Con il termine “intelligenza artificiale” si intende generalmente l’abilità di un computer di svolgere, sia pur parzialmente, funzioni e ragionamenti tipici della mente umana.
L’intelligenza artificiale è una disciplina dibattuta tra scienziati e filosofi, la quale manifesta aspetti teorici e pratici. Nel suo aspetto puramente informatico, essa comprende la teoria e le tecniche per lo sviluppo di algoritmi che consentano ad alcuni computers di mostrare un’abilità o un’attività intelligente, per lo meno in domini specifici.
L’IA, come viene studiata attualmente, tratta dell’individuazione dei modelli (appropriata descrizione del problema da risolvere) e degli algoritmi (procedura effettiva per risolvere il modello).
L’espressione Intelligenza Artificiale (Artificial Intelligence) fu coniata nel 1956 dal matematico americano John McCarthy. E, a partire dalla seconda metà del XX secolo, è possibile disporre di dispositivi di calcolo e linguaggi di programmazione sufficientemente potenti da permettere sperimentazioni sull’intelligenza artificiale. La vera svolta in tale direzione avviene negli anni Sessanta, con lo sviluppo di alcuni programmi che superano il cosiddetto “test di Turing” (una serie di verifiche che la macchina deve superare per essere considerata intelligente). Fra i primi programmi di IA elaborati, figura quello capace di giocare a Dama, dimostrando così la possibilità di superare i limiti tecnici per realizzare sistemi capaci di risolvere problemi tradizionalmente legati all’intelligenza umana. Per di più, l’abilità di gioco venne appresa dal programma scontrandosi con avversari umani.
Proseguendo su queste premesse, ci si è accorti che un computer, essendo ‘isolato’ dal mondo (o, al massimo, collegato tramite una rete informatica, in grado di trasmettergli solo informazioni provenienti da altri computer, proprio come il web) può raggiungere una intelligenza artificiale solo mediante la realizzazione di specifici robot (non necessariamente di forma umanoide) in grado di muoversi (su ruote, gambe, cingoli o quant’altro) e interagire con l’ambiente circostante grazie a sensori e a braccia meccaniche.
Inoltre, la vera chiave dell’IA sembra essere l’imitazione dello sviluppo dell’intelligenza umana, tenendo ben presente l’importanza dei processi evolutivi nello sviluppo delle caratteristiche morfologiche e comportamentali di un individuo e nella formazione di ciò che viene definito ‘senso comune’. Per questo, oggi, prima ancora di insegnare a un robot a giocare a dama o a scacchi, si avverte la necessità di insegnargli a muoversi, a vedere, a sentire. Insomma, anche nel robot intelligente occorre creare una “infanzia”, che gli permetta di mettere a punto autonomi processi di apprendimento e di adattamento all’ambiente in cui si troverà a interagire. In seguito lo si potrà provvedere di una serie di implementazioni, che vanno dalla capacità di parlare, di collegarsi a una banca-dati, di fare delle foto o delle riprese e così via.
È necessario, in definitiva, produrre due evoluzioni parallele: una che conduca alla realizzazione di macchine sempre più complesse e sofisticate, l’altra, tutta interna alla vita del singolo automa, che lo faccia crescere intellettualmente, dandogli modo di apprendere, da solo o sotto la supervisione umana, le nozioni necessarie al suo compito e alla formazione di un’autonomia decisionale. E, infatti, i robot attualmente più avanzati utilizzano una tecnologia conosciuta con l’acronimo SOINN (Self-Organising Incremental Neural Network — una vera e propria ‘rete di auto-implementazione neurale’).
Vi sono parecchi filmati che mostrano alcune fasi dell’apprendimento cui viene sottoposto un particolare tipo di ‘robot androide’ (alto 120 cm.) made in Japan, che figura fra quelli attualmente più all’avanguardia, cui è stato dato il nome “Asimo” (che in giapponese si pronuncia Ascimo, il cui significato è “avente anche le gambe”, ma che è in origine l’acronimo di Advanced Step in Innovative MObility). Proponiamo qui in basso alcuni video particolarmente esemplari —
Asimo impara a superare gli ostacoli
Asimo corre a 6 km/h e compie varie mansioni
Asimo scende le scale
Asimo dirige un’orchestra!
Vi è poi una importante applicazione, conosciuta come BMI (acronimo di “Brain Machine Interface”), che permette di collegare al cervello umano una struttura robotica, consentendo a quest’ultima di muoversi con gli impulsi generati dal pensiero. In tal modo, per esempio, si può impiantare la mano a qualcuno che l’ha persa, recuperando gran parte delle funzioni di una mano vera (e aggiungendovi funzioni nuove, come la rotazione senza fine del polso!), come mostra il video che segue —
La mano robotica
Sono i primi significativi passi di una nuova frontiera.