Quali sono le aspettative di vita in termini di longevità nel mondo attuale?
Dall’ultimo rapporto realizzato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, basato su una ricerca durata tre anni sui cosiddetti “determinatori sociali” della salute, emerge che l’ingiustizia sociale ha un sempre maggior peso sulla durata della vita.
Lo studio, realizzato da un gruppo di esperti, dice che in quasi tutti i paesi le cattive condizioni socio-economiche si traducono in cattive condizioni di salute per gli abitanti.
La maggioranza dell’umanità non beneficia del livello di salute sufficiente a causa dell’impatto congiunto di scelte politiche e misure economiche. Sono insomma i fattori sociali, molto più di quelli genetici, a determinare la salute o la malattia delle persone nel mondo e la loro aspettativa di vita.
Qualche esempio: una ragazza che nasce nel Paese africano del Lesotho vivrà in media 42 anni meno di una ragazza che nasce in Giappone; e se in Svezia il rischio di una donna di morire per complicazioni della gravidanza o del parto è di un caso ogni 17.400, in Afghanistan è di uno su 8.
L’Italia si trova al terzo posto, a parimerito con Canada e Svezia.
Quanto ad aspettativa di vita, in media, viviamo 81 anni contro gli 83 del Giappone e gli 82 dell’Australia. Ma se la stima, relativa al 2006, si confronta con quella di India (63 anni), Mozambico (50 anni) o Lesotho (42 anni), ci si rende conto del pesante divario.
«Questi dati non hanno nessuna spiegazione biologica», si legge nel rapporto. «Le differenze fra paesi e all’interno delle frontiere di un paese sono dovute al contesto sociale nel quale le persone nascono, vivono, crescono, lavorano e invecchiano. […] Le malattie causate da acqua contaminata, per esempio, non sono dovute a mancanza di antibiotici, ma al fallimento dei Governi nel rendere disponibile per tutti acqua potabile; le morti per patologie cardiache sono causate non tanto dalla scarsa disponibilità di reparti specializzati, ma dallo stile di vita delle persone».
La soluzione consiste dunque in interventi mirati in grado di agire «sulle condizioni di esistenza quotidiane delle popolazioni, migliorando gli ambienti di vita e di lavoro, e attraverso la distribuzione regolare di risorse e di denaro».
Lo studio lancia un appello e chiede ai governi di agire subito: senza alcun intervento la diseguaglianza è destinata a aggravarsi, ma agendo immediatamente potrà ridursi in tempi relativamente brevi.
Agosto 2008