Omaggio a Jean Baudrillard


Il pensatore francese Jean Baudrillard (1929-2007) è una delle principali figure intellettuali della nostra epoca; il suo lavoro combina la filosofia, la teoria sociale e una metafisica che riflette sugli avvenimenti-chiave dell’èra attuale.

Critico tagliente della società, della cultura e del pensiero contemporanei, è riuscito a offrire riflessioni originali e provocatorie, con uno stile e delle forme di scrittura peculiari.

Negli anni della sua formazione culturale si avvicinò al marxismo e alla sinistra rivoluzionaria francese; prese parte agli eventi del maggio 1968, che sfociarono in quelle massicce rivolte studentesche ormai celebri. E fu proprio a partire da quel periodo che incominciò a pubblicare una serie di libri che lo avrebbero reso celebre in tutto il mondo.

Nei primi anni Settanta si staccò dal marxismo, pur rimanendo politicamente radicale. Come molti nella sinistra, fu deluso dal fatto che il partito comunista francese non avesse appoggiato i movimenti di lotta degli anni Sessanta. E prese coscienza del fatto che il comunismo alberga in sé un conservatorismo che ha le sue radici nel marxismo. Secondo le sue stesse parole,«il marxismo è solo una limitata critica piccolo-borghese, solo un passo in più verso la banalizzazione della vita alla volta del ‘buon uso’ del sociale! […] il marxismo è solo l’orizzonte disincantato del capitale — tutto ciò che lo precede o lo segue è più radicale di quanto esso non sia».

Baudrillard giunse perciò a comprendere come il marxismo non illumini adeguatamente né le società premoderne (organizzate attorno al senso del sacro, alla mitologia e all’organizzazione tribale e non attorno alla produzione) né quelle postmoderne. Si avvide inoltre che il marxismo non offre una critica sufficientemente radicale delle società capitaliste, così come non fornisce prospettive critiche alternative.

Dopo avere rigorosamente smantellato il pensiero dei principali pensatori moderni e quello dei suoi padri teoretici (Marx, Freud, Saussure), egli continuò a prendere le difese delle forme simboliche e radicali del pensiero e della scrittura in una ricerca che lo condusse a un discorso sempre più esoterico.

Opponendosi ai valori moderni, Baudrillard era a favore del loro annientamento. Se le società moderne, secondo la teoria sociale classica, erano caratterizzate dalla differenziazione, le società postmoderne sono caratterizzate dalla de-differenziazione, dal collasso delle distinzioni, dall’implosione. I campi dell’economia, della politica, della cultura, della sessualità e del sociale implodono tutti quanti l’uno dentro l’altro. Anche l’arte (un tempo sfera di potenziale opposizione) viene assorbita nell’ambito economico e politico. In questa situazione, le differenze fra gli individui e i gruppi implodono in una rapida e mutevole dissoluzione del sociale e delle precedenti strutture sulle quali la teoria sociale si era un tempo concentrata.

Nel mondo postmoderno, gli individui fuggono dal «deserto del reale» per provare le “estasi” dell’iperreale: un individuo nel mondo postmoderno diventa semplicemente un’entità influenzata dai mass-media e dall’esperienza tecnologica. Si attua così un processo di «reificazione» per mezzo del quale gli esseri umani sono dominati dalle cose e diventano simili a delle cose essi stessi. In questa allarmante situazione, le simulazioni proliferano e finiscono con il riferirsi solo a se stesse: una fiera di specchi che riflettono immagini proiettate da altri specchi sulla televisione onnipresente, sullo schermo del computer e su quello della coscienza, che a sua volta rinvia l’immagine al magazzino da dove proveniva, magazzino pieno di altre immagini, anch’esse prodotte da specchi simulatori.

Imprigionate nell’universo delle simulazioni, le masse sono «immerse in un bagno mediatico» privo di messaggi o di significati, un’èra dove le masse scompaiono e la politica è morta. Così, la teoria sociale perde il suo stesso obiettivo nel momento in cui i significati, le classi e le differenze implodono in un “buco nero” di non-differenziazione.

Baudrillard conclude sostenendo che «la catastrofe è già avvenuta», che la distruzione della modernità e della teoria moderna (da lui stesso preconizzata alla fine degli anni Settanta) è stata completata dallo sviluppo della stessa società capitalista, che la modernità è scomparsa e una nuova situazione sociale ha preso il suo posto. Perciò, egli prende a sostenere quelle che definisce le «strategie fatali» (è il titolo di un suo libro) che spingono il sistema al limite, nella speranza di un collasso o di un rovesciamento.

La negazione di una realtà trascendente nella presente società mediatica e tecnologica è un «crimine perfetto» (titolo di un altro suo libro) che implica la «distruzione del reale». In un mondo di apparenza, di immagine e illusione, la realtà scompare anche se le sue tracce continuano a nutrire un’illusione del reale. Baudrillard riteneva infatti che LA STORIA FOSSE GIUNTA ALLA FINE e che la realtà era stata uccisa dalla virtualizzazione, mentre la specie umana si preparava a un’esistenza virtuale. Non a caso il suo pensiero ha influenzato un largo numero di scrittori e registi di fantascienza, incluso il film Matrix (1999), in cui vengono espressamente citate alcune sue affermazioni.

A discapito delle sue esagerazioni, del suo raffinato gusto per il paradosso e l’iperbole, si può dire che il maggior merito di Baudrillard è stato quello di essere un grande provocatore che sfida e mette fortemente in discussione la tradizione della filosofia classica occidentale (da Cartesio fino ai giorni nostri, escludendo Nietzsche che egli rivalutò molto) e della teoria sociale. Egli va ben oltre la teoria sociale, introducendosi in una nuova sfera che fornisce, da un lato, introspezioni occasionali all’interno dei fenomeni sociali contemporanei, dall’altro, critiche sferzanti dell’attuale mondo che pare destinato a una fatale e benvenuta (e rapida, si spera!) decomposizione, aprendo così le porte al nuovo e all’inatteso.