- a cura del centro studi arya -
Così suona il titolo dell’ultimo libro di Robert Laffont, scritto alla venerabile età di ottantasette anni: LES NOUVEAUX DINOSAURES. I nuovi dinosauri, per l’appunto. Inutile cercare la traduzione in italiano di questo libro: non esiste! Il presente articolo, perciò, più che una recensione vuole essere una sorta di resoconto dei punti salienti del libro per quanti non potranno leggerlo.
Nel resto dell’Europa e in quasi tutto il mondo, Robert Laffont non ha bisogno di presentazioni: in Italia sì! Diciamo subito allora che non è uno scrittore, ma uno dei più coraggiosi e celebrati editori viventi. Le Editions Robert Laffont in Francia sono una garanzia di serietà e di raffinatezza, a un livello che, nella sua globalità, nessun editore italiano finora ha saputo anche solo lontanamente avvicinare.
Ma perché Robert Laffont ha voluto dedicarsi alla scrittura di un libro (il terzo, nella sua vita)?
Tutto è iniziato da quel fatidico 11 settembre 2001. Guardando alla televisione le immagini dei due aerei che si abbattevano sulle Torri Gemelle, qualcosa dentro di lui ha gridato: «I dinosauri!».
Sorpreso per questa associazione di idee che a prima vista gli appare incongrua, cerca di comprenderne il senso. Così, le sue investigazioni lo conducono sulle tracce dei dinosauri del Giurassico per passare poi ai meandri del cervello umano. E scopre strane coincidenze che, a una distanza di sessantacinque milioni di anni, collegano queste “terribili lucertole” (dal greco deinos, terribile, e saura, lucertola) con ciò che l’uomo ha creato. E giunge a porsi (e a porre ai suoi lettori) una domanda: «i nuovi dinosauri porteranno l’umanità sull’orlo dell’estinzione?».
Guardando l’avanzare rapido e sorprendente delle scoperte scientifiche nel corso del XX secolo, Laffont constata nella introduzione che «le ali di Icaro, i disegni di Leonardo da Vinci, i racconti di Jules Verne non paiono più un semplice lavoro di immaginazione, ma come delle premonizioni.» E tuttavia, subito dopo si trova costretto ad aggiungere una amara constatazione: «purtroppo, la nostra sete di progresso ha messo il pianeta in pericolo. E noi ci ritroviamo doppiamente colpevoli: di averlo maltrattato e di continuare a farlo malgrado i segni visibili di degradazione avanzata».
E guardando gli ultimi sette milioni di anni della vita del pianeta, ovvero da quando l’uomo è apparso sulla terra fino a oggi e cercando di interrogarsi sul futuro, giunge a riflettere sul fatto che «Sri Aurobindo ha aperto una strada che Mère, la sua compagna, ha proseguito. Essi hanno cercato di capire attraverso quale mezzo la coscienza della specie umana potesse evolvere per passare a uno stato superiore rispetto all’homo sapiens. Se la strada è lunga e difficile, ciò non significa che essa sia impossibile».
Introduzione a parte, il libro è diviso in due sezioni. Nella prima l’Autore entra nel vivo del problema partendo da una semplice domanda: «Quale tipo di rapporto i dinosauri possono avere con noi?».
Andando a leggersi libri scientifici sui dinosauri, come una sorta di novello Sherlock Holmes e assistito da un Watson che ha il nome di Julia Hung, Laffont inizia la propria inchiesta, imbattendosi presto in riflessioni che, a poco a poco, gli aprono qualche spiraglio di comprensione.
È il caso per esempio dello scienziato Philippe Taquet, che nel suo libro L’impronta dei dinosauri afferma:
«Dopo avere lasciato le loro tracce sui quattro angoli del pianeta, i dinosauri, questi sorprendenti viaggiatori del mesozoico, ritornano oggi, grazie ai ricercatori di ossa, a segnare con le loro impronte un mondo sempre più invaso da una sola specie, la nostra. Possa il destino dei dinosauri servire utilmente agli ominidi che noi siamo come oggetto di riflessione e di meditazione».
Ancora più pregnante appare la citazione tratta da Sulle tracce dei dinosauri, di Eric Buffetaut:
«Interessarsi ai dinosauri non consiste semplicemente nel visitare una galleria di mostri smisurati dall’aspetto stravagante e terrificante… È lo studio di una “esperienza” dell’evoluzione che ha conosciuto un successo indiscutibile se la si giudica dalla sua durata. Ed è al tempo stesso un interrogarsi su ciò che ha causato la fine dell’esperienza e, perché no, trarne delle lezioni — poiché tutto quanto concerne l’estinzione di una specie può anche riguardare la specie umana».
E in breve Robert Laffont inizia a tracciare le coordinate essenziali della propria ricerca:
«Gli uomini hanno ricreato dei dinosauri sul modello di quelli che vissero nell’èra secondaria. Non sono di carne, di sangue e di ossa. Sono impalpabili ma presenti, invisibili ma attivi. Sono la somma di quanto noi produciamo intellettualmente, fisicamente, energeticamente, spiritualmente e che, in un doppio movimento dall’interno verso l’esterno e dall’esterno verso l’interno, si oppongono a noi su tutti questi piani. Sotto una forma differente ma con caratteristiche analoghe — gigantismo, predazione, proliferazione, mostruosità —, degli insiemi paragonabili ai vecchi dinosauri ricompaiono.
Questi nuovi dinosauri si dividono anch’essi in erbivori e carnivori e intraprendono fra loro dei combattimenti altrettanto feroci di quelli dei loro modelli del mesozoico. Gli Stati, le multinazionali, i sindacati, le Chiese si raggruppano tra gli erbivori; i clan mafiosi, le sette, le organizzazioni terroristiche figurano fra i carnivori.
L’11 settembre 2001, un nuovo dinosauro carnivoro, Al-Qaeda, ha attaccato un nuovo dinosauro erbivoro, gli Stati Uniti d’America».
Davvero, il discorso comincia a farsi interessante!
Ma noi — si precisa subito — «non dobbiamo commettere l’errore comune di considerare gli erbivori meno pericolosi dei carnivori, né pensare che gli erbivori siano fatalmente le vittime dei carnivori». Questi mastodonti, per sopravvivere, dovevano ingurgitare circa due tonnellate di vegetali a ogni singolo pasto! D’altra parte, bisogna anche ricordare che «i dinosauri carnivori uccidevano per il piacere di uccidere, divoravano per affermare la loro potenza, a costo di vomitare subito dopo per la troppa pienezza, poiché la cosa fondamentale era l’eliminazione di ogni potenziale avversario dal loro territorio, seminando il terrore».
L’autore di questa frizzante ma spietata analisi offre anche una data di massima come prima apparizione dei nuovi dinosauri: il 1820, corrispondente all’inizio della moderna èra dell’industrializzazione. Inoltre, egli indica come una delle principali caratteristiche dei nuovi dinosauri quella di dare libero corso a un sentimento di titanismo che li porta a dimenticare la ragione essenziale e primaria della loro esistenza. E giunge così a una prima conclusione — o meglio, a un primo interrogativo fondamentale:
«L’11 settembre 2001, il combattimento dei nuovi dinosauri al quale abbiamo assistito non fece vittime fra questi ultimi. Per dirla in altri termini, né lo Stato americano né l’organizzazione terrorista Al-Qaeda sono morti, sebbene abbiano riportato qualche ferita, sicuramente più nel loro orgoglio che nella loro integrità fisica. I morti si contarono fra gli esseri umani. Dovremmo perciò comportarci come i mammiferi del giurassico e del cretaceo, vale a dire tenerci lontani da questi mostri, se vogliamo avere qualche possibilità di sopravvivere alla loro volontà di potenza?».
Molto acuta e stimolante (e di una ironia spietata ma tristemente puntuale, con qualche lieve tratto caricaturale che mette ancora più in evidenza le assurdità del sistema) la descrizione dei nuovi dinosauri — ne riportiamo un breve passaggio: «Il governo corrisponde al cervello, riproducendone, in linea di massima, i due emisferi, quello di sinistra e quello di destra. Il flusso monetario è soggetto agli stessi pericoli della circolazione sanguigna e la Borsa rischia spesso l’infarto. I cittadini, salariati, consumatori, aderenti e fedeli, partecipano al sistema respiratorio; senza di loro, la vita sarebbe decisamente impossibile per i nuovi dinosauri».
Risulta impossibile (lo ammettiamo a malincuore) entrare nei dettagli in un articolo tutto sommato breve; è bene comunque sapere che l’Autore offre dettagliate e precise analogie dell’apparato fisiologico dei vecchi dinosauri e quello dei nuovi, in due capitoli successivi, uno dedicato agli erbivori, l’altro ai carnivori. In questo modo, mostra come questi dinosauri affermano la loro potenza e il loro dominio a dispetto di tutto.
Qualche esempio di nuovi dinosauri erbivori. Gli Stati-dinosauri maltrattano i paesi che dovrebbero al contrario servire e proteggere (appesantendo in tal modo le funzioni digestive e creando bulimia e disfunzioni nel metabolismo — nella fattispecie, mediante un eccesso di burocrazia) e cercano costantemente di mangiare l’erba del vicino (non perché è più verde o più buona, ma solo per la loro inveterata tendenza alla voracità). Mentre i dinosauri-multinazionali praticano il cannibalismo, divorandosi tra di loro per formare una massa sempre più grande, non lasciando alcuna speranza alle creature di taglia più modesta; anzi, «seminano la discordia tra i popoli allo scopo di vendere armamenti e lasciano che le epidemie si diffondano per potersi appropriare delle ricchezze del sottosuolo». Lo stesso liberismo selvaggio (la cosiddetta globalizzazione) estende i poteri dei dinosauri-multinazionali. «Nel nome del profitto, i laboratori farmaceutici preferiscono continuare a produrre medicinali sempre più costosi e i cui effetti secondari mettono la vita degli stessi esseri umani in pericolo, assicurandosi in tal modo benefici enormi, in luogo di finanziare la ricerca, certo costosa, di terapie meno distruttrici. Le industrie agroalimentari hanno prodotto farine animali con le conseguenze che conosciamo. La siderurgia, i gruppi chimici e petroliferi se ne infischiano della nostra salute e inquinano a più non posso. I mass-media, invece di denunciare queste nefandezze, dipendono da gruppi i cui benefici si calcolano addizionandosi a quelli delle fabbriche di armi. Questo bel mondo prospera sotto l’occhio benevolente delle banche, esse pure organizzate su scala mondiale» (a proposito delle banche, Laffont aggiunge: «La banca Tale del gruppo Caio non è là per darvi un qualche aiuto. È pronta a farlo soltanto se questo gli apporta immediatamente dei soldi e se non esiste la minima ombra di rischio» — e aggiunge, lui che è uno degli editori più rinomati del pianeta: «ne ho fatto io stesso più volte la penosa esperienza»… chi di noi non ne ha mai fatto esperienza?). Citiamo infine anche l’esempio delle Chiese-dinosauri, che «si appoggiano sul dogma, cercando di persuadere i loro fedeli che la rappresentazione che essi offrono di Dio è la sola vera», promuovendo in tal modo il settarismo, l’intransigenza, il proselitismo, il desiderio di egemonia e perciò determinando di fatto (senza ovviamente ammetterlo esplicitamente) gli scontri fra esseri umani che seguono credo diversi. «Le crociate costituiscono uno dei primi genocidi dell’umanità, che si estenderà con zelo ineguagliato sui cinque continenti. La risposta musulmana, qualche secolo dopo, si effettua con altrettanto sangue e barbarie».
Ed esistono anche, dicevamo, i nuovi dinosauri carnivori. I carnivori sono generalmente più piccoli, più agili, più rapidi e più intelligenti degli erbivori. I loro mezzi di locomozione e i loro organi sensoriali sono più sviluppati. Il loro sistema digestivo è meno lungo e meno complesso. Inoltre, il loro regime alimentare li rende assai più feroci, diventando delle vere e proprie macchine di morte. E qui scatta l’immaginazione brillante e tagliente dell’Autore: «Il Tyrannosauro Rex che popolava il suolo della grande America si è incarnato oggi nella mafia italo-americana. Yakusa, la mafia giapponese, fa invece pensare piuttosto al Velociraptor, di taglia più modesta rispetto ai suoi simili, ma non per questo meno terribile. […] La mafia russa, celebre per i suoi bagni di sangue, ha ereditato la cieca ferocità del Carnotauro, il “toro carnivoro”. […] La mafia cinese può utilizzare come emblema il Tarbosauro, “rettile inquietante”. […] Mentre la setta Moon, o la Chiesa di scientology, potrebbero facilmente identificarsi al Deinonychus, letteralmente “terribili zanne” […]. Ma il parallelismo più significativo, in questo ambito, è quello che si stabilisce fra Al-Qaeda e “dente che ferisce”, Trudon. Esso misurava due metri e quaranta centimetri, un nano rispetto al tirannosauro. […] Nuovo venuto nella successione dei dinosauri carnivori del cretaceo, giacché egli apparve solo dieci milioni prima dell’estinzione definitiva delle “terribili lucertole”. E questo dettaglio certo non ci rassicura». Così come non ci rassicura la fine dei vecchi dinosauri: «Gli erbivori che riuscirono a sopravvivere al diluvio di fuoco e di cenere morirono rapidamente di fame. I carnivori che resistettero credettero senza dubbio che sarebbero iniziati i tempi dell’abbondanza. Ma questi amanti di carne fresca presto cambiarono avviso e dovettero accontentarsi delle carogne dei loro congeneri per giungere a divorarsi fra di loro fino all’ultimo e a non ricomparire mai più su questa Terra».
E, proseguendo sulla scia dei parallelismi, Robert Laffont non può non notare che «La dominazione di una sola specie mette in moto la sua proliferazione e l’estinzione delle altre specie, rompendo in questo modo la diversità che regge la natura e la cui ragion d’essere ancora ci sfugge. Tutto è interconnesso e nulla può essere dissociato dal sistema senza metterlo in pericolo. Sfidando queste leggi, l’uomo crede di andare oltre se stesso, mentre non fa che correre verso la propria rovina. Al pari dei suoi antenati del mesozoico, i nuovi dinosauri giocano un ruolo determinante nello sconvolgimento degli ecosistemi».
Giunto a questo punto, Laffont passa a investigare il rinocefalo, ovvero il cervello dei rettili, che — come sappiamo, dopo le ricerche compiute dal neuropsichiatra Paul MacLean a partire dagli anni Sessanta — è anche la struttura primaria del nostro stesso cervello. Il nostro cervello, infatti, secondo la concezione scientifica del Triune Brain (il “cervello trino”) è costituito da tre strati, i quali, a detta degli esperti, pur avendo specificità ben distinte devono funzionare insieme e comunicare fra loro, altrimenti si producono squilibri mentali più o meno evidenti. Il rinocefalo (detto anche ‘R-complex’ o ‘cervello rettiliano’) è lo strato primario (riguardante i bisogni e gli istinti primari), sul quale si sono sviluppati gli altri due: il sistema limbico, tipico dei mammiferi e che regola in particolare le emozioni, e la neocorteccia cerebrale (neo-cortex), che avvolge gli altri due strati, i cui compiti non sono stati ancora investigati compiutamente, mentre sappiamo per certo che essa permette la conoscenza e l’integrazione delle informazioni provenienti dalle strutture rinocefaliche e limbiche ma che sa anche adattarsi in modo inaspettato a situazioni impreviste, cosa che gli altri due strati non sono in grado di effettuare. È il santuario del pensiero razionale e, molto verosimilmente, la porta verso qualcosa di più alto ancora: l’intuizione e, magari anche, la rivelazione.
Il cervello dei rettili, «per quanto complesso, non ha nulla di sofisticato e coordina semplicemente quattro modelli di relazioni con l’esterno: l’identificazione, la sfida, la seduzione e la sottomissione. […] Nessuna emozione, nessun sentimento, ancor meno il pensiero turbano questa meccanica che possiede una indubbia efficacia». Il suo compito principale è quello di preservare l’individuo e quindi la specie alla quale l’individuo appartiene; la ricerca e la difesa del territorio, l’approvvigionamento di cibo, l’emissione di segnali di attacco o di sottomissione, l’individuazione di un partner sessuale a fini riproduttivi sono tutte funzioni che questo tipo di cervello svolge egregiamente. Davanti al pericolo, per esempio, questo cervello è programmato per avere due reazioni differenti: la fuga da una parte e, quando questa risulta impossibile, l’aggressività portata al suo estremo dall’altra.
Ancora prima di Robert Laffont, il celebre professore di biologia Maurice Auroux, specializzato in ricerche sullo sviluppo strutturale e funzionale del cervello, mise in evidenza l’eccessiva sollecitazione del rinocefalo nella società moderna, lanciando per primo — nel suo libro L’ambiguità umana — un segnale d’allarme.
Mentre l’essere umano dovrebbe, per considerarsi realmente tale, cercare di conoscere e sviluppare ulteriormente l’utilizzo della neocorteccia cerebrale al fine di evolvere il proprio livello di coscienza, la società moderna al contrario tende a sviluppare — in una sorta di perniciosa regressione — il rinocefalo in maniera spropositata e quasi univoca. Ne deriva, come conseguenza, un aumento da parte dell’uomo della sua volontà di difendere e allargare il proprio territorio, una forsennata ricerca volta alla soddisfazione di un numero infinito di ‘bisogni’ di cui ‘nutrirsi’, un continuo processo di difesa e di eliminazione dei potenziali avversari. «Mi pare urgente — ci suggerisce Laffont — che gli esseri umani comprendano il funzionamento di questo ‘cervello del rettile’ se vogliono riuscire a constatare i nuovi dinosauri. […] I nuovi dinosauri non conoscono la paura, l’amore, la pena, l’umorismo. Questa impossibilità di sentire e di esprimere una emozione li rende dei mostri freddi e implacabili. Privi di neocorteccia, sono incapaci di pensare, pertanto procedono per imitazione. Ciò provoca la standardizzazione e il suo corollario, il conformismo, che si manifesta con il “politicamente corretto”. Il conformismo va di pari passo con il condizionamento e apre così la porta al pensiero unico, alla negazione della libertà. La moda ne è attualmente l’espressione più compiuta e più inquietante, poiché è interamente nelle mani dei nuovi dinosauri. Considerata fino a poco tempo fa come frivola, è diventata un diktat che abbraccia tutte le età e mette al bando della società colui che non vi si sottomette. Essa cela tre fondamenti del totalitarismo, espressione del cervello del rettile: identificazione, unificazione, alienazione. Essa è un’arma di sottomissione che le “terribili lucertole” abusano, suscitando la perdita d’identità che conduce a una forma di follia: l’altro non esiste se non è un mio specchio. Inoltre essa non è più basata sulla bellezza, la gioia e l’originalità ma tende a trasformarci in cloni tristi e fiacchi, deformando il corpo umano con degli abiti fino al ridicolo».
E, come se ciò non bastasse, «i nuovi dinosauri carnivori, gli erbivori ma anche i più rari onnivori sono eccellenti in quella particolare capacità conosciuta come la delinquenza dei colletti bianchi, che si sostiene sull’aggiramento delle leggi e sullo sfruttamento delle falle giuridiche. In ciò sono coadiuvati da studi di avvocati che creano dei circuiti paralleli allo scopo di rubare, saccheggiare, uccidere in piena legalità».
Anche la pubblicità segue un percorso che tende a ipnotizzare il rinocefalo e a immobilizzare le attività della neocorteccia cerebrale: «La pubblicità lo ha capito molto bene, facendo leva su discorsi stereotipati e fascisti: se tu non acquisti questa autovettura non farai mai parte delle persone che contano in questo mondo e i tuoi figli si vergogneranno di te».
Robert Laffont non usa certo mezzi termini e sa andare sempre diritto al cuore della questione, anche quando si concede il lusso della metafora: «Le “terribili lucertole” attaccano raramente in modo frontale o lo fanno solo quando sono in gruppo e sicure dell’esito fatale di colui che viene identificato a torto o a ragione come il nemico».
In tutto questo sistema, anche l’educazione gioca ovviamente un ruolo importante: «Alla nascita, il rinocefalo ha già raggiunto la sua maturità, al contrario della neocorteccia, ancora in pieno sviluppo. Nel corso dei primi anni della loro vita, i bambini sono dunque totalmente permeabili ai messaggi inviati dai nuovi dinosauri. Le multinazionali dei media, dell’editoria, dei giochi e dell’industria cinematografica hanno buon gioco a indirizzarsi ai nostri figli, i quali si ritrovano senza difesa di fronte alle loro sollecitazioni. […] L’apprendimento non è appannaggio del rinocefalo, ma della neocorteccia, e quando prevale il primo rende estremamente difficile tale apprendimento che richiede capacità di adattabilità e cambiamento. Gli schemi ai quali la scuola fa appello non sono più sentiti come un accesso possibile alla conoscenza ma come un rapporto di sottomissione-dominazione. Le basi acquisite nell’infanzia preparano al condizionamento che avrà ripercussioni nefaste sull’adulto».
Esiste poi un ulteriore pericolo: e cioè che la neocorteccia cerebrale, sia pure inibita nelle sue funzioni più elevate, si riduca al ruolo di schiavo del rinocefalo. «Se i nuovi dinosauri sono sprovvisti di neocorteccia, gli uomini che a essi sono infeudati ne posseggono una, che non resta certo inattiva. La sua capacità di adattamento, le sue possibilità illimitate producono meraviglie nella messa in opera di circuiti meccanici. La neocorteccia conferisce loro una raffinatezza che rasenta l’intelligenza. E alimenta anche questa facoltà innata di fraudolenza propria del cervello del rettile e gli dà man forte grazie al suo potere d’immaginazione, arrivando perfino a rendere i nuovi dinosauri dei criminali incalliti. Accade infatti che, in un movimento inverso, la neocorteccia sottomessa dal cervello del rettile contamina ogni attività riflessiva. L’intelligenza serve allora a trovare dei meccanismi di conservazione estremamente sottili. La storia ci ha fornito qualche esempio recente: Stalin, Hitler, Mao Tze-Tung, Pol Pot, Osama Bin Laden.
[…] I nuovi dinosauri hanno introdotto nel loro meccanismo da rettili delle nozioni di filosofia, di psicanalisi, di storia, eccetera. Dopo aver sommerso il pianeta di oggetti di consumo che sono tanto inutili quanto deleteri, è necessario avere l’aria di opporsi a questo flusso distruttore in modo da potere, in tutta impunità, continuare a alimentarlo. I media hanno volgarizzato le scoperte scientifiche, la sociologia, la psicanalisi».
E, affermando quanto è già agli occhi di molti, ovvero che in questo sistema «la frontiera fra la dittatura e la democrazia si fa sempre più fragile», aggiunge un particolare piuttosto interessante sul quale non si è ancora sufficientemente riflettuto: lo scienziato «Maurice Auroux sottolinea che, nel rinocefalo dei topi, alcune zone eccitate dalla paura che scatenano aggressività si trovano vicine alle zone dove l’eccitazione provoca un sentimento di soddisfazione. Così, sempre nei topi, l’aggressività può, in talune circostanze, accompagnarsi al piacere. Con il pretesto di fare regnare la libertà e per il fatto di sentirsi minacciato, il governo statunitense sviluppa a iosa un settarismo, una aggressività e una volontà di potenza che rischiano di mettere in pericolo la pace relativa che regna oggi nel mondo».
A questo punto, una precisazione diventa d’obbligo, che nel libro apporta una svolta decisiva. Ciò che a Robert Laffont preme, se fin qui non fosse stato sufficientemente chiaro, non è certo di paragonare gli esseri umani ai dinosauri. Piuttosto, il motivo scatenante di tutta la ricerca che conduce in questo libro affascinante, è — al contrario — quello di smascherare i nuovi dinosauri e invitare gli esseri umani a non farsi sottomettere e fagocitare da questi mastodonti. Giacché, in realtà, questi «nuovi dinosauri hanno dichiarato guerra alla specie umana. Accecati dal nostro desiderio di dominare la natura, di sottometterla ai nostri bisogni e di assicurare quella che noi crediamo essere la nostra supremazia, abbiamo creato, grazie a essi, un mondo a nostra immagine: imperfetto. Ancora una volta, forniamo una conferma del teorema del matematico Kurt Gödel: un sistema non può costruire che dei sistemi inferiori a ciò che egli stesso è».
Perciò, l’essere umano è invitato oggi — con gentilezza da Robert Laffont, con una certa perentorietà da Madre Natura! — a una nuova evoluzione che gli permetta, anzitutto, di utilizzare in modo più completo, libero e creativo la propria neocorteccia cerebrale, aprendosi a reami di coscienza superiori e cercando nel contempo di renderli operativi nella nostra realtà materiale, in modo da apportare quei cambiamenti che ci permettano di destarci al nostro vero senso, che è poi il medesimo che persegue la Natura nella sua lenta progressione evolutiva.
«L’uomo fa fatica non solo a concepire che esiste un limite alla sua comprensione delle cose ma anche che possa accedere a ciò che gli appare incomprensibile. Come possiamo concepire l’infinito quando siamo per natura limitati? I nostri sensi, essi stessi limitati, non ci permettono di apprendere e di comprendere la materia e ancor meno lo spirito nella loro globalità. Noi abbiamo tutto da imparare da questa natura che non chiede di meglio che insegnarci le sue conoscenze di cui ella non fa, contrariamente a quanto si crede, alcun segreto. Basta guardare e ascoltare allo scopo di vedere e capire perché essa ci confidi qualcuno dei suoi procedimenti che per noi appartengono ancora al dominio della magia».
Come diceva lo stesso Albert Einstein, che Laffont ama spesso citare, «il paranormale è il normale di domani».
«L’uomo deve a questo punto uscire dal mondo dei pensieri preconcepiti, per accedere a una sorta di verginità spirituale. […] Questa conoscenza e questa comprensione obbligano l’uomo a liberarsi dall’ego, principale ostacolo a qualsivoglia comunione con il regno minerale, il regno vegetale e il regno animale di cui noi stessi siamo tuttavia costituiti e a questa parte del divino che è anch’essa parte integrante della nostra natura. I nuovi dinosauri non hanno alcun potere sul qi, come lo definiscono così bene i cinesi, il soffio mediano senza il quale lo yin e lo yang resterebbero inerti. Questo soffio di vita — divino — anima l’intera creazione quaggiù. Gli esseri umani dovrebbero utilizzare questo elemento così prezioso che li costituisce per combattere i nuovi dinosauri, i quali non possono servirsi di tale soffio giacché nell’essenza sono inanimati. […]
È evidente che noi siamo degli esseri in divenire, ben lontani dall’avere raggiunto lo stadio ultimo della specie degli ominidi. L’homo abilis ha fabbricato i primi attrezzi. Si è evoluto nell’homo erectus che ha creato una prima organizzazione sociale. L’homo sapiens di Neandertal che lo succedette fu il primo a seppellire i propri morti. Nello stesso momento, una diversificazione dell’homo sapiens si produsse nell’uomo di Cro-magnon, lasciando senza posteri quello di Neandertal. Quello che, dopo dodici mila anni da questo momento, chiamiamo sapiens sapiens dovrebbe dunque, seguendo la logica, diventare un “illuminato”».
Laffont è giunto alle conclusioni del suo libro. Ma vuole ancora dare un paio di indicazioni preziose. Questa volta più personali.
«Forse, avendo perduto mia madre in tenera età, il fatto di non avere mai cessato di lottare contro la crudeltà della sua assenza mi ha spinto a cercarla dovunque su questa terra e al di là di essa. Senza sosta, mi chiedevo: “Dov’è?”. Diventato editore, grazie ai libri ho allargato gli orizzonti della mia ricerca. In questo modo un giorno ho scoperto Sri Aurobindo, Mère e Satprem.
Nel 1974 ricevetti un manoscritto di un francese, intitolato Attraverso il corpo della terra, che narrava la storia di un sannyasin. Affascinato, volli saperne di più sull’autore. Scoprii allora qualcosa che mi impressionò all’estremo: quest’uomo aveva trascorso due anni a Mauthausen, da dove ne uscì per miracolo ma dove VIDE l’orrore umano in tutta la sua follia. Alcuni dei suoi compagni non seppero resistere a questa visione, e sono morti. Non sono morti di fame, né di sevizie, e nemmeno di malattia, no, sono morti perché non hanno potuto sopportare di VEDERE l’inimmaginabile, quello che l’uomo ha commesso di irreparabile e di irrimediabile. Hanno visto la DANNAZIONE. Egli è sopravvissuto a questa visione per spiegare che cosa è questa Grazia sublime che attanaglia l’uomo e che non chiede che di scaturire dalla sua anima per rischiarare il nuovo cammino che l’umanità deve ora percorrere.
Satprem non ha fatto della sua permanenza nei campi di concentramento una divisa di pietà e di lamentazione, ne ha fatto un cammino iniziatico nel vero senso della parola. È realmente morto a se stesso, morto alla vita terrestre e poi è nato di nuovo ma a un livello superiore di coscienza. A quel punto è iniziata per lui la vera vita. Ora vive esclusivamente per la comprensione, l’attuazione e la trasmissione del messaggio di Sri Aurobindo e di Mère. I libri che ha scritto rappresentano una battaglia, contro la morte, contro l’ingiustizia, e questa battaglia ha prodotto un’opera magistrale».