MAURITIA
- a cura del CENTRO STUDI arya -
La civiltà attuale ha preso forma negli ultimi 12.000 anni — sebbene, come è noto, gli esseri umani si sono evoluti già molto tempo prima (secondo la scienza, la specie “homo” esiste da circa un milione di anni sul pianeta terra). Ecco perché le leggende di civiltà e continenti scomparsi abbondano nelle varie culture umane: Atlandide, Lemuria, Mu, Kumarikandam, per limitarsi alle più famose.
Oggi, queste leggende potrebbero essersi arricchite di un importante tassello: al principio di quest’anno (2013), sono stati resi pubblici i risultati dello studio condotto da un team internazionale (composto da studiosi norvegesi, sudafricani, tedeschi e inglesi), in cui si sostiene che sul fondale dell’Oceano Indiano (sotto le acque che separano il Madagascar dall’India, tra l’isola di Reunion e l’isola di Mauritius) si trova un’isola sommersa, un micro-continente grande circa tre volte quanto l’isola di Creta che, fino a ora, era rimasto nascosto sotto delle enormi masse di magma. L’isola, battezzata Mauritia (a circa 900 chilometri dalla costa del Madagascar, sotto l’arcipelago Mauritius), si sarebbe staccata dalla grande isola africana quando i movimenti tettonici spinsero il subcontinente indiano a nord, verso la costa asiatica, centinaia di milioni di anni fa. Infatti, fino a circa 750 milioni di anni fa, il subcontinente indiano e la grande isola erano attaccati e formavano parte di quello che in geologia viene ricordato come il supercontinente Rodinia. I conseguenti cambiamenti della crosta terrestre nella regione avrebbero causato l’affondamento dell’isola (o dell’arcipelago) di Mauritia e la sua presenza sul fondale sarebbe dimostrata anche dal fatto che nella zona la crosta terrestre è spessa più di 25 chilometri contro i 5-10 di media. Dopo la separazione tra l'India e il Madagascar, risalente a circa 85 milioni di anni fa, Mauritia cominciò a sgretolarsi e venne infine sommersa dalle onde.
«L’Oceano Indiano potrebbe essere disseminato di frammenti continentali», si legge nel documento scientifico reso noto. Uno dei frammenti emersi nel corso della separazione tra le due masse continentali di India e Madagascar, ai confini delle quali vi è la zona di rottura, è costituito dalle isole Seychelles. E la presenza di questi frammenti di micro-continenti sommersi sarebbe — secondo gli scienziati — più comune di quanto ritenuto finora. Infatti, le analisi del campo gravitazionale terrestre hanno rivelato che alcune aree della crosta del pavimento oceanico (come già abbiamo accennato) sono molto più spesse del normale e, quindi, potrebbero rappresentare frammenti di antichi micro-continenti come Mauritia.
Mauritia, in ogni caso, rimanda alle diverse leggende di Atlantide, Lemuria, Mu e Kumarikandam. Diamone un sintetico resoconto.
ATLANTIDE
Il mito di Atlantide è menzionato per la prima volta da Platone nel Timeo e nell’incompiuto Crizia (scritti intorno al 360 a.C.). Le notizie che Platone narra di Atlantide derivano molto probabilmente dalla tradizione greca, da Creta e forse dall’Egitto e da altre fonti a noi perdute, il tutto reinterpretato letterariamente dal filosofo con intenti didascalici. Secondo tali dialoghi platonici, Atlantide sarebbe stata una potenza navale situata «oltre le Colonne d'Ercole», che avrebbe conquistato molte parti dell'Europa occidentale (Italia compresa) e dell'Africa (in particolare l’Egitto) novemila anni prima del tempo di Solone (approssimativamente nel 9600 a.C.). Dopo avere fallito l'invasione di Atene, Atlantide sarebbe sprofondata «in un singolo giorno e notte di disgrazia» per opera del dio Poseidone. Il nome dell'isola deriva da quello di Atlante, leggendario governatore dell'Oceano Atlantico, figlio di Poseidone, che sarebbe stato anche, secondo Platone, il primo re dell'isola; interessante, a questo proposito, notare che alcuni miti greci indicano Atlande quale figlio dell'oceanide Asia, dettaglio che spinge alcuni studiosi a propendere per la "teoria di Khambhat", secondo la quale Atlantide corrisponderebbe a un'isola sommersa, rinvenuta di recente nel Mare Arabico e risalente ai tempi della civiltà dell'Indo-Sarasvati di cui pare facesse parte (e il periodo storico corrisponderebbe con la narrazione platonica). Gli egiziani, aggiunge il filosofo greco, descrivevano Atlantide come un'isola composta per lo più di montagne nella parte settentrionale e lungo la costa, «mentre tutt'intorno alla città vi era una pianura, che abbracciava la città ed era essa stessa circondata da monti che discendevano fino al mare, piana e uniforme, tutta allungata, lunga tremila stadi [circa 555 km] sui due lati e al centro duemila stadi [circa 370 km] dal mare fin giù. [...] a una distanza di circa cinquanta stadi [9 km], c'era un monte, di modeste dimensioni da ogni lato [...] L'isola, nella quale si trovava la dimora dei re, aveva un diametro di cinque stadi [circa 0,92 km]» (Crizia, 113-116a). Nel Timeo si racconta inoltre di come Solone, giunto in Egitto, fosse venuto a conoscenza da alcuni sacerdoti egizi di un'antica battaglia avvenuta tra gli atlantidei e gli antenati degli ateniesi, che avrebbe visto vincenti i secondi. Secondo i sacerdoti, Atlantide era una monarchia assai potente e gli atlantidei possedevano eccezionali conoscenze occulte. Caduti preda della bramosia e della cupidigia, gli abitanti di Atlantide fecero crescere dentro di sé, tra le altre cose, enormi mire espansionistiche, guadagnandosi così l'ira di Zeus, il quale chiamò a raccolta gli dèi per deliberare sulla loro sorte.
Il primo commentatore di Platone, il filosofo Crantore da Soli, allievo di Senocrate (a sua volta allievo di Platone), è spesso citato come esempio di autore che ritenne la storia un fatto storico. Altri storici e filosofi dell'antichità che credevano nell'esistenza di Atlantide furono Strabone e Posidonio. Zotico, un filosofo neoplatonico del III secolo a.C., scrisse un poema epico basato sul racconto di Platone. Ma esiste anche un trattato ebraico sull'astronomia computazionale datato al 1378-1379, apparentemente una parafrasi di una precedente opera islamica a noi ignota, che allude al mito di Atlantide in una discussione concernente la determinazione dei punti zero per il calcolo della longitudine. Pure Isaac Newton, notoriamente interessato alle scienze esoteriche almeno quanto alle scienze esatte, nel suo The Chronology of the Ancient Kingdoms Amended (pubblicato postumo, nel 1728), analizza una varietà di collegamenti mitologici con Atlantide.
Il racconto di Platone sull'Atlantide può inoltre avere ispirato imitazioni parodiche: solo poche decadi dopo il Timeo e Crizia, lo storico Teopompo di Chio narrò di una terra in mezzo all'oceano conosciuta come Meropide (ovvero terra di Merope). Questa descrizione era inclusa nel libro VIII della sua voluminosa Filippica, che contiene un dialogo tra re Mida e Sileno, un compagno di Dioniso. Sileno descrive i Meropidi, una razza di uomini che crescevano al doppio dell'altezza normale e abitavano due città sull'isola di Meropis: Eusebes (“città pia”) e Machimos ("città combattente"); egli inoltre scrive che un'armata di dieci milioni di soldati attraversarono l'oceano per conquistare Iperborea, ma abbandonarono tale proposito quando si resero conto che gli Iperborei erano il popolo più fortunato del mondo.
Alla metà e nel tardo Ottocento numerosi rinomati studiosi mesoamericani, a partire da Charles-Etienne Brasseur de Bourbourg, tra i quali Edward Herbert Thompson e Augustus Le Plongeon proposero l'ipotesi che Atlantide fosse in qualche maniera correlata alla civiltà Maya e alla cultura azteca. In Brasile, l'archeologo e antropologo francese Marcel Homet indagò sui resti di un antico popolo che egli riteneva discendere dalla civiltà di Atlantide.
LEMURIA
L’ipotesi Lemuria crebbe negli anni Sessanta e Settanta del XX secolo, quando un gruppo di geologi inglesi notò una sorprendente somiglianza tra fossili e strati sedimentari trovati in India (Stow e Blandford) e in Sudafrica, risalenti al Permiano. Venne quindi ipotizzato con sempre maggiore convinzione che possano essere esistiti dei ponti di terra emersa, forse anche continenti che, con il tempo, sprofondarono negli abissi marini. Questi reperti furono datati a 250 milioni di anni fa.
In effetti, già nel 1887 il ricercatore Melchior Neumayr, nel suo libro Erdgeschichte, fece esplicito riferimento a una penisola, da lui chiamata 'Indo-malgascia', che doveva unire l'India e il Sud Africa. Contemporaneamente, tale ipotesi si interfaccia con gli studi del naturalista Heinrich Haekel, per spiegare la quanto mai anomala distribuzione di una famiglia di lemuri e di animali e piante fossili, presenti sia in India sia in Sudafrica e in Madagascar, posta in evidenza dal biologo inglese Philip Sclater, nel 1864. Fu proprio quest’ultimo a coniare il termine 'Lemuria': «Le anomalie della fauna del Madagascar può essere spiegata supponendo l’esistenza di un vasto continente che occupava parti dell’Atlantico e dell’Oceano Indiano; tale continente, in seguito frammentatosi in isole, che infine si amalgamarono con gli attuali continenti africano e asiatico, di cui il Madagascar e le isole Mascarene sono i relitti sopravvissuti di tale antico continente che possiamo chiamare con il nome di Lemuria.» Per la precisione, già una ventina di anni prima di Sclater alcuni studiosi giunsero a supposizioni analoghe, senza tuttavia dare alcun nome al continente sommerso. Sulla medesima linea, nel suo libro Savage Survivals (1933), lo scienziato John Moore scrisse che «si ritiene che l’uomo si sia evoluto in qualche zona dell’Asia meridionale o, magari, ancora più a sud rispetto agli attuali confini asiatici, in territori ora sommersi dall’Oceano Indiano. Tale ipotesi è nota con il nome di Lemuria.»
L’ipotesi Lemuria è recentemente caduta in discredito presso la comunità scientifica a causa del cattivo utilizzo che alcuni pseudo-occultisti ne hanno fatto in pubblicazioni di dubbia serietà e, pertanto, del tutto prive di attendibilità.
KUMARIKANDAM
Kumarikandam (da kumari, ‘la bella’, che è uno dei nomi della Dea Madre, e kandam, ‘continente’) è invece il nome che gli hindu abitanti lo stato del Tamil Nadu attribuiscono a un continente sprofondato nell’Oceano Indiano qualcosa come sedicimila anni fa, il quale — a detta loro — ospitava una civiltà umana assai avanzata. Stando alla tradizione, essa si trovava a sud dell’attuale Kanyakumari. Una delle principali epopee tamil, lo Shilappatikaram (redatto intorno al I secolo d.C.), recita:
«l’oceano si levò e, con violenza,
inabissò le terre di Kumari»
(Maturaikkandam, Libro II, versi 20-21)
I nazionalisti Tamil identificano Kumarikandam con Lemuria, vedendo in essa la culla della civiltà mondiale, dell’umano linguaggio e, in particolare, della lingua tamil (ricordiamo che la più antica grammatica tamil esistente, conosciuta con il nome di Tolkappiyam, risale all’800 a.C.), trovando i favori del linguista tamil Devaneya Pavanar. Nel 1991 R. Mathivanan, allora direttore del Tamil Etymological Dictionary Project voluto dal governo del Tamil Nadu, disse che occorre collegare la scrittura della valle dell’Indo-Sarasvati alla lingua Tamil, arrivando perfino a indicare il periodo della civiltà di Kumarikandam tra il 50.000 e il 16.000 a.C., epoca del suo inabissamento.
MU
Assai più controversa risulta l’ipotesi di Mu, a causa della scarsa attendibilità del suo principale sostenitore: James Churchward, un colonnello dell'esercito britannico, che nel 1874 si trovava in India e, a suo dire, conobbe un sacerdote che gli avrebbe fornito importanti 'rivelazioni' su un continente 'perduto', rese pubbliche nel libro "The lost continent of MU" (prima edizione: 1931), il quale però è un confuso coacervo di fantasie e illazioni, molto probabilmente cucite insieme sulla base di frammenti di leggende tradizionali autentiche e, quindi, degne di una qualche considerazione. Nel libro citato, Churchward rievoca le confidenze che avrebbe ricevuto dal monaco, a proposito del continente sommerso nel Pacifico e ipotizza che MU fosse all'apice dello splendore all'incirca 50.000 anni fa, mentre il suo sprofondamento negli abissi marini risalirebbe a circa 13.000 anni fa, con i suoi 64 milioni di abitanti. Peraltro, come è noto, MU è la dodicesima lettera dell'alfabeto greco, mentre per i Latini la "M" era il segno rappresentativo del numero "mille"; il nome dato al presunto continente sommerso, quindi, reca motivazioni simboliche in cui la numerologia assume un rilievo consistente.
Vorremmo infine soffermarci — seppur brevemente — sulla scoperta di una dorsale sottomarina nell’Oceano Pacifico, conosciuta come la “dorsale di Rapanui”, che si estende tra l’Equatore e l’Antartide, quale prolungamento verso sud-ovest della “dorsale della Galapagos”. Le attuali Isole Galapagos sono in effetti considerate le cime di ciò che resta di una probabile isola assai più estesa o, addirittura, di un piccolo continente. Isole di origine vulcanica, le Galapagos erano note come le “isole incantate” — vi albergano una flora e una fauna del tutto particolari: alcune specie di uccelli e di pesci che sul resto del pianeta Terra risultano estinti, alle Galapagos sono caratteristici. E la cosa bizzarra è che coesistono specie caratteristiche della zona temperata e dei tropici: vi si possono trovare, per esempio, uccelli tropicali e pinguini, banani, iguane giganti (che arrivano ai tre metri di lunghezza), oltre alle testuggini ‘galapagos’, da cui le isole hanno preso il nome. Ebbene, qualcuno ha ipotizzato l’esistenza di un continente ora sprofondato (di cui le Isole Galapagos sarebbero le uniche terre rimaste) abitato da esseri umani i cui discendenti oggi vivono in alcune zone dell’Ecuador, i quali sostengono appunto di appartenere tradizionalmente a un antico popolo vissuto proprio in quel continente sommerso. La particolarità sta nel fatto che questa popolazione non ha caratteri antropometrici e fisici tipici degli altri ecuadoregni, né degli indios o di altre etnie stanziate in Ecuador; infatti, la maggioranza di essi ha occhi azzurri e capelli chiari. Le loro statuette votive, che risalirebbero a circa tremila anni fa, contengono disegni di forme animali somiglianti a quelli che ancora vivono sulle Galapagos. La cosa sorprendente è che quando Rapanui venne scoperta (nel 1722), era abitata da una popolazione di carnagione chiara, che diceva di discendere dagli ultimi eredi di un continente sommerso. Gli indigeni di Rapanui furono decimati dal vaiolo quando i maschi vennero prelevati a forza dai colonizzatori europei e costretti a lavorare come schiavi nelle cave di guano peruviane: contratta la malattia, venivano riportati nella loro isola e, così, finirono per contagiare tutti gli abitanti che, con loro, si portarono i segreti dei giganteschi Moai (le gigantesche e ben note sculture scolpite presenti nell'isola). L’antica scrittura di Rapanui era composta da un alfabeto che conosciamo attraverso alcune iscrizioni pervenute fino a noi e conosciute come le “tavolette di Rongorongo”; il nome completo era ko hau motu mo rongo rongo, che significa letteralmente “righe di scritti per la recitazione”. Si tratta di una scrittura geroglifica e non di un alfabeto fonetico o sillabico (simile a quella usata nell’antico Egitto e nell’ancor più antica civiltà dell’Indo-Sarasvati, per intenderci).
Nella cartina geografica riportata qui in basso, abbiamo inserito i tre ipotetici continenti sommersi (di colore bianco) delle più importanti leggende, laddove queste — con maggiore o minore precisione — li posizionarono: Atlantide (contrassegnato con il numero 1), Kumarikandam (o, se si preferisce, Lemuria; numero 2) e Mu (numero 3). L'ipotetico continente sommerso intorno all'isola di Rapanui, invece, andrebbe ovviamente localizzato a sud dell'America meridionale (nella nostra cartina abbiamo preferito non inserirlo, non avendo alcuna idea sia pur approssimativa della sua eventuale dimensione, ma lo si può facilmente immaginare all'estrema sinistra della figura, verso il basso, tra il Sudamerica e l'Australia).
Aprile 2013