a cura della redazione del sito arianuova.org
Have I not reason to lament
What man has made of man?
William Wordsworth
Come ha fatto notare Jean Dausset, premio Nobel per la medicina, l’umanità vive, dagli inizi dell’industrializzazione, un fenomeno unico nella storia, che ha cambiato la marcia del suo progresso.
Questo fenomeno poggia su quattro rivoluzioni che hanno notevolmente determinato la direzione del progresso umano.
La prima rivoluzione è energetica. I muscoli, umani o animali, così come la forza dell’acqua e del vento, sono stati sostituiti in un primo tempo dalla macchina a vapore, poi dal motore a scoppio, al quale si aggiunge infine l’energia nucleare.
La seconda rivoluzione è medica. Essa rende possibile il prolungamento progressivo della durata della vita media degli esseri umani (prefiggendosi in un futuro non troppo lontano un limite di 120 anni).
La terza rivoluzione è elettronica. Essa permette l’automazione, i calcoli, la trasmissione di informazioni, la moltiplicazione delle capacità umane pressoché all’infinito.
La quarta rivoluzione è genetica. Introduce la possibilità di una manipolazione genetica che sta già trovando le sue prime applicazioni, nell’inquietudine di molti.
Svariate in realtà sono le preoccupazioni che scaturiscono da queste quattro rivoluzioni. Al di là del fatto che ogni umano progresso, lo sappiamo bene, ha sempre un rovescio della medaglia, alla base di tutto c’è la consapevolezza che queste vittorie riportate nei confronti della Natura esteriore non si sono accompagnati da analoghi progressi nella sfera interiore, producendo così un enorme divario, davvero inopportuno, fra il grado di manipolazione della materia di cui siamo diventati capaci e la quasi totale ignoranza di quanto avviene all’interno di noi stessi (con la conseguenza che le più grandi scoperte scientifiche, nella mano di individui poco evoluti, possono trasformarsi in strumenti terrificanti). La coscienza collettiva dell’umanità è, tutto sommato, non molto dissimile da quella dell’età della pietra; basta grattare quella piccola doratura di superficie — la cosiddetta educazione, o cultura – ed ecco comparire il vile metallo dell’uomo del Neolitico. L’uomo, insomma, partito quale evoluzione della scimmia, è in buona parte ancora dominato da pulsioni bestiali che, mentre negli animali sono perfettamente legittime e naturali, negli uomini creano un forte senso di limitazione, di inadeguatezza, di imperfezione.
Da questa profonda sproporzione fra il dentro e il fuori derivano in realtà tutte le preoccupazioni e tutte le contraddizioni umane. Per limitarci a un singolo esempio, una delle preoccupazioni principali sta nel fatto che le quattro rivoluzioni alle quali si accennava in apertura dell’articolo, se da una parte hanno apportato all’umanità migliori condizioni di vita (purtroppo in modo assai disomogeneo — è questa è una delle più drammatiche e vergognose contraddizioni del progresso umano, che ha saputo o voluto diffondere il benessere solo in alcune aree del pianeta, lasciandone altre nella più completa miseria, per poterle sfruttare senza scrupoli), dall’altro aumentano in modo spropositato la crescita demografica. Si ipotizza che verso la metà del XXI secolo la popolazione, attualmente di circa sette miliardi (cifra già di per sé colossale, mai raggiunta prima d’ora sulla terra), si posizionerà molto verosimilmente fra i dieci e i dodici miliardi.
Riuscirà il pianeta terra a sopportare una tale massa di uomini?
Gli scienziati dicono di sì, ma a una condizione improrogabile, la cui attuazione deve essere immediata (siamo già in ritardo, in realtà): ridurre l’inquinamento, trovare fonti alternative di energia, evitare il più possibile gli sprechi (di acqua dolce, soprattutto), ridurre i consumi, riequilibrare l’ecosistema e ripristinare per quanto possibile la biodiversità.
Quando si prendono in esame simili argomenti, si viene immediatamente tacciati di disfattismo. E questo è il migliore stratagemma che i veri disfattisti hanno per non affrontare il problema e per deviare l’attenzione di ognuno di noi.
In ogni caso, una cosa è certa: non è il pianeta a essere in pericolo, ma l’uomo.
Il pianeta Terra continuerà la sua esistenza, con o senza di noi.
E la vera sfida non risiede tanto nel riuscire a contenere l’esplosione demografica, ma nel comprendere le vere cause che determinano tutte le problematiche che l’uomo, dalla sua comparsa sul pianeta terra, non è stato in grado di risolvere. E questo ci collega alla riflessione circa lo squilibrio fra il dentro e il fuori: se l’essere umano non saprà dimostrarsi in grado di fare un passo in avanti nel suo stato di coscienza, se non saprà operare in se stesso un vero e proprio cambiamento radicale di livello, un saltus evolutivo, ebbene, la Natura troverà un pretesto qualunque per farlo estinguere (compresa l’autodistruzione), così come è capitato milioni di volte nel corso dell’evoluzione terrestre.
La domanda quindi è: come può l’uomo operare questo cambiamento di coscienza?
Sviluppando ulteriormente la propria intelligenza?
Ma non erano forse intelligenti gli uomini che hanno inventato, progettato e costruito la bomba a idrogeno, o le camere a gas?
Il preside di un liceo americano aveva l’abitudine di scrivere, a ogni inizio di anno scolastico, una lettera agli insegnanti:
Caro professore,
sono un sopravvissuto di un campo di concentramento.
I miei occhi hanno visto ciò che nessun essere umano dovrebbe mai vedere:
camere a gas costruite da ingegneri istruiti,
bambini uccisi con il veleno da medici ben informati,
lattanti uccisi da infermiere provette,
donne e bambini uccisi e bruciati da diplomati di scuole superiori e università.
Diffido, dunque, dall’educazione.
La mia richiesta è: aiutate i vostri allievi a diventare esseri umani.
I vostri sforzi non devono mai produrre dei mostri educati, degli psicopatici qualificati,degli Eichmann istruiti.
La lettura, la scrittura, l’aritmetica non sono importanti se non servono a rendere i nostri figli più umani.
Migliaia di anni fa, ai primordi di questa avventura umana, i rishi vedici lanciarono un monito a tutti noi:
MANUR BHAVA JANAYA, DAIVAM JANAM
DIVENTATE L’ESSERE UMANO, CREATE LA SPECIE DIVINA.
Non ci è rimasto più molto tempo: dobbiamo dimostrare di essere in grado di operare un cambiamento di coscienza che ci porti definitivamente al di fuori delle penose contraddizioni che finora hanno caratterizzato la specie umana, e questo può essere possibile soltanto operando un salto che dalla attuale coscienza mentale (una coscienza che opera per analisi, ovvero per divisione, frammentando senza fine l’esistenza nel tentativo di comprenderla e dominarla sempre più) ci porti a una coscienza SOPRAmentale: una coscienza che, come Sri Aurobindo e Mère testimoniano, sa scorgere in ogni momento l’Unità nella diversità senza perdere il senso della propria individualità — e che in questa consapevolezza di unità interiore con l’intero l’esistente possiede anche le capacità per operare una trasformazione radicale delle pulsioni più triviali che albergano nell’uomo, e di quanto sta alla loro base. È un passaggio che dal principio dell’ego — limitativo, deformante, radice dell’ignoranza e di tutte le umane sofferenze — ci porta a una piena consapevolezza di individualità cosciente, libera, sovrana, una con tutto e spontaneamente immersa in una inalienabile e suprema Felicità d’essere.
Diventare un vero essere umano compiuto è il primo passo che abbiamo da compiere.
Superarci in una trascendenza che non nega nulla, ma che tutto abbraccia e eleva è il passo immediatamente successivo.
Giugno 2005