SERGEANT JOHN KELLY
Durante la seconda guerra mondiale, il sergente statunitense John Kelly (Easy Company, 276th Infantry Regiment, 70th Infantry) si trovava in una trincea francese, quando una notte — con sua grande sorpresa — cominciò a ricevere alcune visioni di due Esseri-di-Luce, che lui prese a chiamare “Grande Sire” (Great Sir) e “Dama Celestiale” (Heaven Lady). Da quel momento, tali Esseri cominciarono ad assisterlo (mediante visioni e voci), salvandolo diverse volte dal fuoco nemico.
Anni dopo, finita la guerra e rientrato in patria, trovatosi in una libreria, John si imbatté casualmente in una copia del libro The Life Divine (“La vita divina”) di Sri Aurobindo, la cui edizione statunitense conteneva al suo interno una foto di Mère. E, immediatamente, egli si rese conto che la Dama Celestiale delle sue visioni era proprio Lei, mentre il Grande Sire era Sri Aurobindo. Appena gli fu possibile (nel 1966) si recò a Pondicherry e incontrò fisicamente Mère.
Nell’articolo che riproduciamo qui di seguito (in traduzione italiana, naturalmente — la versione originale inglese venne pubblicata per la prima volta sulla rivista Collaboration, nel numero di ‘primavera-estate 1984’), John racconta l’esperienza accorsagli durante la guerra.
Oltretutto, il resoconto di questo sergente può forse gettare alcune luci sulle crescenti visioni di UFO che sempre più esseri umani dicono di scorgere nei cieli di tutto il mondo.
Come si vedrà, si tratta di un uomo semplice, senza presunzioni intellettuali o altro: il classico statunitense medio, insomma. Mère e Sri Aurobindo, a dispetto di quanto erroneamente alcuni ritengono, non si rivolgono esclusivamente a una élite di intellettuali o di sedicenti “discepoli”. Qualunque persona sufficientemente sincera può entrare in contatto con la Loro coscienza trasformatrice, attiva e operante.
«Non avevo la minima conoscenza dello yoga all’epoca. Interruppi la mia frequentazione scolastica nel corso del secondo anno di studi superiori, dopo la stagione di football, per potermi guadagnare da vivere: la mia famiglia si trovava in ristrettezze economiche. All’età di 18 anni, venni reclutato nell’esercito. Per un breve periodo fui inviato in Francia, nel corpo della fanteria, coinvolto in alcune operazioni difensive. La Francia era ancora occupata dai tedeschi: si era ai tempi delle battaglie di Bulge e di Bastogne. I membri della compagnia di cui facevo parte dovevano rimpiazzare i molti caduti in quelle battaglie; ci trovavamo nella città di Faubourg. Ebbero luogo aspri combattimenti e, per due o tre giorni dall’inizio degli scontri, giorno e notte, fummo bombardati da razzi della gittata media di circa 20 chilometri, chiamati screaming meemies [lett.: “isteriche urlanti” — trattasi delle famigerate Nebelwerfer, contenenti gas chimici], i quali causavano fastidi tremendi... Magari fu proprio a causa di quei razzi solcanti nell’aria, in grado di friggerci come frittelle, che qualcosa in me deve essersi aperto a certe frequenze. Questa potrebbe essere forse una spiegazione plausibile a quanto mi accorse.
Ci trovavamo in una trincea che era stata sinuosamente scavata tra le montagne durante la prima guerra mondiale; qualcuno mi disse che durante le guerre napoleoniche molti soldati persero la vita in tale luogo e vennero sepolti in loco. Erano ancora visibili alcune croci. Poco lontano, un sentiero si introduceva nel bosco. La compagnia iniziale si era quasi ridotta a un solo uomo, da quanto mi fu riferito. C’erano cadaveri tedeschi e statunitensi riversi tra gli alberi di pino, attorno all’accampamento. La fitta boscaglia era stata in gran parte sventrata e parecchi alberi risultavano sradicati.
È in questo luogo che ebbi la prima visione. Si dice che in trincea non esistono atei, e così potei accertarmene personalmente; da un momento all’altro, potevo essere spedito all’altro mondo. Mi dissi: “Andiamoci subito e facciamola finita!”. Mi parve l’unica cosa degna da farsi.
Fin dalla mia infanzia, educato in una scuola cattolica, mi venne riferito di gente che aveva avuto visioni ed esperienze mistiche. Dio o gli angeli potevano scendere e illuminarti, a quel che mi fu detto. E, in un simile cimitero, disseminato di cadaveri sepolti nel corso di precedenti conflitti, io mi trovavo al momento ancora vivo. Quelle dannate schifezze [le bombe] non mi erano ancora cadute addosso: questa pareva essere la sola differenza tra me e tutti quei cadaveri. Dissi tra me e me: “Che diavolo è questa faccenda?”. Sono sempre stato un tipo piuttosto coriaceo. Per convincermi di qualcosa, bisogna praticamente che mi cada sulla testa e, curiosamente, mi trovavo proprio nella condizione ideale! In seguito scoprii che, in India, molti hanno esperienze proprio nei cimiteri. Lo stato psicologico nel quale mi trovavo era davvero disperato, posso garantirvelo.
Dopo un giorno o due in un simile ambiente, stavo congelando: si era in pieno inverno. Il tempo sembrava non passare mai. Finalmente, una notte, mi trovai tutto solo. Scorsi un filo di fumo bianco davanti a me, e un leggero odore come di sigaretta. Piccole scintille di luce presero a emanare da quel lieve sbuffo. Dalla mia destra, procedeva in direzione della “terra-di-nessuno” [no man’s land]. I miei occhi furono catturati da tale barbaglio. Il fumo prese a crescere, fino a diventare una nebbia, e le scintille assunsero proporzioni gigantesche. La mia mente cominciò a essere coinvolta in un’attività febbrile e molto intensa e, a un certo punto, percepii una risata gorgogliante e gentile, come di un vecchio saggio. Parve un tappo di champagne e, in effetti, credetti di avvertire perfino il rumore del tappo che saltava e del liquore frizzante che ne sortiva. Rimasi affascinato da tale suono effervescente, insieme alla luce che avevo davanti. E, al tempo stesso, ero terrorizzato. La risata mi parve diventasse più forte, ma non saprei dire con certezza. A ogni modo, dava l’impressione di qualcosa di estremamente saggio e delicato, finché non vidi una bocca e una barba, quindi gli occhi, dai quali emanava la luce che mi stava di fronte. Mi dissi: “Oh mio Dio, credo di essere proprio arrivato alla fine”. La risata continuò. Percepii un borborigmo nello stomaco. Improvvisamente, la voce disse (fievolmente): “Che cosa vuoi, bambino mio?”. Aveva l’accento di un inglese colto (io sono di Brooklin). Dissi fra me e me: “Oh no — Dio è un inglese!” (mio padre fu un rivoltoso). E aggiunsi: “Ma che cosa devo dire a Dio?”. Mi diedi un pizzicotto e mi dissi: “Sto dando di testa. E invece no: è tutto reale. Sono sveglio e tutto questo sta accadendo per davvero”.
Dovete sapere che la prima cosa che pensai quando arrivai sul posto, fu: “Portatemi via da questo inferno. Voglio andare a Parigi, bere del vino, ballare con le ragazze”. Mi trovavo in una situazione drammatica, delirante. Comunque, c’era qualcosa di strano in quel luogo. Ero solo e, se mi avessero ucciso, non me ne sarebbe importato gran che. C’era perfino una sorta di intima allegrezza che coinvolgeva le relazioni. Per questo coniai quel termine: Grande Sire — nell’esercito, infatti, chiamiamo tutti Sir. Perciò dissi: “O Grande Sire, la sola cosa che desidero per davvero è… sapere”. Lui si mise a ridere, e io chinai la testa verso il basso, perché non volevo essere colpito da quella luce. Non potei neppure guardarlo negli occhi, a causa della forza che emanava da essi.
La sua risata era una delle cose più incredibili che io abbia mai udito. Era come se quella risata mi parlasse! Sappiamo tutti dell’esistenza di una risata canzonatoria, una risata ilare... Insomma, si può ridere in parecchi modi. Esiste un intero vocabolario indicante i diversi tipi di risata alle quali siamo avvezzi, con tutte le sfumature. Pensai: “Meglio non indagare oltre, se non voglio rischiare di ficcarmi nei guai”. A quel punto, la voce mi disse: “Se accetti il mio aiuto, perderai la tua religione”. Subito pensai: “Aha, dev’essere il diavolo!”. Sebbene, in realtà, non m’importasse gran che della religione, o se stessi per finire in paradiso o all’inferno. Come ho detto, fui allevato da cattolico, ma non ho mai sentito il Cristo dentro di me. Mi era stata appiccicata una etichetta, come quella di democratico o di repubblicano. Ma era sulla superficie del mio essere. Pertanto, gli risposi: “Sa, effettivamente non posso dire di appartenere a una religione, intesa come una forza viva dentro di me. Dovrà darmela lei”. Mi chinai verso il basso, in attesa della sua risposta e, improvvisamente, la risata si arrestò. “Oh oh”, pensai, “devo avere sbagliato qualcosa”. A quel punto, sollevai il capo e di fronte a me potei scorgere, sul campo di battaglia, la sua intera figura: un uomo con barba e capelli bianchi, vestito con una tunica simile a quella degli imperatori romani. Stava a fianco di un albero, indicando la mia sinistra. Non ricordo se la luna fosse presente quella notte, ma il suo volto era dorato. Si poteva percepire una sorta di raffinatezza nel suo essere, davvero straordinaria, un volto di una bellezza estetica che le fotografie non lasciano minimamente trasparire. Si poteva leggere sofferenza e, contemporaneamente, completa conquista della sofferenza.
Quando guardai a sinistra, oltre la boscaglia, vidi un disco roteante che si muoveva verso il basso, come una grande piattaforma, simile a un UFO, ma io non avevo mai sentito parlare di queste cose. Quando si fermò, mi parve un tempio greco, simile al Partenone, con quattro colonne. Alcuni erano seduti su sedie di vimini e prendevano il tè. E c’era pure una signora sdraiata! Mi dissi: “Questa è una favola. È incredibile e meraviglioso”. Lei stava distesa su un grande divano e indossava una vestaglia nera di velluto. Le colonne parevano di luce fluorescente, simile a un neon di alta qualità. Mi ricordava l’alabastro, irradiante una luce morbida, indiretta — un irradiare di luce sopraffina.
La guardai, nel mentre che lei assunse una postura seduta, esattamente come si può vedere Mère in quelle vecchie fotografie del 1914. In seguito, appresi che tale postura era simile al mudra greco della dea della saggezza. Io mi trovavo in trincea e, al tempo stesso, era come se fossi sui gradini del tempio, alla ricerca di Lei. Il suo volto mutò un poco e disse: “Sono la Madre, la Madre, la Madre. Sono tutte le madri”. Il volto prese a mutare come un effetto di luce stroboscopica: cambiava e cambiava. Ero assolutamente affascinato. Era straordinario. Sentivo una pressione molto forte sul mio capo: era come se la mia testa cantasse. Dissi: “Mi ascolti, gentile signora, le consiglio di rimuovere questo tempio, perché questo è un campo di battaglia e tra poco si scatenerà l’inferno”. Ma lei non volle andarsene. Aggiunsi: “Se lei resta, presto la mia testa resterà vuota e io diventerò pazzo… di gioia”. A quel punto, con riluttanza, si dissolse nella foschia. Io mi sentii talmente felice da avere come un soprassalto e, forse, svenni — non ricordo bene.
Ebbi una sorta di collasso. La sola cosa che ricordo è la voce di un soldato che mi disse: “Hey, Kelly, svegliati. Svegliati! Dobbiamo abbandonare la collina. Ora la via è libera”. Se ricordo bene, era l’alba. Il luogo era talmente fitto di nubi che non era facile distinguere in quale momento del giorno ci si trovasse.
Mentre discendevamo la montagna, cominciai a riflettere su quanto mi era accaduto; dietro di me, udii due commilitoni parlare tra loro: “Hai visto la luce sulla collina stanotte?”, chiese uno. “Sì, vagamente”, rispose l’altro. Pure loro l’avevano veduta! Io la percepii come un’immagine tridimensionale, che prese forma da quelle volute di fumo. Pensai: “Presto dimenticherò tutto questo.” Ma ogni qualvolta mi trovai in un bombardamento, non potevo non pensare a Lei, assisa in quel tempio. E cominciai a dirmi: “Per la miseria, chissà di chi si tratta”.
Passò qualche giorno, da quella prima visione, quando all’improvviso udii nuovamente la voce di quel vecchio nel cielo. Come di consueto, marciavo alla testa dei miei uomini: mi fecero sergente perché tutti i graduati erano malati o feriti o indisposti. A ogni modo, il vecchio mi disse: “Quel sottopassaggio sta per essere bombardato.” Si trattava del sottopassaggio di un treno, e noi dovevamo attraversarlo, ma lui mi fece quasi vedere l’immagine del bombardamento. Così, corsi dal luogotenente e gli chiesi: “Dove stiamo andando?”. Lui mi mostrò la mappa, che puntava a un accampamento tedesco, dall’altra parte del sottopasso. E noi dovevamo dirigerci proprio là. Cercai di convincerlo a prendere un’altra strada, ma lui non volle ascoltarmi. Perciò, mentre tornavo dai miei uomini, il vecchio nel cielo mi disse: “Prendi i tuoi uomini e passa per primo”. Replicai: “Che cosa? Adesso vuoi che passi per primo?”. Ero terrorizzato e, nella mia sciocca codardia, avrei preferito trovare un percorso alternativo. Ma lui in qualche modo mi convinse di passare per primo e di farlo in tutta fretta. Tornai dal mio luogotenente per chiedergli il permesso — mi chiese: “lo vuoi fare per davvero?”.
Corremmo giù per la collina, come una squadra di atletica, e attraversammo il sottopassaggio; l’intenzione era di non fermarci finché non fossimo arrivati alla casamatta — e fu esattamente quanto avvenne. Ci guardammo indietro. Nel preciso istante in cui chiudemmo la porta dietro di noi, quel luogo maledetto esplose. Ma la casamatta non venne colpita, in quanto si trattava dell’accampamento tedesco — che, grazie a Dio, era vuoto. Quando la nube dell’esplosione si diradò, non scorgemmo più nessuno. L’intero plotone, alla vista dell’esplosione, decise di aggirare la collina, esattamente come io avevo proposto di fare.
A ogni modo, il contatto divenne costante: il vecchio mi indicava la direzione da prendere, sebbene io fossi sempre un poco reticente a obbedire. Sembrava come se egli avesse una visione periscopica: poteva vedere tutt’intorno, a grande distanza, in modo da potere individuare i punti sicuri, verso i quali dovevamo recarci. Fu estremamente provvidenziale. Ciò nonostante, mi pareva di essere un ragazzino che, preso per mano dal proprio padre e condotto in un negozio di caramelle, si mostrava reticente. Ero un poco indispettito. Nonostante l’avere questa guida mi ponesse in una posizione estremamente vantaggiosa, ero scontento.
La guerra finì. Oltre la linea Siegfried, passammo attraverso i campi di concentramento. Giungemmo fino al confine russo. Eravamo l’esercito di occupazione. Quanto a me, ero intento a cercare di capire: non sapevo nulla in materia di bilocazione, del fatto che alcuni maestri siano vissuti attraverso le ere, e che Lui e Lei appartenevano a una simile categoria di esseri. Avevo sentito parlare di divinità, di dèmoni, di spirito santo, di esseri disincarnati, mentre, in realtà, nel mio caso si trattava di esseri viventi su questa stessa terra. Questa la cosa sbalorditiva.
Anni dopo, quando mi recai in India, chiesi a Mère alcuni chiarimenti in materia. Lei mi disse che il giorno in cui scoppiò la guerra mondiale, è come se una centralina telefonica invisibile si fosse stabilita nel suo essere. E con tale centralina, lei poté mettersi in sintonia con tutta una serie di persone che la contattavano, proprio come accade in una conversazione telefonica — mi spiegò il fenomeno proprio usando questa similitudine. In un certo qual modo, lei era collegata con tutte queste persone in difficoltà, e riceveva le chiamate di soccorso provenienti da tutti i campi di battaglia sparsi nel mondo. Quando qualcuno era in pericolo, lei riceveva la chiamata di soccorso e, allora, lei si trovava magari nel cortile del Playground dell’ashram e le capitava di svenire o di entrare in trance, senza che nessuno potesse evitarlo. Ma non manteneva tutti i ricordi, perché si trattava di un’azione costante. Lei era come la parte culminante del contatto. Divine emanazioni scaturivano da lei per dirigersi in tutte le direzioni: questo il suo lavoro di quegli anni, e lei mi confidò che la fine della guerra fu il giorno più bello della sua vita, perché tutto cessò e si sentì parecchio sollevata.
Quanto a me, quando tornai dal fronte, mi sentii in uno stato confusionale, a causa dell’alto stato di tensione che il mio corpo subì durante la guerra, e di quelle visioni ricevute. Mi sentivo come una corda tesa, nel profondo, e non avevo alcun controllo su di essa. La corda si tese talmente da condurmi a pensare che ero diventato pazzo. Mi trovavo in una terra-di-nessuno e in una mente-di-nessuno. Mi pareva assurdo, nulla sapendo del fatto che si potesse realmente ricevere aiuto in un modo simile.
Ebbi ulteriori visioni. Vidi un vecchio con una pipa e, col tempo, ritenni che doveva trattarsi di Carl Gustav Jung. Vidi pure un sacerdote, un tipo aitante con cipiglio severo, una folta barba nera e sopraccigli da pirata: gli dissi che volevo vedere ancora una volta la Donna, e lui mi disse che avrebbe parlato con lei.
Continuavo a congetturare sempre più, finché un giorno mi sdraiai sul mio letto: il cuore si fermò, la forza uscì dalla testa e fui come morto. Ma restai cosciente e vidi Sri Aurobindo giungere. Scorsi una fiamma che avvolgeva la stanza: era il piano psichico. Era una sorta di cerchio magico, o qualcosa del genere, e attraverso quel cerchio magico procedemmo oltre. Lui mi disse di tenermi sollevato e di non guardare a destra o a sinistra. Puntammo verso un cielo notturno, sorvolando la Germania, verso la Svizzera, poi l’Italia, fino a Roma. Percepii ogni sorta di entità, da ogni lato, che cercavano di raggiungerci. Spettri ed esseri di altri mondi cercavano di mettersi in contatto e di inviare messaggi al mondo materiale. Ma, come mi venne ingiunto, io non guardai né a destra né a sinistra. Giungemmo infine al di fuori di quel mondo buio e notturno. Ci dirigemmo sul Mar Mediterraneo, verso l’Egitto: potei vedere le sabbie dell’Egitto al sorgere dell’aurora. Quando fummo in grado di scorgere la costa dell’India, era giorno. Mi trovai infine sul pavimento dell’Ashram, là dove ci sono quelle piastrelle rosa. Lui stava seduto sulla sua poltrona. Mère le stava accanto. Io guardavo senza capire. Lui sorrise. “Sai che cosa è un ashram?”, mi chiese. Io non lo sapevo, ma mentii. Ci trovavamo nell’ashram, e scoprii che avrei potuto continuare il viaggio, verso vite passate: fu così che scoprii di avere vissuto in un ashram in una precedente esistenza. Poi lui mi disse alcune cose, e vissi una serie di esperienze visionarie di altri piani, come quelli che descrive in Savitri. Finché, alla fine, mi ritrovai disteso sul letto, con il cuore che prese nuovamente a battere e mi avvidi di avere sperimentato una trance catalettica.
Ero talmente felice, che mi svegliai. Ricordo di essermi affacciato alla finestra, dove un soldato ubriaco stava cantando canzoni molto volgari tenendo il suo fiasco di vino in pugno, e tutto ciò mi apparve spirituale! C’era una luce aurorale e, in qualche modo misterioso, anche quel tizio sbronzo faceva parte di questa atmosfera spirituale.
Mi vestii e, improvvisamente, un silenzio piombò nella stanza. Sentii che il vecchio era nuovamente presente: provenne dalla parete, si sedette sulla sedia, e Mère era con lui, seppur meno visibile. Rimasi in piedi, sull’attenti, come un soldato. Lui mi apparve estremamente benevolente. Percepii una forza prodigiosa, una emanazione, con cerchi che si irradiavano da lui, mari di beatitudine e di luce e di gioia, scaturiti dal suo stesso essere. E quell’immensa compassione.
Mi chiesi chi potesse mai essere un simile individuo meraviglioso, che mi aveva aiutato durante la guerra e che mi aveva permesso di attraversare tutti questi stati, donandomi simili esperienze... Egli scosse un poco la testa e, in modo appena percepibile, mi disse: “Sri Aurobindo”. Io tentai di ripetere: “Auro...?” — E lui, di rimando, scandendo lentamente: “Au - ro - bin - do». Poi sorrise, faticando a trattenersi dallo scoppiare a ridere.
Dissi: “Ho capito: Aurobindo. E che significa? È una password? Mi sta dando una password?”. In qualche modo, annuì. Io non avevo mai sentito una parola simile. A quel punto, Mère mi disse: “Vieni a Pondicherry”. Io pensai che dovesse trattarsi di un luogo molto distante, molto più remoto di qualunque luogo raggiungibile in nave. Risposi che dovevo aiutare mia madre malata, e che mio padre aveva problemi di alcolismo. Dovevo rimanere, per prendermi cura dei miei genitori. Lui comprese e me lo fece capire. “Verrai tra vent’anni”, mi disse.
Fu così che divenni un Vigile del Fuoco nella città di New York. Quando mia madre morì, nel 1965, lasciai il mio incarico. L’anno dopo partii per l’India e incontrai Mère. Fu molto felice di vedermi. Si instaurò un rapporto molto molto affettuoso.
Mi capitò, in seguito, di incontrare diverse persone che ebbero visioni di Sri Aurobindo simili alle mie, durante la guerra o in altre circostanze, in vari angoli del globo. Fu un immenso sollievo per me. Quando altri mi dissero di averlo visto, compresi di essere nel giusto. Arrivai troppo tardi per incontrare fisicamente Sri Aurobindo, ma il suo Darshan è sempre presente.»