Le grandi leggi che regolano i processi della Natura materiale sono, in fin dei conti, poche e così, potremmo dire, anche i grandi scienziati.
Noi, negli ultimi cento anni, ci siamo abituati, per il notevole progresso tecnologico, per tutte le “équipes” di ricercatori che lavorano nelle varie parti del mondo, a riconoscere una grande folla di scienziati, ma se andiamo a analizzare la storia della scienza ci accorgiamo che in realtà i grandi scienziati non sono tanti. Si passa, per esempio, circa il metodo, da Aryabhata a Pitagora e addirittura da questi a Galileo; si salta da Galileo a Volta, a Maxwell per quel che riguarda proprio le posizioni estremamente decisive, cruciali del progresso scientifico: a questi grandi nomi legati alle leggi fondamentali della scienza, cioè a quelle affermazioni che veramente hanno resistito per secoli alla critica e alla ricerca sperimentale. Esse sono pochissime, come per esempio per l’elettrotecnica la legge di Ohm o la legge dell’induzione elettromagnetica. Si tratta di leggi fondamentali che si contano, come si suol dire, sulle punte delle dita.
Il metodo sperimentale soddisfa socialmente il problema gnoseologico, ovvero il problema della conoscenza, ma sotto certe condizioni — vale a dire: come possiamo essere sicuri che una certa nostra ipotesi, che poi dovrà essere provata dall’esperimento, possieda una verità generale? Come possiamo asserire che formulando una certa legge ipotetica questa risponda effettivamente a una legge naturale? È difficilissimo per lo scienziato verificare che ciò che egli pensa e prova, effettivamente risponda universalmente alla realtà dei fatti.
Il passaggio da una ricerca, diciamo di puro intendimento pitagorico, cioè di interesse limitato a degli iniziati, che ne contemplavano le conseguenze filosofico-naturali, a quella suffragata dall’esperimento condotto metodicamente e portato di fronte al generale riconoscimento fino a produrne vaste conseguenze di applicazione tecnica, non può non considerarsi la causa di notevoli conseguenze sociali.
Dunque la scienza moderna in quanto sperimentale e in quanto premessa inevitabile alla tecnica e quindi alla più larga diffusione delle sue acquisizioni, assume un aspetto che si potrebbe definire di intendimento democratico. Né a questo aspetto viene meno la raffinata specializzazione, la quale, dovendo dipendere da una vasta organizzazione di uomini e di risorse, è sempre più connaturata alle stesse vicende dell’intero corpo sociale dell’intera umanità.
Uno dei problemi più importanti che iniziarono con la fisica del XX secolo — che iniziarono anzi la fisica del XX secolo — è stato quello dell’interpretazione di come si comportasse non tanto la materia quanto lo spazio. I fisici devono per loro compito studiare quella che è la costituzione materiale; tuttavia, sappiamo che ci sono dei fenomeni di mutua azione tra corpi materiali, i quali si muovono per l’appunto all’interno dello spazio. Sappiamo che la luce si propaga nello spazio e che esso non meno della materia gode di certe proprietà. La critica scientifica del XX secolo, che poi portò alla formulazione della teoria della relatività da parte di Einstein, la quale nasce appunto come teoria della relatività ristretta nel 1905, dimostra che occorre un salto enorme nel campo degli stessi nostri abituali concetti di spazio e di tempo per cogliere la verità sperimentale.
La fisica galileiana, e Galileo stesso nel dialogo dei massimi sistemi e nei dialoghi delle nuove scienze, dice di avvalersi del metodo sperimentale, con l’ausilio matematico della geometria euclidea.
Con l’inizio del XX secolo, a parte che nel campo matematico puro già si erano formulate delle altre geometrie non euclidee, per quanto si riferisce piuttosto alla fisica, si riconobbe che era necessario postulare l’esistenza di uno spazio che non rispondeva più alle proprietà volute dalla geometria euclidea, ma rispondeva piuttosto alle proprietà determinate da una nuova geometria che avrebbe dovuto istituirsi. Questa geometria, che oggi noi chiamiamo dello spazio-tempo, comporta dei rapporti abbastanza stretti tra quella che può essere la fenomenologia che si svolge in questo spazio e quello che può essere il nostro modo di organizzare la conoscenza per ciò che Kant chiamerebbe il “noumeno”, diversamente dal “fenomeno”. Si tratta di un passo in avanti di alta importanza filosofica compiuto dalla fisica. Possiamo dire che oggi in fisica, mentre ci si avvale del metodo sperimentale galileiano, per quel che riguarda la sperimentazione o per quel che riguarda finora l’applicazione pratica, pure esiste una specie di largo margine che è ora altrettanto oggetto d’interesse precipuamente filosofico della ricerca scientifica. Ecco perché si parla spesso di “filosofi della scienza”.
Si tratta di quella parte della fisica che riguarda i rapporti tra i fenomeni materiali e energetici e lo spazio-tempo, oppure — se vogliamo essere ancora più moderni — di quella parte della fisica che riguarda i limiti della stessa sperimentazione, dettati da un principio formulato nel 1924 da Werner Heisenberg, chiamato in termini sperimentali “principio di indeterminazione”.
I rapporti ad alto livello nel campo scientifico si svolgono sopra quel margine lasciato dalla teoria della relatività e dal principio di indeterminazione che sono l’oggetto più importante della curiosità scientifica attuale. Lo scienziato oggi non è più tanto curioso di sapere come avviene la fissione dell’uranio, quanto di sapere quale sia il comportamento, per esempio, dello spazio-tempo in determinate circostanze, o quali sono i limiti del metodo galileiano nel campo dei fenomeni microscopici e della tecnica dell’avvenire.
Questi nuovi principî dello spazio-tempo, queste analisi al di sotto dei limiti del concetto di sperimentazione galileiana, cioè nel senso causale, aprono la via a due branche straordinariamente importanti che sono, poi, due facce di una stessa medaglia.
Oggi c’è un movimento importante nel campo della biologia e sappiamo che le recenti scoperte nel settore, per esempio, della genetica, portano naturalmente a un orientamento della scienza su questioni che non sono ancora così connesse perfettamente con quelli che possono essere i principî fondamentali dei limiti della causalità; non vogliamo rendere il discorso troppo complesso, però basti fare una considerazione di questo genere: per la fisica è causale tutto ciò, dal punto di vista quantistico, che risponde a un grande numero.
Se noi esaminiamo un gene, che secondo la genetica moderna è il responsabile della trasmissione di un carattere ereditario, pensiamo che possa paragonarsi per le sue dimensioni a un cubo di circa cento molecole di lato. Ora, cento molecole per spigolo comportano un milione di molecole, e un milione di molecole non rientra nella causalità statistica, ma nella fluttuazione statistica, che è una cosa molto diversa. Siamo in condizioni fisico-geometriche al di sotto dei livelli di causalità. Si potrebbero portare innumeri esempi, ma ciò che in questo momento ci importa è sottolineare il fatto che la scienza sta procedendo verso risoluzioni che investono il campo biologico e il campo dello spazio-tempo. Nel campo dello spazio-tempo noi ci troviamo di fronte a dei fenomeni di carattere arbitrario, che rientrano in una specie di meccanismo che è precisamente quello caratterizzato da una situazione sub-galileiana, cioè del tipo della indeterminazione heisenberghiana.
In conclusione, potremmo dire che in futuro, mentre i grandi Stati potrebbero continuare a essere tenuti a bada da un certo equilibrio di forze che impedirà loro di utilizzare armi atomiche per timore di ricevere armi atomiche in risposta e, arrivati a una saturazione nel campo degli armamenti, si troveranno costretti a ridurre drasticamente gli eserciti, a un certo momento tutte le spese, salite a vertiginosi valori, imporranno una revisione della situazione finanziaria mondiale. Subentreranno viceversa le nuove scoperte sulle quali stanno lavorando gli scienziati di tutto il mondo, ritornati, in questa specie di turris eburnea della scienza pura, dove si realizza ancora il concetto pitagorico di personalità eminenti capaci di intendersi.
L’umanità potrà allora finalmente trovare la sua strada e sarà veramente una strada di valore, vale a dire di consapevolezza, una strada capace di affermare i veri valori della conoscenza e le responsabilità si trasformeranno in effettive azioni capaci di costituire qualcosa di veramente importante.
Certo, l’umanità possiede queste energie latenti, che già stanno riversandosi sulle nuove strade della ricerca umana; e quei fenomeni che i giovani di tutto il mondo presentano — in modo più o meno efficace — attraverso la contestazione, che talvolta fanno impressione a coloro che sono legati ai vecchi principî, potrebbero trovarsi su queste nuove traiettorie. Le paure dei più rigidi conservatori ricordano un po’ la situazione descritta da quella poesia di Carlo Porta, in cui la marchesa, scivolando dalla carrozza suscita l’ilarità dei ragazzi presenti, ed eccola allora esclamare preoccupata: “siamo alla fine del mondo!”. L’umanità attuale, forse, è una vecchia signora che non si regge più molto bene sulle sue gambe. Gli dèi dell’avvenire se la ridono, vedendo in quell’incespicare i prodromi di una nuova creazione — ma la marchesa non capisce e s’indispone, stizzita e scandalizzata che il mondo stia proprio perdendo l’equilibrio!