Quali sono le radici culturali dell’Europa?
La prima cosa da dire in proposito, è che esse sono molteplici e che sarebbe profondamente sbagliato e ingiustamente riduttivo dare rilevanza a una di esse a detrimento delle altre. La chiesa cattolica (e qualche papalino dell’ultima ora, giornalista o politico in cerca di nuove crociate da cavalcare, senza rendersi conto — si spera — di quali conseguenze nefaste avrebbe una simile impresa) vorrebbe ricondurre la vasta e complessa cultura europea unicamente o prevalentemente alle radici giudaico-cristiane, la qual cosa condurrebbe a un impoverimento della cultura europea, e forse addirittura a qualcosa di assai più grave: una recrudescenza di quelle discriminazioni che con così tanta fatica l’uomo sta cercando di lasciarsi alle spalle. In Europa, al momento attuale, i musulmani sono circa venti milioni, per non parlare dei non religiosi che sono molti di più. Non dimentichiamoci inoltre che le stime ufficiali del Vaticano considerano ‘cristiani’ tutti coloro che hanno ricevuto i cosiddetti ‘sacramenti’ (da bambini, quando non si possedeva alcuna facoltà di scelta), mentre nella realtà dei fatti moltissimi battezzati non si riconoscono affatto nella religione cristiana e, spesso, non si riconoscono in alcuna religione (e ciò non significa necessariamente considerarsi ateo — anzi, tutt’altro: sempre più ci si rende conto quanto possa essere fuorviante accettare a priori una qualunque dottrina teologica da parte di un libero ricercatore della Verità ultima). Inoltre, parlare del cristianesimo come di un fenomeno culturale unitario è quanto meno azzardato, viste le feroci e cruenti guerre di religione scoppiate nei secoli passati e alle divisioni ancora attuali tra cattolici, protestanti, anglicani, greco-ortodossi. Può davvero l’europeo moderno identificarsi con un movimento religioso che nel suo interno contiene molte pagine ingloriose di totale oscurantismo, come i tribunali dell’Inquisizione e i frequenti casi di rifiuto delle scienze moderne? Può l’Europa introdurre nella sua carta costituzionale un riferimento che trasformerebbe di fatto il cristianesimo in un culto semiufficiale, quando peraltro la maggior parte degli attuali 42 paesi che la compongono non prestano alcun accenno a questo fatto nelle loro rispettive Costituzioni? Ricordiamo infatti che sono solo quattro le Costituzioni dei paesi europei che citano espressamente il cristianesimo: Grecia, Irlanda, Polonia e Slovacchia.
Ritornando alla domanda iniziale, possiamo dire che l’Europa non ha radici di un solo tipo: l’antica e nobile civiltà celtica, la grande tradizione greco-romana, il Rinascimento, l’Illuminismo, la Rivoluzione francese hanno lasciato sul corpo del continente tracce profonde e importantissime, non inferiori a quelle lasciate dall’influsso giudaico-cristiano.
Volendo spingersi il più possibile indietro nel tempo, possiamo dire, con il celebre studioso Giuseppe Tucci, che le radici più antiche della civiltà europea vanno rintracciate in Asia e, più in particolare, in quella meravigliosa cultura che in India ha dato nascita ai Veda. Il prof. Tucci coniò appositamente il termine ‘Eurasia’ per identificare quella vastissima area in cui egli — e ancor più gli studiosi che vennero dopo di lui — rintracciò precisi legami comuni talmente forti da condurre a un denominatore comune unico. Abbiamo già pubblicato un articolo specifico dedicato a individuare le caratteristiche salienti che accomunano la vasta area indoeuropea (vedi Eurasia). Qui ci limitiamo a aggiungere che è proprio dall’antichissima cultura arya originaria dell’India che si sono sviluppate le varie culture dei popoli dell’Europa — compresa la civiltà greca e quella celtica. Fino al secolo scorso, si voleva dimostrare a tutti i costi (anche utilizzando teorie faziose) che l’attuale civiltà umana fosse da attribuirsi alle popolazioni dei bianchi europei, iniziata nel vicino Oriente (Egitto e Mesopotamia) e sviluppata dai popoli del Caucaso e delle aree attigue. Ma le scoperte più recenti non lasciano dubbi circa le vere origini di tale civiltà. Noi consideriamo di fondamentale importanza per l’Europa una simile presa di coscienza, in quanto ciò costituirebbe un notevole stimolo a identificare e approfondire il vero senso della civiltà umana e dell’evoluzione dell’uomo, vista non più in conflitto ma in perfetta armonia con l’intera evoluzione terrestre. Approfondendo le radici iniziali della cultura europea — e, più in generale, della cultura occidentale — risulterà più facile colmare quell’abisso creatosi all’incirca duemila anni fa (per motivi in parte necessari e, forse addirittura, inevitabili) tra la cultura del fare e la cultura dell’essere. L’Occidente pragmatico e l’Oriente sognatore devono ricongiungersi e completarsi a vicenda, e questo è possibile — a nostro parere inevitabile, nell’economia della Natura, almeno quanto il movimento opposto cui accennavamo e che lo ha preceduto — anche grazie al riconoscimento delle radici uniche. Anche perché, ai primordi della cultura indoeuropea, non esisteva frattura fra il dentro e il fuori, tra il fare e l’essere, tra l’Assoluto e il suo eterno divenire. Ciò che esisteva già all’inizio del lungo percorso evolutivo dell’uomo, ma solo in nuce, è stato sviluppato nei suoi più minuti dettagli (da qui la necessità di una divisione settoriale, un po’ come accade con i diversi laboratori scientifici sparsi nel mondo, ognuno specializzato a investigare una particolare branca di ricerca, ma tutti quanti uniti insieme per far progredire la conoscenza scientifica globale) per poter giungere infine a una civiltà in cui la diversità sia un elemento di arricchimento della unità fondamentale dell’intera coscienza planetaria, e non un motivo di divisione e di conflitto tra i vari popoli che costituiscono l’umanità. Noi siamo convinti che questo sarà il fine dell’attuale civiltà. Esso si realizzerà nonostante tutto, con o senza la partecipazione dell’uomo (preso individualmente e collettivamente). La Natura porta sempre a termine i propri fini, poiché essi sono segretamente voluti e diretti da quella suprema Volontà divina che è il Signore della Natura. Se l’uomo non vorrà collaborare coscientemente, se non vorrà prestarsi a questo processo di cambiamento epocale, allora verrà superato. E la Natura ci ha sempre mostrato che non ha alcuna difficoltà nel porre in secondo piano o addirittura nello spazzare via intere specie che sembravano destinate a restare per sempre sulla terra, la cui mole o la cui eccessiva diffusione rischiava di minacciare il progresso dell’insieme. Se, invece, l’uomo si presterà a questo processo di cambiamento di coscienza in atto, allora non c’è ragione alcuna che gli impedisca di farsi lo strumento consenziente di questo delicatissimo e meraviglioso passaggio che vuole portare la coscienza terrestre a una nuova frontiera dell’evoluzione, più libera, più divina, più felice. Perciò, prima prenderemo coscienza di un simile obiettivo e ci adopereremo coscientemente per la sua realizzazione, meglio sarà per tutti.
Novembre 2004