- a cura del CENTRO STUDI arya -
Spesso la chiesa è intervenuta per falsificare molte testimonianze
nella speranza di offrire in questo modo delle “prove” inconfutabili
della reale esistenza fisica di Gesù e della sua resurrezione.
Ne diamo qui qualche breve esempio.
La gestazione della Madonna.
Il Vangelo di Luca dice (1.5-45) che la Vergine Maria è stata fecondata dallo Spirito Santo (“Annunciazione”) al tempo di Erode il Grande, re della Giudea; poco oltre (2.1-7), dice che la Madonna ha partorito durante il censimento indetto dal governatore della Siria Quirinio. Considerando che il re Erode morì nell’anno 4 a.C., e che Quirinio effettuò il censimento suddetto nell’anno 6 d.C., dobbiamo concludere che la gestazione della Madonna durò almeno 11 anni!!!
Come se non bastasse, la chiesa cattolica suffraga la scrupolosità storica dell’apostolo in questione: «Luca, avendo come scopo quello di offrire una documentazione di fondo della fede cristiana, si preparò alla stesura del Vangelo con accurata indagine sui fatti usufruendo inoltre anche del contributo della Madonna che ebbe occasione di conoscere personalmente allorché entrò a far parte della prima comunità cristiana che si formò a Gerusalemme dopo la crocifissione di Gesù». (Da “La Sacra Bibbia” edizione CEI).
“Antichità Giudaiche” di Giuseppe Flavio.
Nato nel 38 d.C. e morto intorno all’anno 100; Giuseppe Flavio fu uno storico ebreo, testimone oculare dell’evoluzione religiosa del mondo ebraico che seguì la guerra giudaica del 70. Terminata la guerra, Giuseppe Flavio giunse a Roma con l’imperatore Tito e visse nell’urbe come ospite della corte imperiale, redigendo le sue memorie storiche, conosciute come “Antichità Giudaiche” (e fu proprio grazie al suo comportamento filo-imperialistico che aggiunse al suo nome, in segno di riconoscenza per la famiglia Flavia, l’appellativo di Flavio). Grazie a quella libertà di culto che i romani concedevano a tutte le religioni, Giuseppe Flavio rimase per tutta la vita un ebreo esseno e su questa religione educò i propri figli (per la cronaca, durante la rivolta dei Maccabei — 167 a.C. —, in seguito all’alleanza dei giudei con i samaritani, si formò quella setta ebraica che, con il nome di esseni (ex asidei), proseguì nella lotta contro l’invasione straniera nell’attesa di un liberatore la cui figura risultò formata dall’unione dei due concetti che ognuna di esse aveva separatamente attribuito al proprio Messia, quello del guerriero davidico giudeo e quello del sacerdote spiritualista samaritano).
Nelle “Antichità Giudaiche” esisterebbe un punto (XVIII.63-64) nel quale Giuseppe Flavio avrebbe scritto di Gesù definendolo “il Cristo” (vale a dire il Messia) e parlando della sua resurrezione. Ma il condizionale è d’obbligo, perché gli studiosi hanno riconosciuto che si tratta di una aggiunta fatta nella seconda metà del secondo secolo da parte della chiesa. Ritirate il più possibile dalla circolazione le copie del libro di Giuseppe Flavio, i primi padri della Chiesa si adoperarono per sostituirli con edizioni contraffatte. Sono comparse però almeno un paio di copie delle “Antichità Giudaiche” nelle quali non esiste riferimento a Gesù Cristo. D’altra parte, ci sarebbe da chiedersi come mai Giuseppe Flavio, che come tutti gli ebrei credeva nell’avvento del Messia, riconoscendone l’avvento nella figura di Gesù non si fosse mai convertito al cristianesimo e fosse rimasto fino alla fine dei suoi giorni un ebreo. Il prof. Shlomo Pines ha scoperto un’opera araba del X secolo, “Storia universale di Agapio” (vescovo di Hierapolis), nel quale viene riportato il libro “Antichità Giudaiche” nella sua forma originale, privo di tutte le espressioni di fede cristiana, dove si accenna all’esistenza di “un saggio di nome Gesù”, la cui condotta era “buona” ed era “stimato per le sue virtù”. La frase “egli era il Cristo” e quella in cui dopo la sua morte si presentò agli apostoli e “apparve loro nuovamente vivo”, presenti nelle copie contraffatte dalla chiesa, non esistono. Non si può certo credere che un ecclesiastico come Agapio abbia potuto togliere dalla propria traduzione del testo di Giuseppe Flavio proprio quelle espressioni che per lui avrebbero rappresentato la testimonianza storica del Messia.
La “Guerra Giudaica” di Egesippo.
Nel IV secolo d.C. venne alla luce la versione latina della “Guerra Giudaica” firmata da un certo Egesippo, dichiarato scrittore cristiano del II secolo e del quale nessuno fino ad allora aveva mai sentito parlare. Il nome Egesippo deriva dal greco Ioseppus che significa Giuseppe, e quindi è chiaro l’intento di far risalire questo libro al Giuseppe Flavio di cui si è parlato poco sopra. Oggi infatti tutti gli esegeti (compresi quelli legati a ambienti ecclesiastici) sono concordi nel riconoscere che questa versione della “Guerra Giudaica” attribuita a Egesippo in realtà fu scritta da Ambrogio di Milano (che la chiesa considera santo). Ovvero, un falso.
Egesippo pare in realtà essere quell’Eusebio (chiamato dagli esegeti “il falsario per antonomasia” per le innumerevoli contraffazioni operate sui libri storici e sugli stessi testi religiosi), autore del libro Historia ecclesiastica (“Storia della chiesa”), scritto per giustificare le falsità che si inventava le faceva passare per citazioni dai libri di Egesippo (cioè egli stesso!).
Nel VI secolo ci fu una traduzione della “Guerra Giudaica” in lingua siriaca alla quale fu dato il nome di “V libro dei Maccabei” (titolo giustificato dal fatto che il testo tradotto comincia dalla rivolta dei maccabei).
I Vangeli canonici.
Nel secondo secolo dopo Cristo avvenne la stesura dei quattro “vangeli canonici” e degli “atti degli apostoli”, con l’evidente scopo di formulare la prima base per una dottrina. Poco prima, Marcione (colui che nel 144 portò a Roma le lettere di Paolo di Tarso) scrisse un suo Vangelo gnostico (ovvero essenzialmente spirituale), in cui la figura del Messia non aveva alcuna valenza storica, ma unicamente simbolica. I quattro vangeli cosiddetti canonici cominciavano con un Messia che aveva dato inizio alle proprie predicazioni partendo da Cafarnao all’età di trent’anni, ma nel III e nel IV secolo furono aggiunte alcune righe sulla nascita di Gesù, per giustificare una nascita terrena di Gesù. Inoltre, intorno al 160 Marcione accusò pubblicamente i neo-cristiani di avere costruito i loro vangeli copiandoli dal suo.
Pietro la pietra della chiesa?
La frase contenuta nel vangelo di Matteo, in cui Gesù avrebbe detto: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Matteo, 16.16) è stata messa in discussione da diverse fonti, che la considerano una aggiunta inserita da falsari ecclesiastici con ovvi intenti di parte.
Peraltro, le stesse vicende storiche che riguardano la vita di Pietro sono assai contraddittorie. Per esempio riguardo la sua morte.
Fu verso la fine del 200 d.C. che cominciarono a uscire i primi scritti nei quali si diceva che Pietro era morto a Roma. La sua morte ebbe diverse versioni: in una prima si disse che era stato crocifisso per ordine di Nerone perché aveva provocato la morte di Simon Mago facendolo sfracellare al suolo mentre, in una sfida di magia, costui stava dimostrando i suoi poteri sovrannaturali in una esibizione di volo. Ma poiché questa morte non aveva il presupposto perché fosse dichiarato martire, gliene fu attribuita una seconda che, fatta dipendere dalla sua testimonianza al cristianesimo, ebbe a sua volta due diversi finali: nella prima, perché fosse rispettata la morte predettagli da Gesù (Giovanni, 21-18), si raccontò che era stato trascinato al patibolo piangente e con le mani tese in avanti, nella seconda, avendo ritenuto che non era dignitoso per il capo della chiesa mostrarsi vile davanti alla morte, fu sostenuto invece che aveva affrontato il supplizio sorridente dopo aver assistito imperturbabile alla morte di sua moglie.
Soltanto verso la fine del VI secolo, cioè dopo che era stata inventata la croce latina, fu coniata quella che diventerà la crocifissione definitiva, che tutt’oggi viene sostenuta, nella quale si dice che Pietro chiese di essere crocifisso con la testa all’ingiù perché egli non si riteneva degno di essere appeso come il suo Maestro.
Più verosimilmente, il motivo per cui la Chiesa appese Pietro alla croce con la testa in basso e le gambe all’aria fu determinato dal fatto che due crocifissi uguali, oltre che a generare una confusione nello svolgimento dei riti, avrebbero potuto nuocere alla figura di Cristo.
Difficilmente può essere storicamente accettata la crocifissione di Pietro a Roma per motivi religiosi, dal momento che i romani, tolleranti come erano sempre stati verso ogni culto, mai avevano eseguito condanne per questioni religiose. Fu per controbattere questa motivazione che un certo Poggio Bracciolini, segretario del papa Martino V dei Colonna, rimasto famoso per innumerevoli altre falsificazioni, pensò di dare alla crocifissione di Pietro un movente che non fosse di natura religiosa, tirando fuori nel 1429 un passo dello storico romano Tacito dicendo che gli era stato consegnato (sotto forma di un manoscritto dell’XI secolo) da un frate venuto in pellegrinaggio a Roma — un frate anonimo che come dal nulla era venuto nel nulla era ritornato. Che il passo di Tacito riguardante l’incendio sia un falso ci viene confermato, oltre che da una serie di incoerenze che si trovano nei fatti in esso riportati, anche dalla forma letteraria usata per esporli, una forma tortuosa, così differente dallo stile conciso di Tacito da far dire a Las Vergnas, uno dei maggiori esegeti del secolo scorso: «Non possiamo provare che perplessità su come Tacito, dallo stile rapido e folgorante, possa tanto sonnecchiare e invischiarsi sul racconto di questo incendio». Che il passo attribuito a Tacito sia un falso ci viene confermato anche dalla prova storica per la quale risulta indiscutibile che Pietro non può essere morto a Roma nel 64 se fu giustiziato nel 46 insieme a suo fratello Giacomo sotto il procuratore Cuspio Fado secondo quanto ci viene testimoniato da Giuseppe Flavio (“Antichità Giudaiche”, XX.122). Che Pietro non si trovasse a Roma sotto l’imperatore Nerone ci viene confermato dagli stessi “atti degli apostoli” dal momento che non ne fanno nessuna menzione allorché parlano della venuta di Paolo presso la comunità cristiana di Roma. Un silenzio che assume un significato determinante per dimostrare quanto tutto ciò che si riferisce a Pietro sia tutta un’invenzione cominciando dall’attribuzione della carica di vescovo della comunità di Roma.
La stessa persecuzione ordinata da Nerone contro i cristiani per avere incendiato Roma fu riportata per la prima volta da un certo Sulpicio Severo (IV sec.) nel suo libro “Historia Sacra” (II.29). Questo libro venne ritirato dalla circolazione in seguito a un processo che lo aveva dichiarato una raccolta di assurde invenzioni. Prima del 1429, data in cui Bracciolini tirò fuori il documento del frate pellegrino, nessuno aveva mai parlato di questa persecuzione contro i cristiani. L’avevano ignorata grandissimi storici come Plinio il Vecchio, Giuseppe Flavio, Marziale, Plinio il Giovane, Svetonio, Cassio Dione e gli stessi padri della chiesa, quali Clemente, Ireneo, Eusebio, Origene, Agostino e Ambrogio, che l’avrebbero certamente citata per controbattere coloro che negavano l’esistenza dei cristiani a Roma nel I secolo. Il silenzio di Svetonio risulta particolarmente significativo se consideriamo l’aperta ostilità che sempre ebbe nei confronti di Nerone.
I fratelli di Gesù.
Esiste una abbondante documentazione, al di fuori dei testi cosiddetti canonici che compongono il “Nuovo Testamento”, in cui si parla di alcuni fratelli di Gesù — tre in particolare: Giacomo Minore, Giacomo Maggiore e Simone — e di alcune sorelle (al plurale, perciò sono almeno due).
La cosa sbalorditiva è che Giacomo Maggiore e Simone erano due rivoluzionari zeloti che furono crocifissi a Gerusalemme nel 46 d.C. dal procuratore Tiberio Alessandro. Nelle “Antichità Giudaiche” si dice che essi sono figli di Giuda il Galileo e, come se non bastasse, che «questi era il Giuda che, come ho spiegato sopra, aveva aizzato il popolo alla rivolta contro i romani mentre Quirino faceva il censimento in Giudea» (XX.122). Giacomo Minore, invece, secondo alcune fonti venne lapidato nel 62 da scribi e farisei; secondo altre, fu un asceta che non si tagliava mai né capelli né barba e che morì di vecchiaia. Famiglia interessante, senza alcun dubbio! Che Guevara se ne sarebbe forse compiaciuto. Noi certamente!
Nel mese di ottobre 2002 il mondo cristiano fece salti di gioia quando André Lamare, direttore della scuola di Alti Studi, rinvenne a Gerusalemme un’urna risalente all’anno 62 sulla quale c’era scritto: «Qui giace Giacomo, fratello di Gesù». Qualche mese dopo, però, venne fuori lo scandalo della falsificazione (vergognosamente taciuto in Italia dai media). Uno dei primi giornali a informare del falso fu “Archeology”: «Il vero dramma del cristianesimo è che, dopo 2000 anni, i cristiani ancora cercano febbrilmente le prove dell’esistenza di Gesù. E attenderanno purtroppo ancora poiché la recente scoperta che aveva dato un pallore di speranza si è rivelata purtroppo un’impostura supplementare che si iscriverà nella lunga lista delle menzogne e contraffazioni praticate dalla chiesa» (18 giugno 2003). Nello stesso articolo si spiega che la scoperta del falso avvenne il 18 giugno 2003 grazie a «una analisi effettuata dal dipartimento delle Antichità israelita: l’urna è autentica ma le iscrizioni sono recenti; esse sono state apportate con lo scopo di dare un senso religioso all’oggetto. Si tratta quindi di una falsificazione e il proprietario dell’ossario, un certo Ben Golan, è sospettato di esserne lui l’artefice». Il 21 giugno Golan venne arrestato dalla polizia israelita, accusato di essere il responsabile della falsificazione operata sull’ossario. Presso il suo domicilio sono state ritrovate le prove della falsificazione; insieme a altre falsificazioni in fase di realizzazione. A seguito del processo, Golan è stato condannato a sei mesi di reclusione e a un risarcimento verso lo stato israeliano di un milione di dollari.
Il ciclo di Pilato.
Quando Gesù venne condotto da Ponzio Pilato, è probabile che quest’ultimo abbia redatto un resoconto dell’incontro, com’era d’uso, per informare il suo imperatore. Così, nell’antichità sono stati creati tutta una serie di falsi, contenenti il rapporto. Citiamo i titoli di alcuni di questi scritti: La lettera di Pilato all’imperatore Claudio, il Rapporto di Pilato, la Risposta di Tiberio a Pilato.
Lo scopo di questi scritti non era soltanto quello di offrire una prova dell’esistenza storica di Gesù, ma anche di sminuire il ruolo dei romani nella vicenda, esasperando invece la responsabilità degli ebrei (peraltro, all’interno del cristianesimo, sono da sempre esistite correnti antisemite).