JOSÉ MUJICA

- a cura del CENTRO STUDI arya -

Una delle contraddizioni più evidenti del mondo della politica, riguarda il troppo ampio divario esistente tra lo stipendio percepito dal politico e quello del cittadino medio. L’Uruguay vanta invece un Presidente della Repubblica che ha compiuto una scelta precisa, in netta controtendenza — e, per questo, è stato definito dalla stampa internazionale come il presidente più povero del mondo.

Stiamo parlando di José Alberto Mujica Cordano (nato a Montevideo il 20 maggio 1935), conosciuto pubblicamente come “Pepe” Mujica. Il suo mandato presidenziale è iniziato il 1º marzo 2010 ed è tuttora in corso. Il suo stile di vita si differenzia dalla maggior parte degli altri leader mondiali: vive in una vecchia fattoria a Rincón del Cerro, a pochi chilometri dalla capitale Montevideo, coltiva personalmente i terreni e devolve il 90% del suo stipendio (circa 10 mila euro mensili) ai poveri del paese e ai piccoli imprenditori. Una scelta di vita apparentemente estrema, ma che lui ha sempre condotto anche prima dell’elezione: «Potrei apparire un vecchio eccentrico... Ma questa è una libera scelta. Ho vissuto in questo modo per la maggior parte della mia vita».

 Pepe

Il suo stipendio, così decurtato, risulta essere in linea con quanto mediamente percepisce un operaio uruguaiano: circa 800 euro  mensili — e tanto gli basta per condurre una vita decorosa e felice insieme alla moglie Lucía Topolansky (compagna di lotta politica e attuale senatrice). Il resto del suo stipendio (circa il 90%) viene devoluto ai più poveri e a sostegno della piccola imprenditoria.

A chi gli ha chiesto spiegazioni per questa scelta, il Presidente ha risposto: «I soldi mi devono bastare perché la maggior parte degli uruguaiani vive con molto meno». 

Nella fattoria in cui vive, l’acqua viene ricavata da un pozzo; due soli poliziotti costituiscono la sua scorta — oltre al cagnolino Manuela, che però è monco di una zampa. E il suo abituale mezzo di trasporto è una vecchia Volkswagen Fusca, che è l’unica automobile in suo possesso.

“Pepe” Mujica trascorse gli anni tra il 1960 e il 1970 arruolato in un gruppo armato di sinistra, i Tupamaros, per combattere la dittatura ispirandosi apertamente alla rivoluzione cubana. Fu ferito sei volte e visse per 15 anni in prigione (di cui 13 nel penitenziario di Punta Carretas, dove passò la maggior parte della sua detenzione in condizioni estreme e in isolamento), fino a quando venne liberato nel 1985, con il ritorno alla democrazia in Uruguay (e furono proprio quegli anni di carcere che contribuirono a formare la sua attuale concezione di vita, secondo quanto egli stesso ha recentemente affermato). Venne infatti emanata una legge che consentiva l’amnistia a tutti i reati politici e militari compiuti dal 1962, e questo permise a Mujica di tornare in libertà (ma consentì anche ai golpisti di non finire in carcere!). Nel 1988 guidò diverse correnti di sinistra del partito Frente Amplio e alle elezioni del 1994 venne eletto deputato a Montevideo, mentre nelle elezioni del 1999 venne eletto al Senato.

Nel 2004 il suo Movimento de participación popular (Mpp) ottenne una significativa percentuale alle primarie del partito, divenendo la principale forza all’interno del Frente Amplio Uruguay che aveva appena vinto le elezioni. Nel 2005 fu nominato ministro dell'Allevamento (“Ganadería, Agricultura y Pesca”) dal neoeletto Presidente della Repubblica Tabaré Vázquez. E ricoprì tale carica di ministro fino al 2008, quando si dimise per candidarsi alle presidenziali, vinte il 30 novembre 2009. Mujica è stato il ministro più popolare proprio per la sua vicinanza alla gente e per il suo carisma, che lo hanno reso molto ammirato tra l’elettorato uruguaiano.

La prestigiosa rivista The Economist lo ha descritto come «un ex guerrigliero che coltiva fiori in una modesta fattoria e che si ciba in modo rigorosamente vegetariano.»

Lui però tiene a precisare: «Dicono che io sia “il presidente più povero”, ma non mi sento affatto povero. I poveri, dal mio punto di vista, sono coloro che lavorano solo per cercare di mantenere uno stile di vita dispendioso e che bramano sempre di più e non sono mai appagati.»

La sua vittoria in Uruguay, nel marzo 2010, fu un evento storico. Persone di tutte le età e classi sociali scesero in strada per festeggiare il nuovo presidente: l’ex guerrigliero che, dal Movimento di partecipazione popolare contro la dittatura, era salito alla guida del Paese.

Mujica rinunciò immediatamente alla lussuosa dimora presidenziale che l’Uruguay mette a disposizione della più alta carica dello Stato, per restarsene nella sua sgangherata ma amatissima fattoria.

«È una questione di libertà. Quando non si accumulano molti beni, non è necessario lavorare tutta la vita come uno schiavo per mantenerli e, di conseguenza, si ha più tempo per se stessi. Posso vivere bene con quello che ho».

Sul piano internazionale, Mujica accusa la maggioranza dei leaders mondiali di nutrire una «ossessione cieca ad arricchirsi e ad accumulare sempre di più, come se il non accumulare costituisse la fine del mondo».

E, su questa medesima linea, nel corso del summit dei paesi sudamericani  avvenuto lo scorso giugno a Rio ha dichiarato: «Continuiamo a parlare di sviluppo sostenibile e di far uscire le masse dalla povertà. Ma che cosa abbiamo in mente? Vogliamo instaurare il modello di sviluppo e di consumismo dei paesi ricchi? Allora vi chiedo: che cosa accadrebbe al pianeta se l’India raggiungesse la stessa proporzione di autoveicoli per abitante dei tedeschi? Quanto ossigeno rimarrebbe? Questo nostro pianeta avrà sufficienti risorse per soddisfare sette o otto miliardi di persone con il medesimo livello di consumi e di rifiuti che oggi producono le società più ricche? È questo livello di iper-consumismo che sta mettendo in pericolo il nostro pianeta.»

E se qualche malizioso dovesse ritenere che la povertà volontaria di Mujica possa essere solo una mossa tattica per fini politici, ricordiamo che la legge uruguayana vieta una ricandidatura alla Presidenza. L’ormai settantottenne “Pepe” ha già comunicato la sua intenzione a ritirarsi felicemente dalla politica a fine mandato.

In definitiva, al di là di ogni personalismo, il suo esempio dovrebbe fare riflettere. Sbaglia chi considera Mujica una sorta di eroe: si tratta, più semplicemente, di una persona per bene che ha saputo trarre le giuste conclusioni pratiche dalle esperienze di una vita vissuta intensamente e in modo sincero.

E noi tutti dovremmo iniziare a considerare questo atteggiamento come la normalità e indignarci per quanti agiscano diversamente. Sono gli altri a essere anormali e mentalmente disturbati: gli avidi del potere e del denaro,  interessati a collezionare privilegi e ad accumulare averi estorti con comportamenti truffaldini. Si tratta di riflessioni talmente ovvie che rischierebbero di apparire banali, se non fosse che in Italia il “mestiere” del politico risulta essere uno dei più prezzolati al mondo e dove, per contro, la stragrande maggioranza dei politici (le eccezioni esistono sempre, ovviamente) mostra una incompetenza inaccettabile e agisce principalmente per il proprio tornaconto personale.

Basta con i mestieranti della politica: è tempo di aprirci a una democrazia di tipo più diretto e partecipato, in cui il politico è un dipendente a tempo determinato al servizio dell’intera collettività, a cui deve rendere costantemente conto nel modo più trasparente possibile.

17 novembre 2012