta Terra, dall’acqua all’alimentazione, dall’energia alle foreste e all’inquinamento». E, aggiungiamo noi: dalla libertà di informazione alla democrazia.