Dilipkumar Roy (Calcutta, 1897 - Puna, 1980) è stato un musicista, musicologo, romanziere, poeta e saggista bengalese di grandissimo rilievo.
Figlio del celebre poeta, drammaturgo e compositore Dwijendralal Ray (1863-1913), Dilip (o Dadaji, come oggi è conosciuto presso i suoi molti ammiratori), fin da ragazzino mostra un talento naturale per la musica, il canto, il sanscrito e la matematica. Tra i dieci e i tredici anni è allievo di Bhatkhande, il più grande musicologo indiano moderno. Nel 1919 viene mandato a Cambridge dove approfondisce la matematica, la giurisprudenza (si laurea in legge) e la musica occidentale, diventando un buon pianista e affinando il canto. Il soggiorno in Europa gli permette di padroneggiare, oltre all’inglese, anche il francese, il tedesco, l’italiano (si reca in Germania e in Italia per approfondire i suoi studi musicali) e, in misura minore, il russo. In Italia, in particolare (a Roma, a Firenze e a Napoli) approfondisce i modi ionico, lidio, mesolidio, dorico, eolico e frigio, rintracciando precisi collegamenti con le scale della musica modale indiana, quali Bilâval, Iman, Khamâj, Kâfi, Asâvari e Bhairavi.
Il premio Nobel Romain Rolland, diventato presto suo amico e ammiratore, riconoscendo le doti musicali di questo giovane, organizza per lui un seminario di musica classica a Lugano, in Svizzera, dove Dadaji ha modo di conoscere personalmente Bertrand Russell, Herman Hesse, Georges Duhamel, con i quali intratterrà negli anni un lungo rapporto epistolare. Effettua un tour europeo per far conoscere la musica e la cultura indiana. Lo stesso Rolland, nel suo libro Inde, scrisse: «Ascoltando le melodie popolari è più facile cogliere il genio più puro e genuino del popolo hindu. Dilipkumar Roy canta alcune di tali melodie in modo così prodigioso, con superlativa delicatezza e freschezza e poesia, mostrando una padronanza del ritmo tale da far sembrare queste canzoni come appartenenti al nostro stesso repertorio popolare. Dilip appartiene alla migliore aristocrazia indiana; canta con una intonazione nasale e la sua voce raggiunge un’estensione notevolissima, che va dal basso al soprano, con una fluidità davvero singolare nell’incessante fioritura di improvvisazioni e ornamenti vocali.»
Tornato in India, Dilip riprende i suoi studi con Bhatkhande e, seguendo la metodologia sviluppata dal grande musicologo, lavora assiduamente per raccogliere, catalogare e pubblicare le innumerevoli variazioni regionali dei raga. Contemporaneamente, si lega professionalmente a musicisti del calibro di Abdul Karim, Faiz Khan, Chandan Chaube, Gaurishankar Mishra, Surendranath Majumdar, Hafiz Ali Khan e altri ancora, tutti considerati fra i più grandi maestri del patrimonio musicale classico indiano.
Anche in India, come già avvenuto in Europa, gli vengono presto riconosciute le sue doti canore e interpretative. Fra i suoi ammiratori, Gandhi e Tagore tessono su di lui le più alte lodi e si legano a lui in profonda amicizia. Quest’ultimo gli confida, in una lettera: «Nutro un sincero affetto nei tuoi confronti. Il mio cuore è attratto dalla tua totale sincerità e schiettezza.»
Versatile poliglotta, Dadaji riesce a passare da una lingua all’altra con una disinvoltura estrema, interpretando con una perfetta dizione canzoni in sanscrito, bengali, hindi, tedesco, francese, italiano, russo…
Come esempio della sensibilità e maestria di Dilip, si ascolti la sua personalissima esecuzione di una canzone hindi molto amata —
LACHAKA BIJHULI JHALAKA
Nel proporre l’ascolto, una digressione risulta doverosa: l’orecchio occidentale non esercitato (privo cioè di una adeguata e specifica formazione musicale) rimane perlopiù deluso ascoltando il canto indiano; incapace di cogliere le sottili e delicatissime variazioni microtonali e il virtuosismo mai appariscente e fine a se stesso, egli non riesce a cogliere il fascino autentico di queste canzoni e, ancor più, dell’interpretazione, che gli apparirà piatta — mentre, al contrario, è fortemente carica di valenze interiori ed estetiche.
Tornando al nostro artista, fra i molti contributi di Dadaji in campo musicale, figura un tipo peculiare di opera basata sul modello tradizionale del ‘kirtana’ e finalizzata a produrre una catarsi emotiva mediante la successione di strutture modali e ritmiche in accordo con le scuole tradizionali di danza indiana.
Nel 1940 gli viene affidata la realizzazione della colonna sonora del film Mira, dedicato alla grande cantante medioevale Mirabhai, principessa e mistica di rarissima levatura. L’esecuzione dei canti di Mirabhai venne affidata alla sublime cantante Srimati Subbulakshmi, una delle più acclamate interpreti canore dell’India moderna, sotto la direzione dello stesso Dilip, che le offre la giusta chiave interpretativa. Proponiamo, a titolo di esempio, l’ascolto di una delle canzoni più ispirate di Mirabhai, in cui la poetessa mistica esprime la sua gioia in un momento di contatto particolarmente intimo con l’Amato, venuto a bussare alle porte della sua anima —
HARI AWAN KI AWAZ
La stessa Subbulakshmi, dal canto suo, era affascinata dalla personalità e dalla voce di Dilip, e così lo ricorda: «quando cantava, era la sua anima individuale che si esprimeva, nel suo anelito di abbracciare l’anima universale.»
Sulla fine degli anni Trenta, Dilip e Subbulakshmi cantano insieme due canzoni: Dhano Dhanya Pushpe Bora e Vande Mataram. Quest’ultima è la canzone utilizzata come inno nazionale indiano all’indomani della Liberazione: il grido di Vandé Màtaram (‘Saluto Madre India’) venne infatti utilizzato come grido di protesta e di battaglia da milioni di indiani durante la rivoluzione. Agli inizi della lotta per l’indipendenza, il quotidiano rivoluzionario più celebre — che gli inglesi presto fecero chiudere — si intitolava per l’appunto Bande Mataram (bandé è la forma bengali del sanscrito vandé) ed era diretto da Sri Aurobindo. Ascoltiamo la canzone in questa selezione. E approfittiamo per sottolineare che la foto riprodotta in apertura di questo nostro articolo ritrae proprio Dilip e Subbulakshmi.
VANDE MATARAM
Inoltre, il film Mira contiene anche alcuni brani di musica strumentale composti dallo stesso Dilip, come nella scena dell’episodio in cui Mirabhai bambina sogna Krishna e Radha che danzano in una notte di luna piena e, al risveglio, si sente il cuore colmo di devozione per l’Avatara del DvaparaYuga —
DANZA DI RADHA-KRISHNA
Dopo una seconda visita in Europa, Dilip nel 1928 decide di andare a vivere presso Sri Aurobindo e Mère, cui fa visita per la prima volta nel 1924 e che riconosce come incarnazioni divine e ai cui piedi pone la propria vita.
La copiosa corrispondenza che intrattiene con Sri Aurobindo è stata pubblicata di recente in quattro volumi — dal titolo Sri Aurobindo to Dilip — curati con cura meticolosa da Sujata Nahar (la compagna di Satprem) che conobbe e frequentò Dadaji fin da bambina, essendo egli un amico intimo di suo padre, Prithwi Singh Nahar (musicista e collezionista di grande raffinatezza e cultura). Sono pagine traboccanti di amore in cui Sri Aurobindo, con immensa compassione e instancabile pazienza, sprona Dilip a sviluppare sia i propri talenti artistici (ispirandolo nella produzione poetica e chiedendo a Mère di ispirarlo nella produzione musicale) sia le proprie potenzialità spirituali, che subito gli riconobbe, nonostante l’iniziale scetticismo e l’iper-razionalismo di Dilip.
Nel 1953 Dadaji e la sua compagna Indira Devi (una celebre danzatrice classica indiana che visitò Mère e Sri Aurobindo nel 1949 e lì, il giorno del compleanno di Mère, ebbe una improvvisa e folgorante esperienza spirituale) fondano lo Hari Krishna Mandir a Puna, dove trascorrono gli ultimi anni della loro vita immersi in intense pratiche spirituali, come molti visitatori testimoniano (fra questi, figurano personaggi come il mistico Swami Ramdas, la yogini Ananda Moyi, il saggista e, all’epoca, presidente dell’India Sarvepalli Radhakrishnan, oltre alla stessa Subbulakshmi, recatasi là per apprendere alcune canzoni composte dallo stesso Dadaji; alcuni riconobbero addirittura in Indira Devi la reincarnazione della Mirabai di cui abbiamo parlato a proposito del film sopra citato).
Prima di ritirarsi, Indira e Dilip effettuarono un tour mondiale in veste di ambasciatori culturali dell’India, incontrando le più grandi celebrità internazionali (oltre a quelli già menzionati, citiamo Aldous Huxley e Albert Einstein), come Dilip testimonia nel suo diario di viaggio Deshe Deshe Chali Udey.
Insignito dei titoli accademici più prestigiosi, primo fra tutti quello di sura-sudhâkara (‘sorgente del nettare della melodia’) dalla Sanskrit Academy di Calcutta, Dilip viene eletto membro della Indian State Academy of Fine Arts.
Il mattino del 6 gennaio 1980, Dadaji chiese ai suoi attendenti: «Aiutatemi a lavarmi le mani, oggi dovrò toccare i piedi del Signore». E, quello stesso giorno, lasciò il corpo.
Autore di oltre 50 registrazioni, 8 raccolte di canzoni, 21 volumi in inglese e 46 in bengali contenenti novelle, poesie, testi drammaturgici, epistole, ricordi e saggi, Dadaji ha lasciato un ricchissimo patrimonio musicale all’India e al mondo intero.