- a cura del CENTRO STUDI arya -
Alcuni nostri corrispondenti — frequentatori del sito o lettori dei libri da noi curati — ci hanno chiesto di offrire esempi concreti nella mitologia, nelle leggende, nella letteratura dei popoli indoeuropei mostranti le comuni radici.
Difficile resistere a una simile tentazione. Ma immediatamente, sorgono questioni enormi: da dove iniziare? come circoscrivere l’argomento, in modo da offrire esempi probanti e diretti? quale area geografica prediligere? Si potrebbe, per esempio, inoltrarsi in uno studio minuzioso che metta a confronto il folklore armeno con la tradizione dell’antica Persia, rintracciando singolari e incontestabili collegamenti tra la dea persiana della fertilità, Anahita, e la Grande Regina, la Madre d’Oro adorata dagli armeni col nome di Anahit; oppure approfondire alcune leggende armene che rimandano in modo inequivocabile alla cultura persiana, come la descrizione immaginifica dell’incontro fra i santi cristiani Pietro e Paolo e un ‘Al’, un essere demoniaco della favolistica persiana. Se poi ci si volesse concentrare sui debiti che il cristianesimo ha nei confronti dell’alta Asia, si potrebbero riportare tutti quei racconti che i cristiani saccheggiarono a piene mani dalla letteratura puranica e buddhista, adattandoli, mutato nomine, ai loro scopi; la leggenda cristiana di Barlaam e Giosaphat, per limitarci ad un esempio, è stata presa pressoché alla lettera da uno dei Jataka buddhisti.
Ben consapevoli della vastità e della complessità del problema, intendiamo offrire qui alcuni confronti tra l’antica mitologia greca e l’ancora più remota tradizione indiana. Alcune narrazioni poetiche contenute nel Mahabharata, la grande epopea indiana, trovano sorprendenti corrispondenze con certi miti greci ben noti. Il racconto greco di Alcesti e Admeto si specchia infatti in una sua più antica leggenda, descrivente l’amore coniugale tra Savitri e Satyavan; la ben nota storia di Orfeo ed Euridice, se confrontata con il racconto di Ruru e Pramadhvara, mette alla luce singolari analogie; allo stesso modo, il mito di Afrodite e Anchise trova la sua corrispondenza nella storia di Urvashi e Pururavas; e l’incontro di Eos e Titone presenta anch’essa talune corrispondenze con quello tra Sukanya e Shyavana.
Cerchiamo di narrare in breve i fatti salienti di ciascuna di queste leggende, ponendole l’una accanto all’altra affinché il lettore possa egli stesso metterle a confronto. Sarà il lettore stesso a fare le dovute conclusioni. Noi ci limitiamo a notare come gli studiosi, da Schliemann a questa parte, abbiano raccolto testimonianze irrefutabili circa i fitti rapporti commerciali intercorrenti tra l’India e la città di Troia.
Le stesse differenze tra le leggende qui presentate fanno peraltro riflettere sulla capacità di questi due popoli di dare un vestito diverso — adatto alla loro cultura e al loro temperamento — ai medesimi miti immortali.
SAVITRI E SATYAVAN
Il re Ashvapati, giunto in tarda età e non potendo avere figli, supplica la dea Savitri, finché questa gli appare in visione assicurandolo che sua moglie gli avrebbe presto dato una figlia. E così infatti avvenne: nove mesi dopo nasce una bellissima bambina alla quale il sovrano dà il nome di Savitri, in onore alla Dea.
Savitri, giunta in età di maritarsi, a causa della sua bellezza e della sua intelligenza, non ha pretendenti. Perciò, con il permesso del padre, decide di partire alla ricerca del proprio amato. E, dopo lungo vagabondare, incontra Satyavan, figlio del re cieco Dyumatsena, esule nella foresta.
Savitri riparte immediatamente alla volta della casa paterna per informare i genitori sull’esito positivo della sua ricerca, e nella reggia trova Narada (il saggio divino mediatore fra la terra e i cieli), il quale, appresa la notizia da Savitri, dopo avere lungamente lodato Satyavan, svela l’avverso fato: in capo a un anno il giovane è destinato a morire. Savitri, comunque, decide di sposarlo ugualmente, e trascorre tale periodo nella foresta al fianco del suo amato.
Finché, il giorno predestinato, l’ignaro Satyavan si dirige nel cuore della foresta, accompagnato da Savitri, per nulla ignara. Mentre è intento a tagliare della legna, Satyavan sente una tremenda fitta alla testa. Savitri gli poggia il capo sul proprio grembo, mentre Satyavan esala l’ultimo respiro.
Giunge a questo punto Yama, il Signore della Morte, per prendersi l’anima di Satyavan allo scopo di condurla nel regno dell’oltretomba, sennonché Savitri non è disposta a separarsi dal suo amato, e segue Yama, chiedendo di restituirglielo. Yama cerca di dissuadere la donna in tutti i modi e la invita a tornare indietro ma, a causa dell’ostinazione e della saggezza che Savitri gli mostra, Yama infine cede e le restituisce l’anima del suo sposo.
Satyavan si risveglia come da un profondo sonno; mano nella mano, nel cuore della notte, si incamminano verso casa. Il re Dyumatsena, che nel frattempo ha recuperato la vista e il suo regno, va loro incontro. Ed ecco sopraggiungere l’aurora.
ALCESTI E ADMETO
Il dio Apollo, condannato da Zeus a trascorrere un anno sulla terra come semplice mortale (come punizione per avergli ucciso i Ciclopi suoi figli, che gli fabbricavano le folgori sotto il monte Etna), viene ospitato amorevolmente dal re Admeto.
Riconoscente per tale ospitalità, Apollo, deciso a ripagare Admeto, si fa concedere dalle Moire di poterlo sostituire, quando sarebbe giunta la sua ora, con un altro mortale. Ma, quando per Admeto scocca l’ora del destino (e ciò avviene prematuramente), l’unica persona disposta a sostituirsi a lui è Alcesti, la regina sua sposa, da lui tanto amata.
Giunge a questo punto presso la reggia di Admeto la dea Persefone, regina dell’oltretomba. La dea, figlia di Demetra e di Zeus, fu rapita da Tanato, il Signore della Morte, con la complicità dello stesso Zeus e all’insaputa di Demetra, e costretta a regnare nell’Ade, stregata con un chicco di melograno. Demetra, una volta venuta a conoscenza dell’intrigo, si mostrò talmente arrabbiata che Zeus dovette concedere alla propria figlia di essere libera di passare un giorno all’anno sulla terra (e proprio a questo accadimento si ispirano i misteri eleusini, i quali vedono in tale costante risalita nel mondo dei viventi da parte della dea della fertilità, la promessa di una vita senza morte sulla terra).
Giunta in incognito alla reggia di Admeto, Persefone viene accolta con grande ospitalità dal sovrano, e le viene taciuta la disgrazia. Ma quando Persefone scopre l’accaduto, per ricompensare un così alto senso d’ospitalità, decide di restituire Alcesti a Admeto, traendola dall’Ade e riportandola in vita.
RURU E PRAMADHVARA
Pramadhvara, figlia abbandonata di una ninfa celeste (una Apsaras) e di un musico divino (un Gandharva) di nome Vishvavas, diventa la fidanzata di Ruru, figlio del grande saggio Bhrigu.
Nell’assenza del suo compagno, la donna viene uccisa dal morso di un serpente velenoso che lei calpesta, nascosto fra l’erba. Quando Ruru si accorge della disgrazia, acconsente a celebrare un rito sacrificale in onore di Yama, il Signore della Morte, al fine di riavere la propria amata, giurando nel contempo odio mortale a tutti i serpenti, che fa voto di sterminare.
Yama accetta il sacrificio e permette a Ruru di vivere per sempre con la sua amata, non sulla terra, bensì in una sfera del regno dei cieli.
ORFEO E EURIDICE
Orfeo, figlio di Apollo e devoto di Dioniso, si innamora della naiade Euridice. Ma un giorno, Aristeo cerca di approfittare dell’assenza di Orfeo per usare violenza sulla bella ninfa. Euridice, fuggendo, incespica su un serpente che la morde, uccidendola.
Sopraffatto dal dolore, Orfeo decide di recarsi nel Tartaro. Grazie alla sua musica, riesce ad ammaliare Caronte e Cerbero, e similmente riesce ad ammaliare Ade e Persefone, i quali consentono a Orfeo di portarsi via Euridice, ma a una condizione: avrebbe dovuto precederla e non voltarsi mai indietro fino a quando non fossero usciti dal regno dei morti. Secondo la tradizione più antica, Orfeo riesce nell’impresa. Mentre secondo Virgilio e Ovidio, quando egli giunge alla fine del passaggio e intravede la luce del mondo esterno, si volta per guardare la moglie adorata, e così Euridice viene nuovamente risucchiata nell’oltretomba.
URVASHI E PURURAVAS
La ninfa celeste Urvashi si innamora dell’eroe mortale Pururavas e acconsente a sposarlo. Avendo però questi infranto il divieto fattogli di non lasciarsi mai scorgere nudo, la dea si sottrae dalla sua presenza e decide di non riammetterlo più alla sua primitiva condizione di sposo, se non dopo una serie di prove da lui sostenute. Alla fine, impietosita dai travagli cui Pururavas non esita a sottoporsi, lo fa ascendere al suo paradiso, trasformandolo in un Gandharva.
AFRODITE E ANCHISE
Zeus, deciso di punire la dea Afrodite perché si vanta della propria bellezza, la fa innamorare di un mortale, Anchise, dalla cui unione nascerà Enea. Ma quando la dea rivela la sua identità a Anchise, questi, terrorizzato, pensa alle punizioni cui erano sottoposti i mortali che osavano avere rapporti carnali con una dea. Rassicurato da Afrodite, ottiene la promessa che non gli sarebbe stato fatto alcun male, purché mantenesse il segreto. Senonché un giorno Anchise, ubriaco, si vanta di avere fatto l’amore con la dea e per questa impudente affermazione Zeus, con un colpo di folgore, lo azzoppa, e la stessa Afrodite lo abbandona.
SUKANYA E SHYAVANA
Shyavana è un grande rishi, sfigurato nel corpo da un’assidua tapasya. Passa dal suo eremo il re Sharyati con il suo corteo; la figlia del sovrano, la bella Sukanya, offende il rishi e questi lancia una maledizione su tutto l’esercito del re, per scongiurare la quale questi non trova altro espediente che offrire all’irato Shyavana la propria figlia in sposa.
Sukanya si mantiene sempre fedele al vecchio marito, sebbene tentino continuamente di sedurla i due giovani e leggiadri Ashvin, i quali propongono alla donna di ringiovanire suo marito in cambio dello sciolgimento dei suoi vincoli nuziali. Grazie agli Ashvin, Shyavana ritorna giovane, e Sukanya, nuovamente libera, riconferma su di lui la sua scelta nuziale.
In compenso del loro beneficio, gli Ashvin ottengono da Shyavana il dono del Soma, la bevanda da cui gli dèi attingono forza e gioia.
EOS E TITONE
La dea dell’Aurora, Eos, sposa un mortale, Titone, e prega Zeus di donare l’immortalità al suo amato sposo, dimenticando però di chiedere anche l’eterna giovinezza, e così Titone è immortale e resta sempre accanto alla dea in qualità di sposo, ma continua a invecchiare fino a diventare tutto rinsecchito.
Eos si trova a un certo punto costretta a rinchiuderlo nella loro camera da letto, confinandolo in totale solitudine e ad alzarsi dal talamo con sempre maggiore anticipo per poter sfuggire all’abbraccio del marito.