- a cura del CENTRO STUDI arya -
Nel corso del 2011, con sempre maggiore insistenza, ha preso a spirare una strana brezza rivoluzionaria — un nuovo movimento si sta diffondendo a macchia d’olio da Madrid a Gerusalemme, da New-Delhi a Taiwan, da Melbourne a Tel Aviv.
I manifestanti chiedono una reale democrazia (oggi più che mai ostaggio degli interessi di pochissimi), giustizia sociale e lotta alla corruzione, visto peraltro che sono le famiglie di lavoratori a pagare il prezzo di una crisi finanziaria globale causata da una classe dirigente corrotta in questi tempi di neoliberalismo arrogante e disumano.
Si tratta di movimenti privi di burattinai e, per questo, molto interessanti — ma, ovviamente, particolarmente temuti dal potere. Perciò, tali proteste sono facile bersaglio delle autorità e dei media (prezzolati e manovrati dal sistema) che tentano di liquidarli come un gruppetto di facinorosi.
Ma l’ondata di proteste che sta scuotendo il mondo intero ha tutta l’aria di una rivoluzione planetaria che sta sorgendo in modo spontaneo, in cui i movimenti dal basso sono i protagonisti. E che non potrà essere fermata dai mass-media tradizionali (per questo si tenta da più parti di mettere il bavaglio alla rete).
Vediamone le tappe essenziali.
EGITTO — 25 gennaio 2011 — Iniziano le sommosse popolari in Egitto note con il nome di “rivoluzione egiziana del 2011”: un vasto movimento di protesta imperniato sul desiderio di rinnovamento politico e sociale contro il trentennale regime dittatoriale di Hosni Mubarak. L’alta percentuale di diffusione della corruzione, la limitazione della libertà, la ricchezza ripartita in modo non equo (con una minima percentuale della popolazione che controlla la maggior parte della ricchezza del paese, mentre un 20% degli egiziani vive al di sotto della soglia di povertà), hanno fatto sì che, oltre che al Cairo, intense proteste si sono sviluppate nel Sinai, a Alessandria e in alcune località del delta del Nilo (a Suez, un gruppo di manifestanti appicca il fuoco al palazzo del governo). Milioni di egiziani scendono in strada. L’epicentro della protesta, piazza Tahrir, nelle giornate del 2 e 3 febbraio diviene luogo di un intenso conflitto. Finché, l’11 febbraio, Mubarak è costretto a dimettrsie. La notizia viene accolta dalle persone raccoltesi per le strade della capitale per il 18° giorno di protesta con manifestazioni di gioia, mentre in tutto il paese si svolgono i festeggiamenti per un avvenimento atteso da milioni di persone.
LIBIA — 15 febbraio 2011 — Parte un sit-in antigovernativo a Bengasi, seconda città del Paese e roccaforte dell’opposizione contro il regime del dittatore Muammar Gheddafi; la notte la polizia entra in azione contro i manifestanti, causando morti e feriti. Il 17 febbraio viene diffuso su Facebook un appello per scendere il piazza il giorno dopo in un «giorno della collera contro il regime». Scontri, feriti e arresti: la contestazione si trasforma presto in aperta insurrezione nell’Est del paese. Gheddafi ordina una serie di bombardamenti aerei sui manifestanti e questo mette in moto una vera e propria guerra civile. Il 3 marzo il tribunale penale internazionale incrimina formalmente per crimini di guerra e altri reati Gheddafi e alcune figure di punta del regime. Il 20 ottobre i protestanti riescono finalmente a catturare Gheddafi e lo giustiziano sul posto. Per la Libia è la fine di un incubo durato per oltre un quarantennio.
SPAGNA — 15 maggio 2011 — Migliaia di indignados hanno sfidato il divieto di manifestare in periodo pre-elettorale e issato le loro tende a Puerta del Sol (al centro di Madrid) per denunciare la corruzione in politica e la malagestione della crisi economica da parte del governo. È il “movimento 15M” (15 maggio, per l’appunto). Giovani precari, disoccupati, sottoccupati, mileuristas (persone che guadagnano mille euro al mese scarsi), studenti più o meno disillusi hanno organizzato mobilitazioni in decine di città in vista delle amministrative del 22 maggio. Una signora catalana chiarisce molto bene la situazione: «Questi ragazzi hanno un compito gravoso: noi abbiamo combattuto la dittatura, il nostro nemico lo vedevamo e lo conoscevamo. Ora i giovani devono combattere un fantasma molto più pericoloso: la dittatura economica». Generato dalla piattaforma “Democracia Real Ya” e subito irrobustitosi viaggiando sulle ali dei social network e di un passaparola autorganizzato e orizzontale, il movimento ha avuto il suo epicentro nella Puerta del Sol, ma si è sviluppato rapidamente in tutta la Spagna. Concentrazioni si sono avute a Bilbao, a Valencia, a Barcellona, a Siviglia, a Granada, a San Sebastián, a Santiago de Compostela, a Vigo e in varie altre città.
GRECIA — 5 giugno 2011 — Per mesi i cittadini greci hanno manifestato contro i tagli iniqui alla spesa sociale. In un Paese già stremato da due anni di aumenti delle tasse e tagli ai salari, studenti, giovani e pensionati insieme hanno marciato fino al centro della capitale chiedendo che siano i più ricchi a pagare. Un corteo di migliaia di dipendenti statali ha raggiunto piazza Syntagma (piazza della Costituzione, nel centro di Atene, direttamente di fronte all’edificio del Parlamento) al grido di «non abbiamo lavoro, non abbiamo diritti, nessun sacrificio per i padroni». Rabbia contro uno governo che aveva promesso di tassare i ricchi e aiutare i poveri e che ha completamente disatteso l’impegno. Il movimento riempie le piazze principali di tutte le città greche con tantissime persone che gridano la loro rabbia e fanno tremare il governo di Papandreu e i suoi sostenitori locali e internazionali. È più che uno sciopero: si tratta ormai di un genuino sollevamento popolare che si estende a tutto il paese. Un sollevamento che ribadisce il rifiuto del paese di pagare per la ‘sua crisi’ o il ‘suo debito’. Il movimento di Syntagma condivide con la piazza Tahrir in El Cairo e la Porta del Sole a Madrid la medesima avversione all’élite economica e politica che ha svuotato di senso la democrazia parlamentare.
ISRAELE — 17 luglio 2011 — A Tel Aviv, migliaia di ragazzi hanno costruito delle “città-tenda” per protestare contro il caro-prezzi delle abitazioni e per chiedere maggiore giustizia sociale. Accampati in tende, centinaia di giovani occupano pacificamente piazza Habima e parte del viale Rothschild, sostenuti da migliaia di abitanti. In un momento di boom dell’economia israeliana, le locazioni e i prezzi degli appartamenti da due anni sono saliti alle stelle, contribuendo a fare di Tel Aviv la città più cara del Medio Oriente.
L’Unione nazionale degli studenti ha dato il suo appoggio, creando analoghi accampamenti in altre città, comprese Gerusalemme, Be’er Sheva nel Sud a Kiryat Shmona al confine con il Libano. Perché il problema non riguarda solo Tel Aviv, ma tutto il paese. Il premier Netanyahu ha ammesso che il problema case esiste, ha convocato una riunione d’emergenza del Parlamento e si è reso disponibile a trattare con i manifestanti.
INDIA — 15 agosto 2011 — Il pacifista Anna Hazare, 74 anni, che da mesi conduce una lotta contro la corruzione, inizia uno sciopero della fame. La decisione di interrompere il digiuno giunge il 27 agosto, dopo una maratona parlamentare in cui sono state accettate le condizioni poste dall’attivista a proposito di una legge anti-corruzione in discussione in Parlamento, al fine di sorvegliare il comportamento di uomini politici e funzionari governativi. Da mesi, Hazare si è posto alla guida di un movimento che chiede la creazione di un’agenzia indipendente anti-corruzione in modo da renderla più severa e allargare la sfera di competenza a tutti i funzionari pubblici (dal primo ministro agli amministratori locali) e la possibilità di indagare su tutti, compresi Primo ministro e giudici, attualmente protetti dalla legge. Centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza per sostenerlo; molti, invece, gli attacchi che gli sono arrivati dal mondo politico: dopo le critiche del primo ministro indiano, Manmohan Singh, e dei partiti all’opposizione, sono arrivate anche quelle di Rahul Gandhi, figlio di Sonia, considerato il potenziale futuro primo ministro. Come in tutto il mondo, destra e sinistra sono coalizzati nel mantenere i loro privilegi per poter proseguire indisturbati nelle loro manovre truffaldine di potere e di corruzione. Ma, questa volta, il movimento popolare ha la meglio.
U.S.A. — 17 settembre 2011 — Migliaia di americani hanno occupato in maniera pacifica Wall Street, l’epicentro mondiale del potere finanziario e della corruzione, per indicare i veri responsabili di questa crisi mondiale. Tuttavia, nei pressi di Union Square, i manifestanti sono stati bloccati dalla polizia: grandi reti arancioni sono state erette sul marciapiede, intrappolando le persone in piccoli gruppi. Alle proteste dei manifestanti, le forze dell’ordine non hanno esitato ad attaccare, usando spray urticanti. La marcia è la seconda in una settimana ed è stata coordinata con altri gruppi in tutto il mondo. Gli “antibanks day” mirano a sollecitare un vero cambiamento nella politica finanziaria. Molti manifestanti hanno effettuato alcune riprese degli arresti e dei comportamenti ingiustificati dei poliziotti, pubblicando le immagini su YouTube. Anne-Marie Slaughter, che ha gestito il dipartimento fino a pochi mesi fa, attacca su Twitter l’operato della polizia: «Queste non sono le immagini che gli Stati Uniti vogliono vedere», linkando una foto di un agente mentre ha un ginocchio sulla schiena di una ragazzo che sta arrestando.
RUSSIA — 10 dicembre 2011 — Decine di migliaia di persone protestano nelle piazze gelate di Mosca. Un popolo che sta trovando unità nello slogan Rossija bez Putina, “Una Russia senza Putin”, chiede di cancellare le elezioni politiche truccate del 4 dicembre. Qualche giorno dopo, l’autocritica di Gorbaciov ha rincarato la dose: «Mi vergogno profondamente di avere inizialmente appoggiato l’ascesa al potere di Putin e dei suoi». E il 24 dicembre 125mila persone sono scese nuovamente in piazza. È intervenuto anche Alexei Navalny, il blogger appena uscito dal carcere dove era stato detenuto 15 giorni: «Siamo abbastanza da poter prendere subito il Cremlino. Ma siamo gente pacifica e non abbiamo ancora intenzione di farlo. Però non tollereremo questa situazione per sempre». Al Cremlino, per tentare di smorzare i toni della protesta, Medvedev si è esibito nella sua attività preferita: la promessa generica di riforme democratiche, teoricamente perfette e praticamente inesistenti. Ma ormai il popolo degli indignati non si lascia più abbindolare e si è dato appuntamento a febbraio, per manifestare contro Putin in occasione delle elezioni presidenziali di marzo.
Queste correnti nazionali, dicevamo, sono legate fra loro da una determinazione globale a mettere fine alla collusione fra élites corrotte e classe politica, che in molti paesi ha aiutato a causare la terribile crisi finanziaria che stiamo vivendo, mentre ora si vorrebbe che fossero le famiglie di lavoratori a farsene carico.
I vari movimenti di massa che stanno rispondendo pretendono non solo che il costo della recessione non ricada sulle spalle dei più deboli, ma anche che la democrazia si liberi finalmente della corruzione.
In ogni manifestazione, la richiesta principale è che i governi siano al servizio del popolo e non più delle potenti lobbies dell’economia (marcescente) di poche potentissime e ciniche multinazionali — quelle multinazionali che calpestano i diritti umani, distruggono l’ambiente, maltrattano gli animali con una crudeltà terrificante, violentano Madre Terra.
L’era dei politici nelle mani di pochi corrotti deve finire e, al suo posto, occorre costruire democrazie reali dei cittadini, fatte dai cittadini e per i cittadini. Democrazia reale e partecipazione cittadina alle scelte politiche, queste le richieste che aleggiano dappertutto; i manifestanti, inoltre, si schierano compatti contro la partitocrazia (di destra o di sinistra che sia).
La lista delle proposte si fa sempre più concreta e pressante: riforme della legge elettorale; liste pulite alle elezioni, con stop assoluto ai candidati indagati; revisione del modello di finanziamento ai partiti. Tutti uniti contro l’innaturale e superato modello economico, contro l’accumulazione di potere da parte di pochissimi, contro la disoccupazione, contro la dittatura partitocratica.
Utilizzando la rete, i vari movimenti stanno mostrando di essere in grado di superare le tradizionali barriere per convocare e organizzare le loro manifestazioni.
Il successo di questi raduni, le risposte politiche goffe, gli errori degli sgomberi forzati e delle manganellate da parte della polizia per cercare di evacuare manifestazioni pacifiche hanno finora incoraggiato la mobilitazione anziché sopprimerla, aumentando l’indignazione e allargandola a persone appartenenti alle fasce di età più disparate: molti i pensionati che accorrono in piazza per appoggiare i giovani, molte le casalinghe che si uniscono alle proteste, preoccupate per il futuro dei loro figli.
La prima e più importante necessità di questi movimenti è quella di mantenersi liberi da ogni manipolazione da parte dei poteri gattopardeschi sempre in agguato. Su questo presupposto, la rivoluzione potrà crescere sotto i migliori auspici e ogni dettaglio potrà modellarsi da sé nel modo più organico possibile.
Siamo appena agli esordi!
Non si tratta di scendere in guerra
contro il Sistema:
è il Sistema che ci fa guerra
da troppo tempo
e ora è il momento
di dare inizio a una Rivoluzione
che punti anzitutto
a una evoluzione delle nostre coscienze.
Si parte dalla riforma dei diritti
come pretesto per arrivare
a RI-FORMARE L’UOMO.
Dicembre 2011