FISIOGNOMICA

di Tommaso Iorco
(autore tutelato SIAE)

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«Non ti ho dato né viso né luogo che ti sia peculiare,
né alcun dono speciale, o uomo, affinché
il tuo viso, il tuo posto e i tuoi doni
tu li scelga, li conquisti e li possegga da te stesso.
[…] Ti ho messo al centro del mondo affinché tu
possa meglio contemplare ciò che il mondo contiene.
Non ti ho creato né celeste né terrestre, mortale o immortale,
così che per tua scelta, liberamente, alla maniera
di un buon pittore o di un abile scultore
tu completi la tua stessa forma».
Pico della Mirandola

La fisiognomica è una scienza affascinante e molto antica. Già nel Mahabharata troviamo alcuni passi che mostrano quanta importanza gli indiani accordassero allo studio dei tratti del volto per capire le pieghe più nascoste della personalità di un individuo. E qualcosa di simile accadeva anche presso molte altre popolazioni, cinesi, greche, romane e via di seguito. Ma, come ogni scienza, la fisiognomica (o, utilizzando il termine coniato dallo psichiatra francese Louis Corman, la ‘morfopsicologia’) richiede pazienza e precisione; non la si può penetrare con un atteggiamento sbrigativo e frettoloso, leggendo un semplice manualetto — richiede anni di studio, di osservazione, e una capacità di analisi il più possibile globale. In questo articolo mi propongo perciò di effettuare solo qualche breve riflessione e nulla più.

Il nostro volto rivela assai più di quanto crediamo, e probabilmente è anche per questo che si sta diffondendo in modo direi patologico il ricorso alla chirurgia plastica: oltre al bisogno di apparire eternamente giovani (indice di enorme immaturità e insicurezza), c’è il desiderio inconscio di nascondere agli altri il nostro vissuto (quando non lo accettiamo) e, più ancora, le nostre menzogne. Ci si illude insomma di poter annullare il proprio fardello mediante un semplice lifting facciale. Recentemente ho incontrato una donna anziana, che aveva almeno ottant’anni, la quale aveva visibilmente il viso completamente rifatto, ma anche il seno e il fondoschiena; era vestita in modo molto giovanile, con indumenti piuttosto attillati (perfino nel parlato cercava di imitare i giovani), ed era raccapricciante guardarla: mi hanno colpito particolarmente le mani, tutte incartapecorite e anche un po’ segnate da una sia pur lieve forma di artrosi; insomma, era impressionante guardare il suo corpo, che era quello di una donna anziana, ma con un seno e delle natiche turgidissime, del tutto innaturali e in disarmonico contrasto con il resto del corpo, e con un volto che sembrava quasi una maschera (alla Michael Jackson, per intenderci)! Credo che quella signora, quando si guarda allo specchio, rimuove inconsciamente tutte le parti cascanti del suo corpo e vede solo quelle passate al bisturi, al punto che la sua stessa visione della propria fisionomia è totalmente falsata da ciò che lei desidera vedere: un corpo giovane e attraente. Devo confessare di non aver mai visto nulla in vita mia di così repellente (e dire che in India ho visto persone il cui corpo era visibilmente e drammaticamente segnato dalla lebbra, senza considerare che all’età di vent’anni prestai per alcuni mesi volontariato presso il Cottolengo), e sono certo che se quella signora si vedesse con uno sguardo distaccato, al pari di chi la guarda, si vergognerebbe infinitamente e non uscirebbe più di casa.

Ritornando alla fisiognomica, il nostro volto è la parte del corpo forse più imbarazzante, perché possiamo vederlo solo riflesso in uno specchio, mai direttamente. È qualcosa che, in genere, vedono gli altri, non noi. E questo ci causa un certo comprensibile disagio... Se, per fare un esempio molto banale, abbiamo qualcosa sul viso, da una semplice macchietta a una caccola, sono gli altri ad accorgersene prima di noi, e questo ci imbarazza enormemente. Oltre al fatto che viviamo in una società che tende a nascondere, per senso di pudore o di difesa, ciò che può diventare preda di altri, come ad esempio gli organi sessuali (soprattutto femminili). Ecco allora il bisogno di nascondere il nostro volto, di camuffarlo con il trucco o con la chirurgia estetica, con l’illusione di cancellare in tal modo le tracce del tempo, le sofferenze, e qualche volta anche i segni di una natura malvagia.
Molto significativo, nel riflettere sul rapporto che ognuno di noi ha con il proprio volto e con la sensazione di denudamento che si percepisce quando qualcuno ci guarda dritto negli occhi, è il rapporto che intercorre fra uno psicanalista e il suo paziente: durante le sedute, l’analista non guarda mai in faccia il suo paziente, perché sa che questo metterebbe a disagio il paziente stesso, il quale tenderebbe a innalzare meccanismi di difesa e a mentire; mentre, facendolo sdraiare comodamente su un lettino, facendolo conversare come se parlasse a se stesso, senza dover guardare in faccia nessuno, ci sono possibilità molto più elevate che emerga qualcosa di più intimo e rivelatorio ai fini della terapia. Una analoga riflessione si può fare a proposito delle ‘chat-lines’ su Internet, in vertiginoso aumento: quanti non si accettano per quello che sono (sempre più individui, purtroppo), preferiscono contattare persone a distanza, senza mai essere visti in faccia. In questo modo la menzogna può continuare a regnare senza correre il rischio di essere spodestata. L’assenza di contatto fisico mi pare sia uno dei segni più inquietanti dei nostri tempi. Si trascorrono ore del proprio tempo libero davanti al computer, o davanti alla televisione, perché questo esclude la possibilità di confrontarsi con gli altri e quindi di mettersi a nudo, di mostrare loro le nostre falle e, ancor più, di mostrare a noi stessi quelle imperfezioni che ci danno fastidio. È un modo molto sbrigativo per mettere a tacere la nostra coscienza (la quale saprà tuttavia prendersi la sua rivalsa, in un modo o nell’altro), ma è anche la perdita della grande opportunità di progredire attraverso il riconoscimento dei nostri stessi limiti. Viviamo in una società dove sbagliare è segno di debolezza, perciò molti tendono a circoscrivere al massimo i propri errori limitando il più possibile di interagire con gli altri, di vivere. E questa è la scappatoia più veloce, ma anche la più ingenua e inefficace, per non affrontare l’ombra che è in ognuno di noi.

Il nostro volto contiene un centinaio di muscoli che quotidianamente utilizziamo, contraendoli e rilasciandoli in continuazione. A ogni stimolo forte che ci colpisce in maniera sensibile, i muscoli si contraggono; se lo stimolo è tenue e piacevole, i muscoli si distendono. Uno stimolo forte non è necessariamente negativo — può avere un effetto positivo o negativo a seconda del tipo di stimolo stesso; infatti, quando qualcuno non reagisce a stimoli forti, lo definiamo un pezzo di ghiaccio e ci dispiace del fatto che non sappia godere di questi stimoli. Ognuno di noi ha un suo modo particolare di reagire davanti alle sollecitazioni della vita, alle gioie, ai dolori, alle delusioni, alle sconfitte, alle vittorie e alle nostre stesse pulsioni interne. Il nostro viso diventa in tal modo, con il trascorrere degli anni, il risultato di una accumulazione del nostro vissuto quotidiano. Si dice che da bambini il nostro volto è opera di Madre Natura, mentre con l’avanzare degli anni — soprattutto dopo i quaranta — il volto diventa una nostra personale, sia pur involontaria, creazione. La bocca, gli occhi, il naso, le orecchie e ogni nostra ruga ci smascherano, mettono a nudo ciò che realmente siamo. Insomma, tutti gli elementi del viso sono, come dice Garboli, i correttivi facciali del pensiero.

Prendiamo la bocca, per esempio: si tratta di una parte del volto particolarmente importante, poiché attraverso di essa noi comunichiamo con gli altri per mezzo del linguaggio verbale: esprimiamo i nostri pensieri e talvolta addirittura, raramente, esterniamo le nostre emozioni. E tuttavia, se attraverso le parole possiamo mentire, la bocca in sé rivela la nostra vera natura. I muscoli della bocca sono quelli maggiormente in attività nel nostro volto, e mentre parliamo la bocca prende la forma delle parole che pronunciamo. Se ci alleniamo a osservare i volti (il nostro e quello degli altri), possiamo ricevere una quantità impressionante di indizi e fare scoperte molto interessanti. Noto ad esempio una grande quantità di bocche che, quando parlano, assumono una strana piega, come se fossero storte o per metà irrigidite. E lo trovo un segno piuttosto sintomatico di una società fasulla, come quella attuale, dove molti individui mentono, non solo nella sfera privata, ma attraverso l’esercizio stesso di professioni in cui mentire è fondamentale per la buona riuscita del proprio obiettivo: spillare quattrini agli altri. Viviamo in una società profondamente disonesta, e ognuno di noi, volente o nolente, deve fare una scelta: essere sincero (anzitutto con se stesso e, di conseguenza, con gli altri) e quindi accettare anche l’eventualità di vivere ai margini, senza avere alcun riconoscimento (economico o di altro tipo), oppure accettare di prostituirsi e farsi parte integrante di questa dilagante menzogna, che ci ripagherà abbondantemente con onori, soldi, carriera, prestigio. È la battaglia che avviene in ognuno di noi fra la mediocrità e la libertà. La mediocrità è sempre la via più facile, mentre la libertà è molto esigente, richiede attenzione, sincerità, approfondimento continui.

Lo studio della fisiognomica spesso può essere utile per capire alcuni lati nascosti degli individui che conosciamo poco (o che crediamo di conoscere bene), per non ricevere brutte sorprese. Sarebbe tuttavia un grossolano errore generalizzare, come fece Lombroso, credendo che tutti quelli che hanno determinate caratteristiche hanno un certo carattere: le labbra sottili sarebbero proprie di nature crudeli, la fronte bassa di persone poco intelligenti e così via. Avere delle labbra sottili è un segno esteriore di crudeltà, ma non sempre: talvolta può rappresentare il segno di una natura dotata di una capacità di autocontrollo superiore alla norma (un asceta, per esempio). Così come la fronte bassa non è sempre indizio di mancanza di intelligenza. La corrispondenza è sempre fra il dentro e il fuori, mai tra il fuori e il fuori. Vale a dire che è l’interno che modella l’esterno, e bisogna sempre partire da lì per capire i segreti della personalità — segreti che uno studio accurato e intelligente della forma esteriore, presa nella sua globalità e non dissezionando le varie parti costituenti, può aiutarci a cogliere. In un determinato volto, grosse labbra possono rappresentare una natura socievole, affabile, aperta, disponibile; in un altro volto, quelle stesse labbra possono rappresentare una persona lasciva, infedele, scostante, facilmente irritabile.

Ci sono, certo, alcune linee base per decifrare i tratti del volto, ma non si può dedurne leggi rigide. Come recita un trattato attribuito a Aristotele: «Ciò che è duraturo nella forma esprime quanto è immutabile nella natura dell’essere e ciò che è mobile e fugace in detta forma esprime quanto, nella medesima natura, è contingente e variabile». La prima distinzione riguarda infatti il rapporto fra la natura permanente della psicologia di un individuo, rappresentata dall’ossatura del volto, e la natura mobile rappresentata dai muscoli e dalla pelle.

Alcuni ricercatori (a partire da Adamanzio per arrivare al grande Giordano Bruno), hanno notato singolari rassomiglianze fra alcuni volti umani e quelli degli animali. Mentre altri (come i medici cinesi dell’antichità) hanno cercato di leggere nel volto il grado di salute dell’individuo, vedendo nel viso uno specchio energetico dei vari organi del corpo umano e delle sue funzioni. Similmente, in tempi più recenti (ma rifacendosi comunque a studi medioevali), in Europa sono state individuate alcune tipologie che individuano caratteristiche psicosomatiche (celebre in tal senso il trattato del medico francese Léon Vannier).

A un medico lionese (ai principi del XX secolo), Claude Sigaud, si deve comunque il merito di aver formulato la legge basilare della morfopsicologia: il principio della dilatazione-ritrazione in rapporto alla forma degli organismi viventi, secondo cui il corpo (il volto in particolare) passa dalla dilatazione alla ritrazione in rapporto all’impatto che riceve con l’ambiente che lo circonda, in particolare il modo di reagire nei confronti delle difficoltà della vita. Perché le esperienze determinanti della nostra vita lasciano sempre una traccia sul nostro volto.

Uno studio del genere può risultare molto utile per guardare bene in faccia eventuali colleghi di lavoro, vicini di casa, amici e conoscenti. Così come può essere di grandissimo aiuto nello smascherare le vere intenzioni di persone che non conosciamo ma di cui dobbiamo formarci una qualche opinione — mi riferisco ai politici, per esempio. Noi non li conosciamo personalmente, ma diamo o neghiamo loro la nostra fiducia quando andiamo a votare. Perciò è importantissimo per noi capire se quanto dicono rappresenta solo un discorsetto preparato per fare presa sui potenziali elettori, oppure se è il risultato di una verità che sta dentro. La fotografia di un manifesto elettorale, soprattutto se scattata con tutti gli accorgimenti del caso (filtri più o meno sofisticati) e successivamente ritoccata, può ingannarci. Ma una ripresa video effettuata in presa diretta, senza cioè un lavoro di montaggio e di post-produzione, è infallibile in questo senso. Può rivelare perfino dietro un sorriso apparentemente innocuo una perversione diabolica. Perché nessuno può stare in posa per più di tre o quattro minuti, parlando, senza smascherarsi, sia pur per qualche istante. La telecamera è impietosa nel mettere a nudo ciò che veramente siamo. Ricordo che parecchi anni fa Dario Fo consigliò, molto saggiamente, di registrare una tribuna elettorale e di rivederla escludendo l’audio: in questo modo la nostra attenzione si sarebbe focalizzata esclusivamente sulla fisicità del politico, assai più loquace delle stesse parole nel trasmetterci il grado di convinzione e di sincerità (o di falsità) che sta sotto. Ma qui alla fisiognomica si aggiunge lo studio del linguaggio non verbale, ovvero della gestualità. Di questo intendo parlare in un altro breve articolo.