Il se stesso di ognuno

(considerazioni sul ‘mistero’ delle personalità multiple)

di Manuel Furru

(ringraziamo la redazione del sito manuelfurru.it
per averci permesso di pubblicare il presente articolo)

C’è chi vede — ad esempio, fra i tanti, lo psichiatra Jean-Pierre Lentin [1] — il XX secolo come “l’epoca della disgregazione dell’io”: comincia con Freud e la sua scoperta dell’inconscio, di un io–qualcosa, e di un super–ego; continua con l’arte moderna e post–moderna che privilegia e cerca di indagare i punti di vista “molteplici”, dalla pittura cubista alla letteratura esplosa di Joyce, Dos Passos o Pynchon. Ciò che esplode, o si diffonde, è alla fine la sindrome delle personalità multiple. Si tratta di una malattia mentale che si manifesta e si generalizza verso gli anni settanta, in particolare negli Stati Uniti: da allora non cessa di espandersi e di porre a vari operatori della mente e studiosi della psicologia umana domande vertiginose di ordine ontologico, psicologico, morale o legale.
Da parte degli occidentali la consapevolezza della “personalità multipla” non va oltre quella dei molti e differenti ‘io’ che condividono uno stesso corpo: ognuno di essi o alcuni di essi sembrano prendere a turno il controllo del ruolo, in modo più o meno volontario o caotico, a seconda dei casi. Lentin ritiene che un Multiplo può essere composto, come minimo, da due personalità o da molte decine; la media parrebbe fissata a undici. «Ciascuna personalità o ‘alter’ possiede i suoi ricordi e non li condivide; per la personalità d’origine, i momenti nei quali si manifesta l’altro corrispondono in genere a periodi di amnesia».
È sempre Lentin ad informarci che nell’80% dei casi trattati dalla psichiatria l’origine della sindrome è da ricercare nei traumi subiti nel corso dell’infanzia: in particolare aggressioni fisiche, sessuali o emozionali, spesso ripetute, che provocano nel bambino una esplosione della personalità come struttura di difesa che mira a sopportare l’intollerabile. Si calcola che circa il 25% dei bambini vittime di aggressioni, quelli che sono stati presi in considerazione, ovviamente, svilupperebbero personalità multiple. C’è tuttavia anche una minoranza di Multipli che non sembrano aver subito traumi infantili rilevanti: la loro percentuale sarebbe più rilevante di quanto solitamente non si crede, in quanto un certo numero di Multipli ben integrati (o normali) si accontenterebbe di dissimulare la propria condizione senza preoccuparsi di consultare uno psichiatra. Recentemente prende piede l’ipotesi di una componente genetica della Molteplicità.
La moltiplicazione dei Multipli pare sia iniziata dopo la pubblicazione di un best-seller nel 1973: si tratta della storia di una donna, Sybil, che possiede ben sedici personalità (fra cui quella di due ragazzi) di cui si sarebbe in qualche modo ‘liberata’ dopo undici anni di psico–terapia. A proposito di questa storia vissuta sono stati sollevati in seguito parecchi dubbi a proposito della sua verità o verosimiglianza. La psicoterapeuta Cornelia Wilbur, avrebbe indotto la sua paziente a dare dei nomi a delle semplici tendenze di comportamento o tratti differenti del carattere, facendo ricorso, tra l’altro, a pratiche di ipnosi e a droghe come il pentotal (o “siero della verità”). L’autrice del best-seller, la giornalista Flora Rheta Schreiber, avrebbe deciso di mettere in scena queste diverse personalità della paziente come degli ‘alters’ per suscitare quella sensazione che fa sì che un libro magari mediocre possa essere venduto come un best-seller. Difficile venire a capo della verità della storia dal momento che le tre protagoniste (la paziente, la psichiatra e la giornalista) sono passate a miglior vita.
Tornando al senso del discorso sulla molteplicità della personalità che chiamiamo individuale la presenza di molti ‘io’ senzienti e pensanti sembra aver messo definitivamente in crisi la nozione plurisecolare dell’io cartesiano inteso come unico e lineare, che si ridurrebbe pertanto a una mera costruzione storica o storico–filosofica. Detto per inciso, da migliaia di anni, ci sono filosofie che ritengono, a ragione, che il “penso dunque sono” debba essere come minimo invertito in “sono e dunque penso”. Ma ci sarà modo di ritornarci.
Dopo che il libro citato ha avuto la sua inevitabile versione filmica, quella che fino ad allora veniva considerata dagli psichiatri un’affezione piuttosto rara, – considerata nei manuali come una variante della nevrosi isterica – ha cominciato a diffondersi e centinaia, poi migliaia, di ‘Multipli’ sono entrati in terapia, costringendo un certo numero di psichiatri a specializzarsi sul caso e a scrivere libri sull’argomento. Si è anche creata un’Associazione internazionale che ha scelto l’acronimo M.P.D. (Multiple Personality Disorder), entrato ufficialmente nel DSM, la nomenclatura ufficiale americana dei disturbi o turbe mentali. Lentin informa che a tutt’oggi ci sono circa ventimila casi censiti dagli psichiatri: se si includono i Multipli cosiddetti leggeri, il numero attuale ammonterebbe all’1% della popolazione americana, due milioni e mezzo di individui, all’incirca. Ma una parte degli psichiatri occidentali ritiene che si tratti di falsi sintomi, se non di una vera e propria “messa in scena incoraggiata o provocata da psichiatri alquanto zelanti”. Qualcuno l’ha definita “sindrome comportamentale iatrogena”, ovvero una malattia creata ad arte dal terapeuta. La polemica è finita spesso nei tribunali dando estro agli esperti di accusare i Multipli di fare la commedia per poter essere dichiarati incapaci di intendere e volere.
Ma anche i partigiani della ‘Molteplicità’ hanno i loro argomenti di un certo peso o consistenza logico–razionale. Secondo alcuni di questi i Multipli sono proliferati negli ultimi decenni del secolo appena trascorso perché esistevano già, ma mancavano gli strumenti per studiarli e un nome o etichetta per caratterizzarli. Prima che si potesse proiettarli in piena luce essi erano, semplicemente, invisibili e impensabili. Inoltre, le notevoli differenze che presentano certi ‘altri’ presenti in uno stesso paziente sembrano troppo rilevanti per attribuirli a un semplice gioco dell’immaginazione o a una ricorrente messinscena. In casi non del tutto rari, gli ‘altri’ presentano non solo un differente timbro di voce, una diversa postura e un diverso carattere, ma accade che alcuni siano destri e altri mancini, alcuni miopi, altri ipermetropi, con differenti allergie o intolleranze verso certi alimenti o farmaci. Ci sono tuttavia un certo numero di personalità tipiche che sembrano ricorrenti negli studi sui Multipli. C’è ad esempio la ‘personalità–ospite’, di solito introvertita, passiva e tendente alla depressione; c’è il ‘protettore’, di solito dotato di forte personalità, estroversa, aggressiva, in grado di sbrogliarsi agevolmente in situazioni di stress. Ricorrono anche i ‘bambini’ – di cui uno è di solito vulnerabile, spaventato, traumatizzato, l’altro collerico e capriccioso. C’è poi quello che sa tutto, calmo, logico, capace di risolvere i conflitti, e c’è naturalmente il ‘creativo’, artista o intellettuale, molto dotato nella sua specialità; il ‘religioso’ rigido e puritano. Infine, in molti casi, si presenta il ‘sobillatore’, una personalità estremamente perturbata e perturbatrice, che può emergere anche senza avvertire di stare attento e provocare molti guai: eccessi alcolici, automutilazioni, comportamenti violenti o criminali.
Cercando di dipanare il mistero della personalità multipla, il nostro prezioso informatore si chiede a che punto siamo, dopo un quarto di secolo di diffusione della epidemia; visto che la ‘moda’ non ha dato segno di attenuarsi o dissolversi – come spesso accade – nonostante alcuni avessero previsto l’immancabile caduta. I Multipli – deve ammettere Lentin – «sono e restano fra noi»; anche se trattandosi di un fenomeno diffuso soprattutto negli Stati Uniti, gli psichiatri europei continuano a tenere il broncio (forse per i mancati guadagni che comporta la relativa rarità del disturbo nel vecchio continente). Ma «laggiù i Multipli fanno scorrere inchiostro e saliva più che mai». Hollywood sta per lanciare un film tratto dal libro First person plural, scritto da un Multiplo che risponde al nome (unico) di Cameron West. Il quale prepara al lancio del film esibendosi spesso in talk–show di successo, esibendo pagine del suo diario intimo scritte col sangue al posto dell’inchiostro, ad opera – sostiene – di un ‘alter’ particolarmente suonato o toccato. Questo altro ha un nome, Switch, – nome che evoca sia la verga che lo scambio, il ciuffo e la treccia o anche l’interruttore – che si sarebbe manifestato un bel giorno spaccando all’ortonimo una mano a martellate, per punirlo della scarsa attenzione fino a quel momento prestatagli.
Ci sono stati – di recente – anche dei casi giudiziari trattati dai media come feuilletons che hanno turbato i telespettatori americani: ad esempio, si cita un caso risalente al 1979, quello di una certa Juanita Maxwell, una giovane che ha strangolato una vecchia signora che si era rifiutata di restituirle la penna che le aveva prestato. La polizia ha sorpreso Juanita mentre dormiva tranquillamente nel suo letto, ignara e dimentica del grave delitto appena commesso. In seguito si è scoperto che l’imputata era una Multipla, e che la vera responsabile dell’omicidio era Wanda, un alter manifestatosi in lei da quando aveva circa cinque anni, in seguito ai maltrattamenti subiti da parte di sua madre. Nel corso del processo Juanita ha accettato di testimoniare, ma ha subito ceduto il passo a Wanda: ha chiuso gli occhi per qualche secondo e Wanda è apparsa, per raccontare il crimine nei dettagli. Dichiarata folle, Juanita è stata internata in un ospedale psichiatrico e in seguito rilasciata nel 1986. Ma a due anni di distanza Wanda torna alla ribalta: per trarre Juanita dalle sue notevoli difficoltà finanziarie compie due rapine in banca. Una nuova esperta dichiara Juanita ormai dotata di ben sette personalità. La donna viene quindi affidata a un esperto di MPD e viene nuovamente scarcerata o dimessa nel 1991. Per alcuni mesi diventa un idolo dei talk–show e della stampa scandalistica. Poi viene inghiottita dall’oblio. Recentemente Juanita ha fatto parlare ancora di sé: è diventata infermiera, ma una nuova legge interdice la professione a persone con precedenti giudiziari. Licenziata, Juanita si batte contro questa nuova ingiustizia.
Apprestandosi a prendere in considerazione alcune conseguenze di ordine legale e giuridico che derivano dall’accettazione dei Multipli come malati mentali o non semplici istrioni o irresponsabili o, peggio ancora, ciarlatani che cercano di sottrarsi a gravi responsabilità di ordine sociale, Lentin richiama un passo di Proust per introdurre un paragrafo del suo studio che prende in esame la responsabilità dei Multipli e il modo di affrontarla in sede giudiziaria. Il passo di Proust dice: «Non ero un unico uomo, ma ora per ora la sfilata di un esercito composito del quale facevano parte, a seconda dei momenti, degli appassionati, degli indifferenti, dei gelosi – fra i quali non ce n’era uno che fosse geloso della stessa donna».
È evidente che se il multiplo evocato da Proust fosse finito in un tribunale di fine secolo avrebbe fatto precipitare esperti e giuristi in un vero e proprio abisso di perplessità. Come svelare la possibile impostura? Se si accetta interamente la diagnostica di MPD, come si potrebbe condannare qualcuno per un fatto commesso da un altro, anche se quest’ultimo ‘abita’ lo stesso corpo? Ed è atto di giustizia quello di punire una dozzina di altri per il crimine commesso da uno soltanto di loro?
Lentin si chiede se, ad esempio, un Multiplo abbia diritto a diversi avvocati difensori per ognuno dei suoi altri. Non si tratta di una mera supposizione di ordine letterario, visto che la questione è stata sollevata in un processo del 1996 contro un certo Thomas Huskey, un amnesiaco accusato dell’assassinio di ben quattro donne, assassinio rivendicato da un suo altro chiamato Kyle. Il giudice aveva ricusato la difesa multipla, ma aveva dovuto ammettere a testimoniare diversi altri, facendo prestare giuramento ad ognuno di loro.
Ci sono casi meno sconcertanti, o comunque meno inquietanti. In un processo svoltosi nello stato del Kentucky, una donna sposata chiese le circostanze attenuanti per i suoi numerosi casi adulterini, ognuno perpetuato da uno dei suoi altri. Il giudice pare abbia fatto orecchie da mercante, seguendo in questo la tendenza generale della giurisprudenza americana che non pare sia molto propensa a tener conto delle pretese degli altri e tende invece a considerare i multipli pienamente responsabili dei reati attribuiti alla personalità anagrafica. E tuttavia non mancano giuristi che si battano per invertire questa tendenza.
Fra i casi più sensazionali c’è stato (nel 1990) quello di Sarah, una Multipla che non era l’imputata ma la vittima. Si trattava di un’orfana di ventisette anni posseduta da non meno di quarantasei personalità: un uomo al corrente della cosa l’ha indotta un giorno a salire sulla sua auto e le ha chiesto di parlare con quella delle sue altre più disposta a divertirsi. Si è fatta avanti Jennifer, una ragazza di vent’anni, un po’ picchiatella, che adorava il ballo e non sapeva niente del sesso. Per cui si è lasciata fare. Si trattava di stupro? Così sosteneva l’accusa, dato che l’uomo sapeva che Sarah soffriva di turbe mentali. Ma la difesa obiettava che Jennifer era stata consenziente. Di fronte all’aula affollata di pubblico curioso e di telecamere vengono chiamati a testimoniare molti degli altri di Sarah, fra i quali un ragazzo molto macho, che desiderava fare il poliziotto e si lamentava di essere costretto a stare in un corpo femminile, a portare gonne e tacchi alti, impossibilitato a orinare all’inpiedi. Alla fine l’imputato viene giudicato colpevole, ma rimesso in libertà.
Un altro caso citato da Lentin è quello di Suzanne Houdelet, che nel 1995 ha sporto querela contro uno psicoterapeuta che, inizialmente, l’aveva sottoposta a sedute di ipnosi perché smettesse di fumare. La terapia aveva messo in luce una soggiacente Molteplicità di cui Suzanne non era cosciente fino ad allora. A un certo punto delle sedute la donna si è ritrovata perseguitata da un esercito di altri che si facevano vivi ad ogni ora sia di giorno che di notte, fra i quali tre fumatori incalliti e una quindicina di auto–mutilatori.
Una svolta importante si è verificata, sul fronte psichiatrico, a partire dagli anni ’90, con la pubblicazione del DSM n° 4, una nuova edizione del repertorio medico delle turbe mentali. Dopo molte discussioni e “subdole manovre di corridoio” (così le definisce Lentin), la sigla MPD è scomparsa dalla nomenclatura, con grave danno per quelli che se ne erano proclamati specialisti, per far posto alla “sindrome DID” (Dissociative Identity Disorder) o “turba dell’identità dissociata”.
Agli specialisti che difendevano la precedente denominazione di MPD, e ancora digrignano, gli accademici e i teorici hanno preferito la nuova denominazione di DID e l’hanno avuta vinta. Ma agli specialisti è stata data la consolazione di un capitolo della nomenclatura internazionale che è tuttora dedicato all’MPD, per quanto sotto una nuova sigla: ICD–9. La novità sta nel fatto che mentre la denominazione di personalità multiple concedeva una certa realtà agli altri – con i quali il terapeuta poteva ingaggiare un dialogo mirante a calmare quelli più perturbati e a ristabilire un equilibrio senza far sparire le diverse componenti – la sigla DID lascia intendere che c’è soltanto una identità possibile, l’io (o ego), al quale bisogna restituire i pieni poteri, una volta riconosciuta la natura di mera allucinazione delle varie personalità dissociate.
Ma c’è stato anche uno sviluppo più recente e per certi versi inatteso: un numero crescente di Multipli non rientra nella diagnostica della malattia mentale. Essi stessi considerano la Molteplicità come “uno stato perfettamente naturale e normale”, purché i differenti "altri" riescano a vivere in armonia e nessuno di essi svolga un ruolo perturbatore – nel qual caso sarebbe giustificato un intervento psichiatrico. Ne consegue un giudizio abbastanza severo riguardo alla maggior parte delle tecniche psichiatriche, dato che queste mirano sia a negare l’esistenza degli altri, sia ad integrarli, vale a dire a ristabilire il predominio di una personalità primaria, quella che detterebbe le regole di buona condotta, anziché cercare di instaurare una sorta di dialogo democratico. Secondo questi nuovi militanti, i Multipli, che preferiscono definirsi non tanto come individui, quanto come famiglie o accasati (franc. maisonnées; ingl. households), sarebbero l’ultima minoranza di perseguitati. E la diagnostica patologica non sarebbe altro che un mito imposto dalla potente industria medico–psichiatrica.
Meglio ancora, essi sarebbero i prototipi di un “uomo nuovo”, più luminoso, più creativo, più efficace, poiché capace di coltivare specializzazioni e talenti svariati con eguale e perfetta capacità di concentrazione. Quanto a noi altri (che è la categoria nella quale Lentin sembra preferire collocarsi) – le cosiddette persone singole (singlets o singletons) saremmo seriamente da compiangere, rinchiusi come siamo in una sola, unica e povera individualità, eternamente frustrati per il fatto di non poter coltivare tutte le nostre attitudini, perennemente sofferenti di un inguaribile senso di solitudine. Oppure saremmo nient’altro che “Multipli che ignorano di esserlo”, che non osano cioè fare il passo, aderendo per mero conformismo a una convenzione in procinto di sparire: quella dell’«io unico».
I Multipli ormai fieri di essere tali hanno trovato uno spazio ideale in Internet, – che Lentin definisce «paradiso delle minoranze e piattaforma di ogni confessione e professione di fede» – dove ormai sono centinaia i siti Web animati da accasati, da famiglie di io, nei quali ogni altro compila la sua biografia ed esibisce i suoi diversi talenti – letterarî, poetici, filosofici, grafici, musicali, culinari e così via elencando. Talvolta si tratta di siti inter–connessi o associati, o attribuiti al dono della pluralità, alla prima persona del plurale o alla libertà di essere noi.
La parte più interessante dello studio di Lentin – apparso anch’esso su un sito francese che predilige la pluralità dei temi e degli argomenti – è quella conclusiva, in cui l’autore si chiede se «ognuno di noi non sia (in realtà) una famiglia di personalità».
Non mancano, d’altra parte, specialisti della sindrome MPD che sostengono trattarsi della “esacerbazione di una tendenza” che riguarda tutti gli esseri umani. Ognuno ha a che fare con un continuum che ha un lato estremo considerato normale (il sogno, la fantasticheria o rêverie): quello che induce a immaginare un io vantaggiosamente rettificato, alle prese con avventure gratificanti, o le differenti maschere che si adottano a seconda che si stia da soli o in gruppo, al lavoro, in famiglia o in una festa, come anche i varî comportamenti che si possono assumere di fronte a questo o quell’interlocutore individuale. Riferendosi in particolare a quella minima parte di umanità che si ritiene progredita o più avanzata rispetto a tutto il resto della specie, Lentin ricorda che «viviamo in un’epoca in cui le scelte di vita e di carriera sono molto più aperte e varie rispetto a prima, nella quale le informazioni su tutte le culture passate e presenti sono disponibili come non mai». Certo si tratta di una civiltà (o meglio – diremmo – di una fase evolutiva) che spinge tutti verso la Molteplicità. Non resta perciò che reiterare la domanda: dunque, il nostro io cartesiano sarebbe nient’altro che un’effimera costruzione storica?
L’etnologia e l’antropologia ci hanno rivelato l’esistenza di società tradizionali nelle quali l’io si presenta per lo meno come duplice, vale a dire con una sua personalità ordinaria e il suo pendant con forma di animale totemico o di spirito che abita il mondo al di là, per non parlare delle reincarnazioni di antenati o dell’io che si evolve nei sogni. Su quest’ultimo – ricorda Latin – anche l’ineffabile Sant’Agostino si poneva ancora angoscianti interrogativi, dato che quel sacripante del suo doppio onirico era rimasto un maniaco sessuale, protagonista di ogni sorta di rappresentazioni che al risveglio facevano inorridire il sant’uomo… Sarebbero state le religioni monoteistiche, in seguito, ad imporre un io solitario in possesso di un’anima individuale; mentre la lenta gestazione dell’età moderna, razionale e scientifica, sarebbe coincisa con il consolidamento dell’Io unico, simbolizzato dal cartesiano “penso dunque sono”.
L’età postmoderna, col suo eclettismo, il suo relativismo, la decostruzione dei modelli dominanti, la diversità dei punti di vista e la loro assenza di gerarchia, avrebbe dunque messo in crisi la costruzione storica dell’io unico.
Lentin, in chiusura, dedica una breve riflessione al concetto post–moderno dei mêmes e della correlativa disciplina – intraducibile in italiano – che in francese suona ‘mémétique’. Si tratta di elementi che giocherebbero un ruolo analogo a quello dei geni per i corpi viventi: i mêmes sono idee, frasi, melodie, slogan, mode, tecniche e ogni sorta di costruzione o formazione mentale che sembra avere un’esistenza propria, indipendente dagli autori eventuali che, una volta visti o sentiti, si propagano saltando da un cervello all’altro. Da questo punto di vista, buona parte dei nostri pensieri non sono affatto nostri: si tratta semplicemente di mêmes che ci infettano proprio come dei microbi mentali.
Dunque, l’età postmoderna opera una decostruzione dell’io che sempre più ci appare come una finzione, fatta di ricordi frammentari, di motivazioni discordanti, di cause ed effetti mascherati, di idee racimolate qua e là. Tutto ciò sembra confermare l’insegnamento del Buddha dell’io come illusione, come un “composto di aggregati ciascuno dei quali, preso isolatamente ed esaminato in base alle sue separazioni (o distinzioni, o differenziazioni) si rivela molto poco reale, privo di qualsiasi solidità”.
La conclusione di Lentin ci apparirebbe non abbastanza (o non più) intrigante se si limitasse a segnalare il buddhismo, il post–modernismo e la Molteplicità mentale come una miccia o un mezzo per far saltare in aria il vecchio io pesante e decrepito, sorgente di illusioni e sofferenze innumerevoli. Di cui non possiamo far altro che augurarci reciprocamente di riuscire a sbarazzarci definitivamente e al più presto.
Ma quello che personalmente più ci intriga è il poscritto di Lentin, che ci pare il caso di tradurre parola per parola e senza – per ora – altri commenti o sovrapposizioni:
«Va da sé che nemmeno l’autore di questo articolo è un semplice io lineare, ma un composto di molteplici identità, ognuna delle quali ha dato il suo contributo all’indagine e alla scrittura. Nella successione dei paragrafi sono pertanto intervenuti:
- l’Enciclopedista, che legge golosamente ogni tipo di saggio, di rivista scientifica, di narrativa e pagine di Internet, per incrementare senza sosta le sue conoscenze.
- l’Illuminato, che ama le idee folli, le teorie azzardate, le elucubrazioni futuristiche e visionarie.
- lo Scettico, al quale non la si fa e che compila il repertorio degli errori, dei malintesi e delle imposture.
- lo Schernitore, alla ricerca dell’informazione divertente o bizzarra.
- il Buddhista, che gioisce di tutto ciò che contribuisce a demolire l’illusione dell’io.
- lo Scribacchino, che ha tentato di mettere un po’ d’ordine in tutto ciò e di farne un articolo». [2]

[1] J.P Lentin, Le mistère des personnalitès multiple, in «Les Dossiers Clés: Oser être soi, c’est oser être qui?».
[2] Vedi anche, di Jean Pierre Lentin, Ces ondes qui soignent, ces ondes qui tuent; éd. Albin-Michel.

RIVISTA SOLIANA