I GRANDI DELLA STORIA


- a cura del CENTRO STUDI arya -


Ogni essere umano alberga in sé un insieme di elementi psicologici che possono aiutare o al contrario ostacolare il progresso di se stessi e della sfera (piccola o grande) del loro ambiente circostante.
Talvolta, addirittura, avviene che alcuni esseri umani — generalmente capaci di ospitare un qualche potere di una certa rilevanza — divengano strumenti di forze luminose o di forze oscure. Può anche avvenire (seppure assai di rado) che alcune entità di piani di coscienza soprafisici decidano di scendere, in modo pieno o parziale, nello strumento umano. E questi si trasforma in un essere umano di grande forza carismatica che, a seconda dei casi, manifesta caratteristiche divine o demoniache, spargendo intorno a sé semi luminosi o disastrosi.
Se analizziamo la storia, gli esempi dell’una e dell’altra schiera esistono in misura abbastanza significativa. Ma notiamo, anzitutto, che i personaggi che gli storici considerano discutibili, non necessariamente sono esseri posseduti da forze malefiche — il più delle volte si tratta di uomini giunti al potere in un’epoca in cui la violenza era una scelta obbligata e questi non seppero fare di meglio che adeguarsi a quelle brutali regole del gioco. È perciò alquanto difficile individuare con sicurezza personalità di chiaro stampo demoniaco — ma anche personalità dai tratti divini — senza una adeguata percezione interiore, la sola che sappia vedere per davvero.
Vorremmo comunque indicare qui alcuni fra i casi più evidenti della storia, preoccupandoci di selezionare esclusivamente quei personaggi sui quali non esistano dubbi circa la loro effettiva esistenza sulla terra.

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Seguendo un ordine cronologico, incominciamo da una delle figure in assoluto più luminose che abbiano calcato questo pianeta. Seppure sia ancora piuttosto controversa la datazione esatta del periodo in cui trascorse la sua esistenza terrestre, inoppugnabili sono le testimonianze storiche circa l’effettiva esistenza di Siddharta Gautama, detto il Buddha, vissuto in un’epoca non posteriore al 500 a.C. Si tratta certamente di una delle personalità più elevate che abbia vissuto sulla terra, illuminando il mondo con la sua compassione, la sua acutezza intellettuale, la sua forza persuasiva, il suo amore. Il suo esempio diretto, ancor prima delle sue parole, ha contagiato migliaia di persone mentre era ancora in vita, e diversi milioni dopo la sua dipartita.
Nato nell’India settentrionale, figlio di un re, il principe Siddharta lasciò verso i trent’anni la reggia paterna, con la risoluzione di trovare un rimedio alla sofferenza umana. Dopo alcuni anni di ricerca introspettiva, raggiunse il cosiddetto “Nirvana”, uno stato purissimo di coscienza non soggetto al dolore e al decadimento, un Permanente non sottoposto alla sfera del relativo, governata dal mutamento incessante. Per il resto della sua vita (diverse decadi, visto che superò gli ottant’anni) si preoccupò di trasmettere le proprie scoperte a quanti volessero raggiungere quella stessa liberazione. Il suo linguaggio, sempre contraddistinto da semplicità e immediatezza, gli permise di andare sempre al cuore del problema senza mai attardarsi in aridità speculative. Ma, come dicevamo, ancor più delle sue parole, fu la sua radiosa personalità, la sua esperienza di vita, il suo luminosissimo esempio ad attirare le folle di ogni strato sociale. Il suo insegnamento mirava, fra le altre cose, a un profondo rispetto per tutte le forme di vita — non soltanto nei confronti degli esseri umani di qualsivoglia angolo della terra, ma verso tutti gli esseri viventi.

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Altra figura di grande valenza positiva, seppure di tutt’altro genere, fu quella di Giulio Cesare Augusto (Caius Iulius Caesar). Politico romano, nato nel 102 a.C. e vissuto fino al 44, diede prova del suo valore militare e intellettuale fin da giovane, combattendo contro i pirati e studiando retorica. Nel 73 fu eletto pontefice, mentre nel 59 partì alla volta della Gallia, dove ottenne una serie di successi che portarono la sottomissione di numerose tribù galliche all’Impero Romano. Successivamente, assicurò stabilmente i confini sul Reno dalla minaccia dei popoli germanici. Traversato il colle della Manica, portò quindi le sue truppe in Britannia. Poi, per consolidare il potere dell’Impero Romano anche a Oriente, si recò in Africa dove, grazie all’appoggio di Cleopatra, ottenne condizioni favorevoli. Nel 48 rientrò a Roma e ottenne la dittatura militare e il consolato per cinque anni. A questo punto si recò in Giudea e in Siria dove sconfisse il re del Ponto. E, rientrato a Roma in trionfo, ottenne la dittatura per dieci anni. Ormai padrone assoluto di Roma, dittatore, tribuno, console, prefetto, pontefice massimo, Cesare realizzò una monarchia militare su modelli ellenistici; governò liberalmente e fu largo di iniziative a carattere sociale: creò delle colonie e diede le terre ai veterani, bonificò vaste aree terriere e promosse la riforma agraria a favore delle classi meno abbienti (attirandosi in tal modo l’odio dell’aristocrazia), riordinò le leggi romane, stroncò l’onnipotenza del senato, avviò una serie di riforme (anche civili, come quella del calendario) che diedero all’Impero una struttura stabile, destinata a durare per diversi secoli e a dominare gran parte del mondo allora conosciuto. Cesare fu anche un uomo di lettere, assai colto e raffinato, sempre attentissimo alle questioni letterarie e filosofiche; la sua produzione letteraria comprende opere di poesia e scritti in prosa. Pur se la sua fama di condottiero e di uomo politico è di gran lunga superiore a quella di scrittore, il suo stile è ammirevole e lo si può apprezzare nei testi a noi pervenuti; Cicerone lodò immensamente la sua prosa, mentre Tacito lo definì «sommo fra gli oratori». Nel 44 a.C. un gruppo di giovani aristocratici, spinti da diversi motivi (abbiamo accennato all’avversione attiratasi dalle classi aristocratiche), lo pugnalarono a morte. La sua opera, tuttavia, rimase nei secoli.

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Di opposta natura, anche se condivise in parte il nome di Cesare, fu un altro uomo di potere che visse a Roma (fra il 12 e il 41 d.C.), chiamato Gaio Giulio Cesare Germanico (Caius Iulius Caesar Germanicus), più noto con il soprannome di Caligola. Nel 37 assunse il titolo di imperatore. Megalomane e perverso, eccentrico e infatuato di sé, in pochi mesi dilapidò il patrimonio che il precedente imperatore (Tiberio) aveva accumulato nel corso di lunghi anni di attenta economia. Già da giovanissimo albergava nella sua natura depravazioni di vario tipo — un terreno fertile per le forze del disordine, ma nulla di particolarmente terrificante: purtroppo la storia ha conosciuto molti uomini di potere di questa fatta. Il vero punto di svolta — catastrofico — avvenne con una strana malattia: Caligola, già da alcuni anni imperatore, subì improvvisamente uno strano crollo fisico e mentale che per un mese intero lo lasciò sospeso fra la vita e la morte. Quando guarì e riprese le forze, chiamò amici e familiari attorno a sé e disse loro: «Non ero effettivamente malato: in realtà stavo rinascendo come dio». Di fatto, un essere asurico si impossessò di lui, facendogli credere di essere un dio e usandolo per seminare il terrore sulla terra. Da quel momento, la vita e il regno di Caligola mutarono drasticamente: divenne tirannico all’inverosimile, un tremendo e imprevedibile mostro di crudeltà, davvero disumano. Spietato, sadico, perverso, trasformò la legge in uno strumento di tortura e il suo regno in un vero e proprio inferno.

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Nella lista delle personalità demoniache non può mancare un papa. Ma i papi corrotti, nepotisti e pornocrati, macchiatisi di terribili violenze e di infamie d’ogni genere sono stati talmente tanti nel corso della storia che la scelta è davvero difficile. Il più noto di tutti è Bonifacio VIII (1230-1303), sul quale non v’è nulla da aggiungere; e tuttavia non fu il peggiore: altri ve ne furono, assai più oscuri e crudeli. Fra questi, per esempio, figura Giovanni XII; nato intorno al 938, a soli diciassette anni assurse al trono papale. La sua natura era dissoluta e corrotta, e trasformò immediatamente la sede papale in un bordello: radunò attorno a sé eunuchi, schiavi e prostitute scelte con somma cura, per compiere orge organizzate con metodica puntualità. Il suo stesso eloquio era volgare e peggiorò con il passare del tempo. Organizzò pranzi pantagruelici dove non scordava mai di brindare agli onori di Satana. Trascorse così la sua vita e il suo papato, finché un marito geloso non lo sorprese a letto con la moglie e lo scaraventò dalla finestra (nel 964). Ma, forse, il peggiore di tutti è stato Sisto IV (1414-1484), il papa che fu, tra le altre cose, l’istigatore di Torquemada, il terribile inquisitore spagnolo che mise a morte un numero impressionante di eretici (perlopiù luterani) e maomettani — in quasi quindici anni pronuncerà circa centomila condanne e farà bruciare vive più di sedicimila persone. Il suo papato è contrassegnato da guerre (da lui stesso dichiarate, ovviamente), commercio delle indulgenze, ricchezze ammassate grazie alla riscossione di una lauta provvigione sui proventi delle case di tolleranza e ai rincari sui prezzi dei generi alimentari, a danno della popolazione più povera.

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Pur essendo state per secoli represse sotto il pugno della forza bruta del maschio, le donne hanno saputo farsi anch’esse strumenti di luce o di oscurità. Vi sono alcuni personaggi storici femminili che si sono contraddistinti per avere espresso qualità divine e vogliamo citarne almeno un paio.
La prima è Giovanna d’Arco (Jannette). Vissuta in Francia fra il 1412 e il 1431, di famiglia contadina, ricevette fin da bambina (a partire dall’età di tredici anni, per sua stessa ammissione) una serie di voci e di apparizioni mistiche sconvolgenti (cui lei diede i nomi di San Michele, Santa Caterina d’Alessandria e Santa Margherita), nelle quali venne investita della missione di scacciare gli inglesi dalla Francia durante la guerra dei cent’anni. E, in effetti, cosa sbalorditiva per i suoi tempi, riuscì a guidare un’armata (vestita sempre rigorosamente in abiti maschili, armata da condottiero) e liberò Orléans dall’assedio inglese nel 1429, meritandosi il titolo di “Pulzella d’Orléans”; il popolo era infatti convinto che era lei quella Pulzella annunciata da una profezia popolare, destinata a salvare la Francia e a portarla fuori da un periodo oscuro di lunghe guerre e carestie; peraltro, le stesse Voci che lei riceveva la chiamavano «Giovanna la Pulzella, figlia di Dio». Inizialmente appoggiata dal delfino di Francia Carlo che, come lei stessa gli aveva predetto, divenne re Carlo VII (lei anzi conquistò le fortezze sulla strada di Reims in modo che Carlo potesse essere consacrato re), fu poi da questi abbandonata quando egli decise di avviare una serie di trattative con gli inglesi, ai quali anzi fu venduta. Processata — con svariate e gravi irregolarità — a un tribunale ecclesiastico (presieduto dal vescovo filoinglese Pièrre Cauchon, uomo ambizioso e infame, che ha sordidamente manovrato le testimonianze a carico della Pulzella), dopo essere stata torturata e vilipesa in vario modo venne condannata come «scomunicata ed eretica» e arsa viva il 30 maggio 1431. Pur non avendo ricevuto alcuna istruzione scolastica, nel corso dell’intero processo seppe rispondere con una arguzia e una logica sconcertanti, mostrando una intelligenza fuori del comune. Quando per esempio le venne chiesto se lei si considerava in stato di grazia, disse: «Se non lo sono, voglia Dio condurmi a questo stato, se lo sono voglia Dio conservarmi in questo stato. Sarei la più dolente degli esseri umani se fossi incapace di essere in grazia di Dio». Oppure quando Cauchon credette di aver finalmente trovato la strada per metterla in difficoltà con una serie di domande equivoche sulle sembianze degli angeli che le facevano visita e le chiese fra l’altro: «San Michele quando le appare è nudo?». E lei, con impareggiabile umorismo: «Pensate che Nostro Signore non sia in grado di fornirgli degli abiti?». Avendo Giovanna combattuto contro gli inglesi, l’accusatore le pone un’altra domanda-trabocchetto: «Dio detesta forse gli inglesi?». E Giovanna: «Non so nulla dell’amore e della pietà che Dio ha per gli inglesi, come non so ciò che farà delle loro anime: so soltanto che dovranno andarsene dalla Francia, ad eccezione di quanti vi sono morti». Citiamo ancora qualche sua risposta, conservata negli atti processuali — «Fate bene attenzione a Colui che voi dite essere il mio giudice, perché potreste addossarvi un impegno molto pesante e addossate a me un impegno altrettanto pesante». «Se foste bene informati su di me, dovreste sapere che tutto ciò che ho fatto l’ho fatto per rivelazione». «Da sette anni le Voci sono la mia direzione spirituale e non ho mai agito senza i loro consigli». Quelle voci che, fino all’ultimo, consoleranno e daranno la forza a Jannette di sopportare le torture e il rogo.

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Il glorioso Rinascimento italiano ha dato alla luce molti sublimi artisti, ma uno si distingue fra tutti per le sue qualità non solo artistiche e per il suo genio davvero universale: Leonardo da Vinci. Già il Vasari, suo contemporaneo, descrive la natura di Leonardo con espressioni non suscettibili a fraintendimento: «Grandissimi doni si veggono piovere dagli influssi celesti ne’ corpi umani naturalmente, e sopranaturali, talvolta, strabocchevolmente accozzarsi in un corpo solo bellezza, grazia e virtù, in una maniera, che dovunque si volge quel tale, ciascuna sua azzione è tanto divina, che lasciandosi dietro tutti gl’altri uomini, manifestamente si fa conoscere per cosa (come ella è) largita da Dio e non acquistata per arte umana. Questo lo videro gli uomini in Lionardo da Vinci, nel quale oltra la bellezza del corpo, non lodata mai a bastanza, era la grazia più che infinita in qualunque sua azzione; e tanta e sì fatta poi la virtù, che dovunque l’animo volse nelle cose difficili, con facilità le rendeva assolute. La forza in lui fu molta e congiunta con la destrezza, l’animo e ’l valore, sempre regio e magnanimo. E la fama del suo nome s’allargò, che non solo nel suo tempo fu tenuto in pregio, ma pervenne ancora molto più ne’ posteri dopo la morte sua. Veramente mirabile e celeste fu Lionardo» (da Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti). Da allora, molti hanno scritto di lui, additando la sua opera a qualcosa di «quasi miracoloso» (per riprendere il Solmi). Baudelaire gli consacrerà una delle sue più belle quartine nei Phares.
Nato a Vinci nel 1452, divenne in breve un ricercatore globale, investigando ogni campo della natura e della scienza. Pittore rivoluzionario, prosatore originale, fece confluire nella pittura i frutti di tutte le sue ricerche, secondo una concezione filosofica intesa non come speculazione fredda e astratta, ma come visione organica sotto la quale egli fece propria la molteplicità degli aspetti del reale. La sua opera di pittore non è vastissima (data l’enorme quantità di ricerche da lui condotte nei vari campi dello scibile), ma portatrice di una rivoluzione d’importanza almeno pari a quella di Giotto e di Masaccio. Si dedicò mirabilmente, fra le altre cose, a studi scientifici e a progetti di ingegneria, mostrando di essere sempre in notevole anticipo sui tempi, talvolta addirittura di qualche secolo (Freud disse di lui che «è come uno che si sveglia in anticipo, mentre tutti gli altri sono ancora addormentati»). Una delle discipline tecnico-scientifiche da lui più seguita fu la meccanica: vastissima è la sua produzione di disegni e progetti, dagli argani ai ponti girevoli, dalle macchine da guerra ai torni. Si interessò anche di idraulica (elaborò la teoria delle onde marine), di aerodinamica (giunse a progettare aliante, paracadute ed elicottero) e di nautica (progettò scafandri per palombari), di ottica, di architettura, di urbanistica, di linguistica, di botanica, di geologia, di musica (suonava piuttosto bene il liuto e si dedicò alla progettazione di nuovi strumenti musicali, oltre alla modifica di vecchi). Particolarmente importante il suo contributo alle scienze biologiche e naturali, soprattutto l’anatomia. Lasciò un enorme numero di quaderni, fitti di progetti e di studi, che dopo la sua morte, avvenuta nel 1519 (in Francia), vennero in gran parte dispersi, smembrati, estorti. Oltre alle sue opere pittoriche e scultoree, ci sono pervenuti in originale i seguenti testi (sparsi nei musei e nelle biblioteche di tutto il mondo): il Codice Atlantico (24 volumi), i Codici Forster (3 volumi), i Manoscritti dell’Institut de France (12 volumi), i Codici di Madrid (5 volumi), il Codice Arundel (2 volumi), il Codice Hammer (1 volume), il Codice Trivulziano (1 volume), il Codice sul volo degli uccelli (1 volume), il Trattato di architettura di Francesco di Giorgio Martini annotato da Leonardo (3 volumi), il Libro di pittura (1 volume), il Corpus degli studi anatomici (3 volumi), il volume di disegni di animali con titolo inglese (essendo conservato presso la Royal Library) Horses and other animals (1 volume), gli studi di botanica e di idraulica, titolato Landscapes, Plants and Water Studies (1 volume), oltre ad alcuni volumi di disegni sparsi fra le Gallerie dell’Accademia di Venezia, la Galleria degli Uffizi di Firenze, la Biblioteca Reale di Torino e la cosiddetta American Collection (Collezione americana). Ma, come si diceva, questo materiale rappresenta appena una piccola parte della totalità dei suoi scritti, irrimediabilmente perduti. Non è da escludere che molti, nei secoli a venire, si siano appropriati di sue invenzioni, brevettandole come proprie. Nietzche descrisse Leonardo come «l’artista più transeuropeo che l’Europa abbia mai prodotto». E il già citato Vasari, nella prima edizione delle Vite, scrive una frase su Leonardo che ometterà nelle edizioni successive: «faceva nell’animo suo un concetto sì eretico, ch’ei non si accostava a qualsivoglia religione, stimando per aventura assai più l’esser filosofico che cristiano».

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Altro fulgido esempio femminile è rappresentato da Caterina II di Russia, detta la Grande. Nata nel 1729, nel 1745 sposò il granduca Pietro, zerevic di Russia. Quando, nel 1762, scoppiò una rivolta che portò all’uccisione dello zar, Caterina divenne imperatrice (1769). Donna colta e intelligente, condivideva gli ideali di quei filosofi illuministi che portarono alla Rivoluzione francese. Dedicò tutte le sue energie a regnare con giustizia, concentrandosi innanzi tutto sul rinnovamento della legislazione russa, ispirandosi al pensiero di Montesquieu e di altri filosofi del tempo (venne soprannominata la Semiramide del Nord) — opera certo prematura per le condizioni della Russia ma portatrice di una benefica ventata di modernismo nella nazione. Fu lei ad avvicinare la Russia alle idee e al progresso occidentali, collocandosi fra i massimi artefici della potenza russa. Nel 1775 istituì dei governatori per reggere le diverse province russe, decentrando saggiamente il potere amministrativo. Promosse numerose attività culturali e scolastiche. E, dopo la Rivoluzione francese, tentò addirittura una serie di riforme che scossero pesantemente la nobiltà russa (anche se non riuscì fino in fondo nel suo disegno di affrancare i servi della gleba) e lo strapotere ecclesiastico (mediante la confisca dei beni della chiesa, attuata nel 1764). Con la sua politica estera conseguì notevoli ingrandimenti territoriali, in particolare verso la Polonia e la Turchia. Sognò pure, e tentò, di scacciare definitivamente dall’Europa l’impero ottomano e di conquistare Costantinopoli. Nelle vaste steppe conquistate nella Russia meridionale fece sorgere città che conobbero in breve un intenso sviluppo: Odessa, Sebastopoli, Nikolajev. Grande mecenate, alla sua corte furono accolti sapienti e filosofi di tutta Europa, con i quali lei amava intrattenere discussioni e corrispondenza. Lei stessa scrisse varie opere su differenti argomenti. Quando morì, nel 1796, la Russia era stata trasformata dalle sue mani in un potente impero liberale e moderno.

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Quando si pensa al personaggio moderno che più di tutti ha rappresentato un incubo per l’intera umanità, immancabilmente lo si associa con il nome di Adolf Hitler. Sarebbe perciò inutile soffermarsi troppo su di lui; sono ormai ben noti i crimini che perpetrò. Nato nel 1889 e suicidatosi nel 1945, nel corso del ventennio in cui governò la Germania, attuò un immane genocidio: fece uccidere milioni di ebrei e migliaia di comunisti, zingari, omosessuali e portatori di handicap mentali o fisici. Come se non bastasse, precipitò il mondo in una guerra che costò la vita a 40 milioni di uomini, donne e bambini, più della metà dei quali civili. Quel che si può aggiungere, fra gli aspetti meno conosciuti ma più inquietanti, è che le sue capacità di medium lo posero in contatto con entità nefaste — una, in particolare — guidandolo in tutto ciò che faceva. È ormai risaputa l’influenza assoluta che un certo pseudo-esoterismo (sconfinante con l’occultismo più becero) sempre ebbe su di lui e su tutti i maggiori gerarchi nazisti, ma non è ancora stato approfondito nei dettagli. Quando doveva prendere decisioni importanti, per esempio, era solito ritirarsi nel suo cottage in montagna per ricevere le indicazioni dall’Asura. Fu uno strumento cinico e spietato delle forze del disordine.

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Nel 1879 nacque nella Russia meridionale Iosif Vissarionovich Dzugashvili, meglio conosciuto con il soprannome di Stalin (“uomo d’acciaio”) che lui stesso si diede. La sua sfrenata ambizione lo portò fin da giovane a cercare la via più breve per raggiungere il potere. Partecipando alla rivoluzione d’ottobre che vide come veri protagonisti Lenin e Trotskij, al momento giusto riuscì a dipingersi come il vero istigatore della rivolta, al punto da fare del revisionismo storico il suo principale metodo per mantenere il potere: per migliorare la propria immagine, fece riscrivere i libri di storia, ordinò di alterare centinaia di documenti ufficiali e di effettuare parecchi fotomontaggi; per fare un esempio, si fece descrivere come il più caro amico di Lenin, facendo realizzare una falsa fotografia che li ritraeva insieme. Lenin, da parte sua, colpito da una serie di infarti e temendo che Stalin potesse approfittarne per prendere il potere, nel 1927 scrisse una lettera di diffida ma, fatalmente, fu colpito da emorragia cerebrale e morì prima che i suoi segretari potessero leggere il documento al Congresso del partito — lettera che Stalin, ovviamente, fece subito sparire. Così, nel 1929, dopo un paio d’anni di deportazioni e assassinî che permisero a Stalin di sbarazzarsi di qualunque ostacolo (compreso Trotskij), si assicurò il potere supremo della seconda nazione più ricca del mondo, mantenendolo per vent’anni e trasformando la Russia in un regno del terrore. Uccise più persone dello stesso Hitler ma, a differenza di quest’ultimo, visse comodamente fino al 1953, all’età di settantaquattro anni. E se Hitler era posseduto da forze demoniache, si può dire che Stalin era l’incarnazione stessa di una forza asurica. Una volta Stalin disse a una delle sue vittime: «Il massimo piacere è individuare il proprio nemico, preparare ogni cosa, consumare fino in fondo la vendetta e poi andare a dormire». Uno dei suoi divertimenti preferiti era farsi raccontare esattamente, nei minimi dettagli, come erano morti i suoi oppositori. Chiunque fosse sospettato della sia pur minima trasgressione, veniva mandato nei ‘campi di lavoro’, torturato o ucciso. Durante il suo regno persero la vita circa 20 milioni di cittadini russi, la maggior parte per inedia (i suoi piani quinquennali avevano ridotto la popolazione alla più tremenda povertà e schiavitù), gli altri furono uccisi per reati politici (il più delle volte inventati dallo stesso Stalin) o imprigionati nei terribili gulag.


Gli ultimi esempi che vorremmo proporre, per chiudere in bellezza, sono rappresentati da due Esseri ancora non adeguatamente conosciuti, un uomo e una donna, che vissero insieme e che si consideravano un unico Essere incarnatosi in due corpi: Mère (1878-1973) e Sri Aurobindo (1872-1950). Consigliamo vivamente, a quanti non conoscono queste due figure, di documentarsi adeguatamente. Non riteniamo opportuno parlarne qui, non appartenendo essi propriamente alla ‘storia’ né, tanto meno, al passato.

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Sri Aurobindo offre una precisazione interessante a proposito delle personalità divine; egli parte dal presupposto che tendenzialmente tali esseri sono la manifestazione più o meno completa di almeno uno dei quattro principali aspetti della grande Shakti (la Coscienza-Forza creatrice dell’universale realtà), ovvero la Saggezza (Maheshvari), la Forza (Mahakali), l’Armonia (Mahalakshmi) e la Perfezione (Mahasarasvati). Leonardo da Vinci, per esempio, ha manifestato primariamente l’aspetto Maeshvari, con Mahalakshmi fortemente presente. Napoleone Bonaparte ha invece manifestato soprattutto (sia pur in modo intermittente) l’aspetto Mahakali. Mentre Cesare Augusto pare averli assommati tutti e quattro, anche se in diseguale misura (l’aspetto preponderante in lui fu forse Mahasarasvati).
Inoltre, Sri Aurobindo precisa che tali vibhuti (manifestazioni di potere divino) possono esprimersi con differenti modalità: prevalentemente nella personalità (come nel caso di Shakespeare) oppure nell’azione (è il caso di Alessandro Magno); o, più raramente, in entrambi i dominî (è il caso di Leonardo da Vinci e, ancora una volta, di Giulio Cesare).
Ma, al di là di tali Vibhuti, o emanazioni, vi è infine la realtà dell’Avatara, la discesa piena (purna) o parziale (amsha) dell’Essere Divino stesso. È il caso del Buddha, di Krishna, di Gesù e, ai nostri tempi, degli stessi Mère e Sri Aurobindo.

Concludiamo questa rassegna con le parole che lo stesso Sri Aurobindo mette nella bocca di Iolao e di Perseo nel dramma lirico Perseo il liberatore (traduzione italiana di Tommaso Iorco con testo originale a fronte, pubblicato da aria nuova edizioni), che aprono ulteriori spiragli di riflessione.
Polidaone, prete intrigante dell’oscuro santuario del dio Poseidone, dopo essere diventato strumento di forze asuriche, crolla morto. Alle parole di Perseo è affidata la conclusione della scena:

PERSEO

Quest’uomo per alcune ore è stato
il recipiente di una Forza occulta
e smisurata che attraverso lui
ha compiuto inumani atti orribili:
ma la sua mente ristretta e oscura
e l’impuro suo cuore quella Forza
non hanno sopportato. In lui s’è volta
in pazzia e desiderî diabolici.
Perciò il Potere lo ha abbandonato
lasciando quell’incapace strumento
distrutto e tutta la forza è uscita
dal suo corpo. È meglio essere un uomo
comune in mezzo a uomini comuni
e vivere una vita assai mediocre
priva di aspirazione che chiamare
dentro di sé la forza d'un Titano
troppo grande e potente per le umane
strutture, che soltanto affligge il mondo
oppresso e sbigottito e poi annienta
lo strumento.

Luglio 2008