di Vittorio Bernasconi
In fatto di comunicazione, il nostro tempo è schiavo di un paradosso.
Infatti, dall’inizio del Novecento ad oggi il grado di consapevolezza è diminuito proporzionalmente con l’avanzare incalzante della tecnologia. I mezzi ci consentono di conoscere in tempo reale gli avvenimenti che alimentano la storia, eppure operano massivamente, premeditatamente o meno, per nascondercela. Tutto ciò che accade decade con la stessa velocità delle sue immagini, sommerso da mille stacchi e da mille rimandi contemporanei in un caleidoscopio rumoroso che inneggia il ritorno al rifugio del proprio privato, alla propria inconsapevolezza appunto. Senza terra, senza passato, senza origini certe ci dibattiamo alla ricerca di una sicurezza che alligna nel sapere tutto ciò che mai ci apparterrà. Facciamo nostri i sogni più assurdi, più deliranti, più orripilanti, pur di sentirci parte di qualcosa.
Quanti di noi sanno, sia pure parzialmente, quali sono i confini del presente? E quanti sono artefici della propria vita? Pure sappiamo e dibattiamo di tutto, apparentemente partecipiamo alla vita sociale come non mai, siamo in grado di influenzare i rapporti di forza che governano le scelte politiche del nostro paese. Siamo, in maniera del tutto reale quanto teorica, i veri responsabili di quelle scelte. Ma tutto questo non è sufficiente. Non lo è più, oggi. In realtà noi siamo in grado di influenzare solo un flusso di informazioni piuttosto che un altro. E da esse siamo influenzati. È inimmaginabile oggi una dittatura in un paese a democrazia occidentale. Le facce del potere sono tali e talmente interconnesse da scongiurare un disegno univoco anche sotto un profilo meramente nazionale. Il potere non è più nemmeno solo economico, dato che deve esercitare anche sotto un profilo puramente mediatico. E quanto conti questo ruolo che giocano i mezzi d’informazione ben lo sanno coloro che lo detengono. I fatti recenti della storia, anche quella di piccolo cabotaggio, dimostrano che solo così gli aguzzini possono sentirsi vittime. Questo è importante. La rimozione della storia non passa più solamente attraverso il revisionismo perseguito con i mezzi consueti della coercizione di massa e del lavaggio del cervello, ma, primariamente, dalla assoluta certezza di un’etica personale plasmabile e ridisegnabile volta per volta. Ed ecco che la storia è l’oggi e oggi è la storia che non ha domani. Ecco la vera potenza dei mezzi della comunicazione. Ecco che, circondati dai loro consimili e da un potere che ha mille facce, gli aguzzini sono davvero vittime già al presente, mentre esercitano i loro misfatti. I mostri della storia non sono mai stati tanto intercambiabili. O forse è meglio dire che la storia mai è stata tanto vaga e inattuale?
C’è chi sostiene che ciò si traduce nell’impoverimento della barbarie. Nella sostanza scorre meno sangue! I teorici di quella destra che oggi si autodefinisce neoliberista propugnano tale pratica, anche a presidio di una cultura autenticamente popolare.
Ma come agisce oggi la comunicazione, nella pratica? Nulla è negato e non c’è miglior censura che mostrare tutto senza dare alcuno strumento critico. La vera faziosità è proprio questa liberalizzazione assoluta, soprattutto dell’immagine. Le atrocità, così come le banalità, ci inseguono ad ogni minuto, preferibilmente nei momenti di maggior relax, e si susseguono con una prodigiosa tecnica cinematografica: angolature innumerevoli, moviole, immagini rallentate, zoomate. E ci dicono, appunto, che siamo al cinema. Giocano sulle nostre emozioni, che sono deputate a trattenere nel medio periodo ciò che più ci fa comodo, o ciò che ci ferisce meno. I messaggi dilagano senza barriere e scardinano le resistenze più acute. Le opinioni rimbalzano di continuo in un subdolo gioco di contraddittorio senza fine, così da confondere al punto che chi le esercita acquisisce il potere di una ben pagata e battagliera quiescenza. Inoltre sono perlopiù affogate in occhieggianti richiami sessuali o accattivanti incentivi consumistici. La musica ci perseguita ovunque, dagli uffici ai ristoranti, apparentemente a sostegno della pacificazione dello stress ma in realtà a rafforzo del processo emozionale di rimozione.
C’è da credere fermamente in una regia magistralmente concertata, ma anche in questo caso gli aguzzini sono vittime. Dentro questa cornice, per esempio, la sinistra italiana oggi si chiede come difendersi dagli attacchi dei piazzisti, cieca, in un quadro internazionale che vede il sopruso ed il genocidio trionfare. E grida, per farsi ascoltare, le stesse frasi fatte di chi fa uso della comunicazione con intenti contrarî.
Il mondo non esplode più del solito, la barbarie non è meno cruenta che nel passato là dove la vita è un bene messo di continuo in discussione dagli altri. Di nuovo le vittime diventano carnefici in un crescendo sadicamente orchestrato, nella totale acquiescenza (ma sarebbe meglio dire connivenza) dei paesi più ricchi e delle loro ben pasciute masse. Ma dove i fasti dell’immagine non giungono mediati da un disegno più organico, là dove la colonizzazione ha oggi connotazioni assai simili ad un ipermercato, ecco che la realtà è vincolata dal dramma dei diseredati di sempre. E la Politica non è di per sé sporca, ma uccide proprio per la sua capacità di mediazione. Per quanto ci riguarda uccide gli altri, naturalmente!
Ma il grado di consapevolezza di tutto questo è, ancora una volta, contrastato dalla potenza e dalla immediatezza della sua visibilità. Qui non si parla dell’etica dell’essere, ma del divenire imperturbabile degli accadimenti, sebbene in un concetto aconfessionale la cosa abbia rilevanze assai meno nobili… E il futuro? Ci aspetta con un maggior grado di rimozione, come pare, o soccomberà alla trappola della democraticità dei suoi mezzi? Comunque sia, temo che la traslazione sarà nuovamente frutto della nostra tragica inconsapevolezza.
Marzo 2002