ETTORE MAJORANA

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«Al mondo ci sono varie categorie di scienziati;
gente di secondo e terzo rango,
che fanno del loro meglio ma non vanno lontano.
C’è anche gente di primo rango,
che arriva a scoperte di grande importanza,
fondamentale per lo sviluppo della scienza.
Ma poi ci sono i geni come Galileo e Newton.
Ebbene Ettore era uno di quelli.
Majorana aveva quel che nessun altro al mondo ha.
Sfortunatamente gli mancava quel che è invece comune
trovare negli altri uomini: il semplice buon senso.»
Enrico Fermi

Ettore Majorana (Catania, 5 agosto 1906 – ?) è stato un fisico italiano, scomparso misteriosamente nel 1938.
Nacque a Catania il 5 agosto del 1906.
A Roma, Emilio Segrè riuscì a convincere Majorana a iscriversi alla facoltà di Fisica, e ciò avvenne dopo un incontro con Fermi. Ecco il resoconto che Amaldi fa di quell'incontro: «Egli venne all’Istituto di via Panisperna e fu accompagnato da Segrè nello studio di Fermi ove si trovava anche Rasetti. Fu in quell’occasione che io lo vidi per la prima volta. Da lontano appariva smilzo, con un’andatura timida, quasi incerta; da vicino si notavano i capelli nerissimi, la carnagione scura, le gote lievemente scavate, gli occhi vivacissimi e scintillanti: nell’insieme, l’aspetto di un saraceno. Fermi lavorava allora al modello statistico dell’atomo che prese in seguito il nome di Thomas-Fermi. Il discorso con Majorana cadde subito sulle ricerche in corso all’Istituto e Fermi espose rapidamente le linee generali del modello, mostrò a Majorana gli estratti dei suoi recenti lavori sull’argomento e, in particolare, la tabella in cui erano raccolti i valori numerici del cosiddetto potenziale universale di Fermi. Majorana ascoltò con interesse e, dopo aver chiesto qualche chiarimento, se ne andò senza manifestare i suoi pensieri e le sue intenzioni. Il giorno dopo, nella tarda mattinata, si presentò di nuovo all’Istituto, entrò diretto nello studio di Fermi e gli chiese, senza alcun preambolo, di vedere la tabella che gli era stata posta sotto gli occhi per pochi istanti il giorno prima. Avutala in mano, estrasse dalla tasca un fogliolino su cui era scritta un’analoga tabella da lui calcolata a casa nelle ultime ventiquattro ore. Confrontò le due tabelle e, constatato che erano in pieno accordo fra loro, disse che la tabella di Fermi andava bene e, uscito dallo studio, se ne andò dall’Istituto. [...] Majorana era quindi tornato non per verificare se andava bene la tabella da lui calcolata nelle ultime 24 ore, bensì per verificare se fosse esatta quella di Fermi.»
Comunque, superata la prova, Majorana passò a Fisica e iniziò a frequentare l’Istituto di Via Panisperna: regolarmente fino alla laurea, meno dopo. Si laureò, con il voto di 110/110 e lode, il 6 luglio 1929, relatore Enrico Fermi, presentando una tesi sulla meccanica dei nuclei radioattivi. In quel periodo effettuò diversi studi, alcuni dei quali confluirono in diversi articoli su argomenti di spettroscopia e su un articolo sulla descrizione di particelle con spin arbitrario. Effettuò anche brevi studi su moltissimi argomenti che spaziavano dalla fisica terrestre all’ingegneria elettrica, alla termodinamica, allo studio di alcune reazioni nucleari non molto diverse da quelle che sono alla base della bomba atomica. Questi lavori confluirono in una serie di manoscritti, i “Quaderni” e i “Volumetti” custoditi alla Domus Galileiana di Pisa e recentemente pubblicati, o in corso di pubblicazione, a cura di Recami e di Esposito.
Si lasciò comunque convincere ad andare all’estero (Lipsia e Copenaghen) e gli fu assegnata dal Consiglio Nazionale delle Ricerche una sovvenzione per tale viaggio che ebbe inizio alla fine di gennaio del 1933 e durò circa sei mesi. L’incontro con Heisenberg fu proficuo, tanto che questi riuscì lì dove Fermi e gli altri avevano fallito, far pubblicare qualcosa a Majorana. Pubblicò infatti Über die Kerntheorie, in Zeitschrift für Physik.
Abbiamo alcune sue lettere del periodo tedesco. Il 20 gennaio, in una lettera alla madre scrive: «All’Istituto di Fisica mi hanno accolto molto cordialmente. Ho avuto una lunga conversazione con Heisenberg che è persona straordinariamente cortese e simpatica.»
In una lettera al padre, il 18 febbraio, confida: «ho scritto un articolo sulla struttura dei nuclei che a Heisenberg è piaciuto benché contenesse alcune correzioni a una sua teoria.»
Successivamente si recò a Copenaghen dove conobbe Niels Bohr. La frequentazione con Bohr lo portò a conoscere altri fisici importanti dell’epoca tra i quali C. Moller e Arthur H. Rosenfeld e a frequentare George Placzek, che già da qualche tempo conosceva.
Si recò sempre più saltuariamente all’Istituto di Fisica. Sovente se ne stava a casa, non riceveva alcuno e respingeva la corrispondenza scrivendoci di proprio pugno “si respinge per morte del destinatario”. Curava anche poco l’aspetto fisico e si era lasciato crescere barba e capelli. Ma quello che è certo è che non cessava di studiare: i suoi studi si erano ampliati. Questo è il periodo più oscuro della sua vita: non si sa quale fosse la materia dei suoi studi, anche se qualcosa si può dedurre dalle sue lettere — in particolare da una fitta corrispondenza con lo zio Quirino, noto fisico sperimentale, che stava studiando la fotoconducibilità di lamine metalliche.
Ecco il ritratto che ne dà, in quel periodo, Laura Fermi: «Majorana aveva però un carattere strano: era eccessivamente timido e chiuso in sé. La mattina, nell’andare in tram all’Istituto, si metteva a pensare con la fronte accigliata. Gli veniva in mente una idea nuova, o la soluzione di un problema difficile, o la spiegazione di certi risultati sperimentali che erano sembrati incomprensibili: si frugava le tasche, ne estraeva una matita e un pacchetto di sigarette su cui scarabocchiava formule complicate. Sceso dal tram se ne andava tutto assorto, col capo chino e un gran ciuffo di capelli neri e scarruffati spioventi sugli occhi. Arrivato all’Istituto cercava di Fermi o di Rasetti e, pacchetto di sigarette alla mano, spiegava la sua idea.»
E ancora: «Majorana aveva continuato a frequentare l’Istituto di Roma e a lavorarvi saltuariamente, nel suo modo peculiare, finché nel 1933 era andato per qualche mese in Germania. Al ritorno non riprese il suo posto nella vita dell’Istituto; anzi, non volle più farsi vedere nemmeno dai vecchi compagni. Sul turbamento del suo carattere dovette certamente influire un fatto tragico che aveva colpito la famiglia Majorana. Un bimbo in fasce, cugino di Ettore, era morto bruciato nella culla, che aveva preso fuoco inspiegabilmente. Si parlò di delitto. Fu accusato uno zio del piccino e di Ettore. Quest’ultimo si assunse la responsabilità di provare l'innocenza dello zio. Con grande risolutezza si occupò personalmente del processo, trattò con gli avvocati, curò i particolari. Lo zio fu assolto; ma lo sforzo, la preoccupazione continua, le emozioni del processo non potevano non lasciare effetti duraturi in una persona sensibile quale era Ettore.»
Nel 1937 Ettore Majorana fu nominato professore di Fisica teorica all’Università di Napoli, dove si legò d’amicizia con Antonio Carrelli, professore di Fisica sperimentale presso lo stesso Istituto di Fisica.
Anche a Napoli Majorana condusse una vita estremamente ritirata con i suoi malanni che gli davano fastidio e che si ripercuotevano inevitabilmente sul suo carattere e sul suo umore.
La sera del 25 marzo 1938 Ettore Majorana partì da Napoli con un piroscafo della società Tirrenia alla volta di Palermo, ove si fermò un paio di giorni: il viaggio gli era stato consigliato dai suoi più stretti amici, i quali lo avevano invitato a prendersi un periodo di riposo.
Il giorno stesso, prima di partire, aveva scritto a Carrelli la seguente missiva:
«Caro Carrelli, ho preso una decisione che era ormai inevitabile. Non vi è in essa un solo granello di egoismo, ma mi rendo conto delle noie che la mia improvvisa scomparsa potrà procurare a te e agli studenti. Anche per questo ti prego di perdonarmi, ma soprattutto per aver deluso tutta la fiducia, la sincera amicizia e la simpatia che mi hai dimostrato in questi mesi... Ti prego anche di ricordarmi a coloro che ho imparato a conoscere e ad apprezzare nel tuo Istituto...; dei quali tutti conserverò un caro ricordo almeno fino alle undici di questa sera, e possibilmente anche dopo.»
Ai familiari aveva invece scritto: «Ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero. Se volete inchinarvi all’uso, portate pure, ma per non più di tre giorni, qualche segno di lutto. Dopo ricordatemi, se potete, nei vostri cuori e perdonatemi.»
Il 26 marzo Carrelli ricevette da Majorana un telegramma in cui gli diceva di non preoccuparsi di quanto scritto nella lettera che gli aveva precedentemente inviato.
Lo stesso giorno fu scritta e spedita anche questa ultima lettera: «Caro Carrelli, spero che ti siano arrivati insieme il telegramma e lettera. Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani all’albergo Bologna, viaggiando forse con questo stesso foglio. Ho però intenzione di rinunziare all’insegnamento. Non mi prendere per una ragazza ibseniana perché il caso è differente. Sono a tua disposizione per ulteriori dettagli.»
Ma Ettore non comparve più. Iniziarono le ricerche. Del caso si interessò, dietro pressioni di Fermi, lo stesso Mussolini; fu anche proposta una ricompensa (30.000 lire) per chi ne desse notizie, ma non si seppe mai più nulla di lui, almeno non in modo inequivocabile.
Il professor Vittorio Strazzeri dell’Università di Palermo asserì di averlo visto a bordo alle prime luci dell’alba del 27 marzo mentre il piroscafo sul quale era imbarcato si accingeva ad attraccare a Napoli (in realtà egli condivise la cuccetta con un giovane viaggiatore che, secondo la descrizione, corrispondeva a Majorana, da lui mai conosciuto personalmente). Un marinaio asserì di averlo scorto, dopo aver doppiato Capri, non molto prima che il piroscafo attraccasse, e la società Tirrenia, anche se l’episodio non fu mai confermato, asserì che il biglietto di Majorana era tra quelli testimonianti lo sbarco. Anche un’infermiera che lo conosceva sostenne di averlo visto, in questo caso nei primi giorni dell’aprile 1938, mentre camminava per strada a Napoli.
Ma non fu mai trovata nessuna traccia documentata della sua destinazione e le ricerche in mare non diedero alcun esito.
Le indagini furono condotte per circa tre mesi e si estesero a un convento di gesuiti che si trovava vicino a dove lui abitava. La famiglia seguì anche una pista che sembrava portare al convento di S.Pasquale di Portici, ma alle domande rivoltegli il padre guardiano rispose con un enigmatico: «Perché volete sapere dov’è? L’importante è che egli sia felice».
Ci fu una ridda di ipotesi, di indizi, ma non si ebbero mai certezze sulla sorte di Majorana: va comunque notato che nelle sue lettere egli non parla mai di suicidio, ma solo di scomparsa, ed era persona attenta alle parole.
L’unica certezza fra tante supposizioni consiste nel non indifferente prelievo di una considerevole somma di denaro (alcuni stipendi arretrati) che Majorana fece prima di far perdere le sue tracce, l’equivalente di circa 10 mila dollari attuali, oltre che della sparizione del suo passaporto. Anche questo fatto, unito alla razionalità della mente di Majorana, rende poco plausibile l’ipotesi del suicidio.
Amaldi nel suo Ricordo scrisse che egli aveva saputo trovare in modo mirabile una risposta ad alcuni quesiti della natura, ma che aveva cercato invano una giustificazione alla vita, alla sua vita, che era per lui di gran lunga più ricca di promesse di quanto non lo sia per la stragrande maggioranza degli uomini.
Il giorno prima di salpare da Napoli consegnò alla studentessa Gilda Senatore una cartella di materiale scientifico: questi documenti furono mostrati anni dopo al marito di questa, anch’esso fisico. Questi ne parlò con Carrelli che ne parlò con il rettore che li volle: dopo di che le carte si persero.
Gli studi di Majorana diedero un contributo fondamentale allo sviluppo della fisica moderna e affrontarono in modo originale molte questioni: nella sua prima fase pubblicò i suoi studi riguardanti problemi di spettroscopia atomica, la teoria del legame chimico (dove dimostrò la sua conoscenza approfondita del meccanismo di scambio degli elettroni di valenza), il calcolo della probabilità di ribaltamento dello ‘spin’ (spin-flip) degli atomi di un raggio di vapore polarizzato quando questo si muove in un campo magnetico rapidamente variabile. Il maggior contributo scientifico di Ettore Majorana è tuttavia rappresentato dalla seconda fase della sua produzione, la quale, comprende tre lavori: il lavoro sulle forze nucleari oggi dette alla Majorana, il lavoro sulle particelle di momento intrinseco arbitrario e il lavoro sulla teoria simmetrica dell’elettrone e del positrone; famosa è anche la cosiddetta equazione di Majorana.
Le ipotesi relative alla scomparsa di Ettore Majorana seguono soprattutto tre filoni: quello tedesco, quello argentino, quello monastico.
La via tedesca assume che egli sarebbe tornato in Germania per mettere a disposizione le sue conoscenze e le sue intuizioni.
La via argentina si basa su presunte tracce di una sua presenza a Buenos Aires, specie intorno agli anni Sessanta: la madre di Tullio Magliotti riferì di aver sentito parlare di lui dal figlio; la moglie di Carlos Rivera raccontò di un presumibile avvistamento del Majorana all’Hotel Continental; un ex ispettore di polizia ha riconosciuto in un’immagine di Majorana l’italiano che incontrò a Buenos Aires in quegli anni.
La terza via, sposata soprattutto da Leonardo Sciascia nel suo famoso libro La scomparsa di Majorana, assume che egli si sarebbe rinchiuso in un monastero, per sfuggire a tutto e a tutti, dal momento che non sopportava la vita sociale.
Esiste, per la verità, un’altra ipotesi, quella emersa intorno agli anni Settanta che dava Majorana in Sicilia: sarebbe stato lui, il fisico eccellente, che errava per la Sicilia come un nomade. In realtà esistono degli elementi a sostegno di quest’improbabile ipotesi. Un certo Tommaso Lipari girava per le strade di Mazara del Vallo, dove trovò la morte il 9 luglio del 1973. Si trattava di un barbone particolare, dotato di una brillante conoscenza delle materie scientifiche che lo portava a risolvere i compiti degli scolari che incontrava, ma questo non significa che fosse Majorana. Un abitante del paese, Armando Romeo, disse che il Lipari gli aveva mostrato una cicatrice sulla mano destra, tipica del Majorana; e usava pure un bastone con incisa la data del 5 agosto 1906, ovvero la data di nascita del fisico. Infine, al funerale di Lipari parteciparono tante persone, troppe per quello che è di solito l’estremo saluto a un clochard; suonò la banda del paese; qualcuno narra perfino di persone, non siciliane, intervenute apposta che seguivano da lontano l’evento, come se sapessero qualcosa. Sul caso Lipari intervenne anche l’allora procuratore di Marsala, Paolo Borsellino: nel 1948 un certo Tommaso Lipari era stato rilasciato dalla galera (dove era finito per un piccolo reato), ed era così possibile confrontare la sua firma con quella del clochard, rinvenendo una tale somiglianza tra loro che Borsellino si sentì di concludere che appartenessero alla stessa persona, escludendo di fatto un’ipotesi-Majorana.
Resterebbe comunque, almeno in via teorica, un’ultima ipotesi, quella del suicidio, ma questa è apparsa poco fondata a causa di alcuni elementi, così riassumibili: in mare non fu ritrovato nulla; un suicida non ritirerebbe dalla banca una somma di denaro equivalente all’ammontare di alcune mensilità di stipendio prima di suicidarsi: si tratterebbe di un comportamento alquanto irrazionale, specie per una mente come quella di Majorana; Majorana sarebbe stato avvistato e riconosciuto a Napoli giorni dopo la scomparsa.
È probabile che Majorana abbia deciso di scomparire, anche se non si sa dove e soprattutto perché.