(a cura di Tommaso Iorco)
Sri Aurobindo utilizza i termini apprehending e comprehending in modo decisamente particolare e non nel senso convenzionale al quale siamo normalmente avvezzi.
Gli equivalenti italiani (reperibili su qualunque dizionario di inglese) ‘apprensivo’ e ‘comprensivo’, possono prestarsi alle più colossali deformazioni (il primo, per lo meno), rischiando di rendere la traduzione del tutto incomprensibile e fortemente distorta.
Infatti, se ‘comprensivo’ possiede in italiano un doppio significato (“che ha o dimostra comprensione” oppure, nell’accezione intesa per La Vita Divina, “che comprende, che include” — dal tardo latino com-prendere, ‘contenere in sé’), “apprensivo” è assai più insidioso, in quanto la sua unica valenza nella lingua italiana è tesa a identificare qualcuno “che sta in ansia facilmente”. Risulta quindi assolutamente inadeguato (fuorviante, per meglio dire) tradurre l’espressione apprehending consciousness con “coscienza apprensiva”! Nella lingua anglosassone, l'esistenza dei due termini separati, seppure foneticamente affini, apprehending è apprehensive, risolve il problema. Così, per esempio, Sri Aurobindo può scrivere (nella sua incompiuta opera di esegesi sulla Nilarudra Upanishad): «Rudra is coming in a new form of wrath and desctruction in which the Aryans are not accustomed to see him. Apprehensive of the meaning of this vision, the King summons the people». Qui, senza il minimo dubbio, apprehensive significa “apprensivo”. Mentre, come presto vedremo, utilizza apprehending per veicolare tutt'altro senso.
Per capirne l’esatta accezione, e trasferirla adeguatamente in italiano, occorre anzitutto risalire all’origine etimologica del fonema anglosassone apprehending, che deriva al latino ad-prehendere, vicino all’italiano ‘apprendere’ (che, evidentemente, non ha molto a che vedere con uno stato ‘apprensivo’).
‘Comprendere’ e ‘apprendere’ in italiano sono quasi sinonimi (soprattutto nel linguaggio parlato), e tuttavia implicano due differenti sfumature del processo conoscitivo. Quando si viene a conoscenza di un qualcosa che prima era ignoto, si APPRENDE la tal cosa; quando invece risulta sufficientemente chiaro e spiegato qualcosa che fino allora appariva confuso o nebuloso, lo si COMPRENDE. Così, per esempio, apprendiamo dell’esistenza di una nuova specie marina, ma la comprendiamo solo dopo averne studiato il modo di vivere e i comportamenti.
Trasferito in un linguaggio filosofico, con apprehending consciousness (che si potrebbe tradurre, concedendosi una quanto mai necessaria licenza linguistica, con “coscienza apprendente”) Sri Aurobindo intende una coscienza in grado di esprimere un qualunque elemento che sia presente in sé allo stato latente; mentre con comprenhending consciousess (“coscienza comprendente”) intende designare una coscienza che è consapevole di contenere il tutto dentro di sé.
Chi ha una qualche familiarità con il sanscrito, può ravvisare una significativa analogia con i termini prajñâna e samjñâna, due facoltà derivate a loro volta da vijñâna, la coscienza-di-verità unica (esiste un bellissimo capitolo, intitolato “The Supreme Sense”, all'interno dell'opera esegetica sulla Kena Upanishad, in cui Sri Aurobindo compie un approfondimento sui tre termini sanscriti e su un quarto a essi correlato: âjñâna).
I due lemmi inglesi vengono utilizzati per la prima volta nel XIV capitolo di The Life Divine (intitolato The Supermind as Creator) — ne diamo la citazione originale e, subito dopo, una nostra traduzione:
«…the whole process of differentiation by the Real-Idea creative of the universe is a putting forward of principles, forces, forms which contain for the comprehending consciousness all the rest of existence within them and front the apprehending consciousness with all the rest of existence implicit behind them.»
«…l’intero processo di differenziazione mediante l’Idea-Reale creatrice dell’universo consiste nel portare in superficie i princìpi, le forze, le forme che, per la coscienza comprendente, contengono tutto il resto dell’esistenza al loro interno e che si presentano alla coscienza apprendente preservando in modo implicito, nel profondo, tutto il resto dell’esistente.»
Semplificando al massimo il senso della frase, ogni esistenza contiene tutto dentro di sé, sebbene frontalmente sia in grado di manifestarne solo una parte più o meno limitata. Di conseguenza, nessun essere individuato può esprimere compiutamente il tutto, ma ognuno contiene tutto dentro di sé. Quanto più si è consapevoli di questo fatto (ma a livello esperienziale concreto e non solo a un livello meramente razionale, teoretico o fideistico), maggiore diventa la possibilità di esprimerne adeguatamente all’esterno una luminosa radiazione.
La precisa consapevolezza interiore che ‘tutto è dentro di noi’ deriva dalla facoltà ‘comprendente’ della coscienza sopramentale, la capacità di manifestarne all’esterno quanto più possibile dipende invece dalla facoltà ‘apprendente’.
Volendo offrire un’analogia, si può dire che l’intera luce del sole deriva dalla coscienza ‘comprendente’ della totalità della sfera solare stessa, mentre ogni singolo raggio è una specifica emanazione della coscienza ‘apprendente’ allo scopo di proiettare la luce al di fuori della propria massa, vale a dire nello spazio circostante. Sappiamo che la luce e la sua irradiazione fanno parte di un unico flusso di coscienza: è nella natura stessa della luce irradiare e i due aspetti sono inseparabili. Ogni singolo raggio può essere consapevole della totalità solare da cui proviene, pur potendone esprimere solo una parte (o, per lo meno, una parte per volta!). Per un essere ben stabilito nella coscienza sopramentale, ogni espressione della luce sarà perfetta e priva di deformazioni, in qualunque condizione si trovi a operare.