Nella penisola italiana, abitata fin da tempi molto antichi, si succedettero diverse civiltà alle quali diedero vita genti diverse. Al II millennio a.C. risale la civiltà delle terremare; a essa seguì, verso il 1.000 a.C., quella villanoviana. Queste civiltà si svilupparono al nord e nel centro della penisola, create da popoli di cui si ignora l’origine. Ai primitivi abitatori della penisola — celti, liguri, siculi e sardi — si aggiunsero gruppi di indoeuropei, i veneti e poi gli italici di cui facevano parte gli umbri e i latini. Solo nell’VIII secolo giunsero in Italia due popoli d’avanzata civiltà: gli etruschi e i greci. Questi ultimi colonizzarono l’Italia meridionale e la Sicilia, dando vita a una splendida civiltà. Gli etruschi, la cui origine resta ancora oggi un mistero, si stanziarono nel centro dell’Italia, estendendosi poi sia verso nord che verso sud. Essi non costituivano uno Stato unitario, ma una confederazione che riuniva dodici città-stato relativamente autonome. L’importanza del popolo etrusco è negli elementi originali della sua civiltà e nell’influsso che questa esercitò sui romani.
L’origine leggendaria della città di Roma si collega al mito greco della guerra di Troia e alla fuga dell’eroe troiano Enea, che avrebbe raggiunto la foce del Tevere. Romolo e Remo, suoi discendenti, avrebbero poi fondato Roma.
In realtà Roma nacque fra il IX e il VII secolo dalla fusione di più villaggi abitati da popolazioni latine e sabine, che sorgevano sui colli della riva sinistra del Tevere, in particolare sul Palatino. Secondo una leggenda dell’età romana, in Roma regnarono complessivamente per 250 anni sette re. I primi quattro (Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marzio) furono alternativamente latini e sabini, gli ultimi tre (Tarquinio Prisco, Servio Tullio, Tarquino il Superbo) etruschi, il che testimonia la dominanza etrusca sulla nuova città. Nel 509 a.C. una violenta rivoluzione dei nobili del popolo riuscì a allontanare i re e a dar vita a un governo repubblicano. Il potere dei re era assoluto ed essi erano anche a capo della religione e dell’esercito. Un consiglio di anziani, il senato, scelto fra i patrizi, cioè fra la nobiltà romana, eleggeva il re. Al di sotto del senato, per approvare o respingere le decisioni, c’era una assemblea popolare, detta comizi curiati, che riuniva patrizi e plebei. Questi ultimi costituivano la gran parte della popolazione ed erano artigiani, operai, contadini; non godevano di diritti politici. Sotto di loro erano gli schiavi, che diverranno sempre più numerosi, e i liberti, ex schiavi liberati, che continuavano però a dipendere dal padrone.
Dopo la cacciata del re, Roma si diede una costituzione repubblicana (in caso di pericolo i consoli venivano sostituiti da un dittatore che accentrava nelle sue mani tutti i poteri). Il senato era la massima assemblea romana. Le assemblee popolari erano i comizi curiati prima e i comizi centuriati poi. Assoluto era il predominio dei patrizi in questa costituzione e i plebei dovettero lottare a lungo per ottenere la piena parità dei diritti. Intanto Roma iniziava una lunga serie di guerre vittoriose contro etruschi, galli, sanniti, al termine delle quali essa si trovò ad avere il controllo dell’Italia centrale. Giunta così a confinare con le colonie greche, Roma ebbe una guerra con Taranto, alleata di Pirro; dopo alcune sconfitte, riportò la vittoria. Ormai padrona dell’Italia, dalla Toscana fino allo Ionio, Roma organizzò i propri possedimenti in municipi, città federate e colonie. L’economia subiva una profonda trasformazione: accanto all’agricoltura, si sviluppavano l’artigianato e i commerci.
Assoggettate le colonie greche dell’Italia meridionale, Roma si trovò a dover lottare per il dominio del Mediterraneo contro Cartagine, una grande potenza marinara. La scintilla della lotta scoppiò in Sicilia (I guerra punica - 260 a.C.) e i romani ne approfittarono per conquistarla (e divenne la loro prima provincia, cioè il primo possedimento romano fuori dalla penisola), ma il dominio del mare rimase dei cartaginesi, finché (nel 241 a.C.) la flotta romana inflisse loro la sconfitta decisiva.
Perso il controllo del commercio marittimo, Cartagine cercò di conquistare la penisola iberica. Il comando dell’esercito cartaginese passò a Annibale, il quale con tre importanti vittorie giunse alle porte di Roma (II guerra punica - 218 a.C.), che però superò per scendere più a sud in attesa di aiuti da Cartagine. Lo scontro diretto ebbe luogo a Canne nel 216 a.C. e si risolse in una grave sconfitta romana. Annibale però non seppe approfittare della vittoria; gli aiuti che attendeva via mare arrivarono via terra dal fratello Asdrubale, che fu sconfitto dai romani.
Per costringere Annibale a lasciare l’Italia, Scipione sbarcò con un esercito in Africa e marciò su Cartagine (III guerra punica - 146 a.C.). Annibale, tornato precipitosamente in patria, lo affrontò ma fu sconfitto. Roma ebbe così modo di imporre ai cartaginesi gravissime condizioni di pace.
Sconfitti i cartaginesi, Roma completò la sua espansione nel bacino del Mediterraneo, strappando la Grecia ai macedoni e respingendo un tentativo del re di Siria Antioco di riconquistarla. Più tardi, i romani sottomisero anche la Macedonia e distrussero dalle fondamenta Cartagine che stava lentamente rinascendo.
Le conquiste territoriali trasformarono profondamente non solo i costumi della società romana (soprattutto per influsso della Grecia), ma anche le sue strutture politiche e economiche. Verso la metà del II secolo a.C., accanto alla nobiltà senatoria, si era formata una nuova classe sociale, quella dei cavalieri. In grave decadenza era invece la classe dei piccoli proprietari terrieri. Si imponeva una riforma sociale: essa fu sostenuta dai gracchi, i quali proposero la ridistribuzione dell’agro pubblico, ma sia Tiberio sia Gaio furono uccisi durante sanguinosi scontri provocati dai nobili. Fallito il tentativo di riforma, si affermarono due capi militari, Mario e Silla. Il primo, un ambizioso plebeo, generale di grandissime capacità militari, non seppe sfruttare politicamente la fama conquistata in guerra. A Silla, generale patrizio, si appoggiò il senato per indebolire la fama di Mario; si giunse così a una guerra civile che vide prevalere ora l’uno ora l’altro dei contendenti. Alla fine Silla trionfò e si fece eleggere dittatore, ma dopo tre anni si ritirò a vita privata.
Dopo il ritiro di Silla, altri ambiziosi generali cercarono di impadronirsi del potere. Fra questi erano due ex-luogotenenti di Silla: Pompeo, che aveva domato una rivolta in Spagna (e che in seguito ripulì il Mediterraneo dai pirati) e Crasso, che aveva soffocato la rivolta degli schiavi guidata da Spartaco. Nel frattempo in Roma veniva sventato dal senato un tentativo di rivolta organizzato da Catilina. Fu a questo punto che emerse Giulio Cesare, il quale aveva ereditato da Mario l’appoggio del partito popolare. Crasso, Pompeo e Cesare diedero vita a una alleanza di potere, che è il primo triumvirato e che durò fino alla morte di Crasso, caduto nella guerra contro i parti nel 53 a.C.
Pompeo cercò di avere il sopravvento su Cesare, ma questi, che si trovava in Gallia (da lui conquistata), marciò su Roma mentre Pompeo fuggiva in Oriente. Riconquistata la Spagna, che si era ribellata, Cesare sbarcò in Tessaglia e a Farsalo sconfisse Pompeo, il quale fu poi ucciso dal re egiziano Tolomeo presso il quale si era rifugiato. Cesare si fece nominare dittatore a vita e pontefice massimo, oltre a essere tribuno, console e prefetto, e attuò un ampio e lungimirante programma di riforme per garantire la pace e rendere più stabile il potere, gettando in questo modo le basi di tutta la gloria a venire dell’Impero romano. Non abolì la repubblica, ma riservò a sé un potere simile a quello di un monarca. Per soddisfare le richiesta di terra dei propri veterani e nello stesso tempo per rendere più stabile il dominio di Roma sulle province, Cesare fece fondare numerose colonie (in Egitto pose Cleopatra, con cui era entrato in rapporto molto intimo, sul trono): ebbe perciò inizio un vero processo di romanizzazione del mondo. Fece eseguire lavori grandiosi, architettonici e urbanistici, riformò il calendario (da 10 mesi di 304 giorni basato sulle fasi lunari, lo portò a 12 mesi di 365 giorni). Giulio Cesare fu ucciso in senato nel 44 a.C. da alcuni congiurati che si erano visti privare delle loro funzioni, appoggiati dai latifondisti preoccupati della riforma agraria che Cesare si accingeva a varare in favore dei contadini. Figura di immensa levatura, abilissimo stratega, politico d’eccezione, amministratore capace, dotato di una intelligenza superiore e di una cultura assai vasta, attento alle questioni letterarie e filosofiche (ha scritto diversi libri in prosa e opere in versi), Cesare governò in modo liberale, cercando di ricreare la concordia civile, e fu largo di iniziative di interesse sociale.
La morte di Cesare non servì affatto a rinsaldare la repubblica, come i congiurati credevano. Dopo di lui una seconda alleanza di potere, riconosciuta dal senato, unì Antonio, Lepido e il giovane Ottaviano, i quali vendicarono Cesare sconfiggendone gli uccisori. Ma anche i nuovi triumviri non seppero trovare l’intesa. Messo da parte Lepido, Antonio e Ottaviano si scontrarono violentemente finché quest’ultimo, trionfando sul rivale nella battaglia di Anzio, non si assicurò il dominio dello Stato.
Ottaviano, detto poi Augusto, diede a Roma un periodo di pace piuttosto lungo, che favorì lo sviluppo della vita civile, artistica e letteraria. Appartengono a questo periodo i grandi poeti Virgilio e Orazio. Virgilio è celebre per la sua epopea incompiuta, l’Eneide, uno dei capolavori della poesia universale. Orazio fu un poeta non meno raffinato, celebre per la sua produzione lirica, in particolare le Odi, scritte in giambi e prevalentemente in asclepiadei, strofe saffiche e strofe alcaiche, i cui motivi ricorrenti sono l’amore, il convito e l’invito a cogliere ciò che la vita offre. Orazio ha le sue migliori doti nella finezza di gusto, nel senso della misura e nell’eleganza. Anche le Epistole, in esametri, ebbero grande fortuna — in particolare l’Epistola ai Pisani, meglio nota come Ars poetica, in cui Orazio tratta degli stili e dei generi di poesia con perizia di fine conoscitore e che ebbe straordinaria diffusione nei secoli successivi, esercitando un forte influsso sulle teorie estetiche.
Alla morte di Augusto, nel 14 d.C., fu fatto imperatore un suo figliastro, Tiberio. Nel 37 fu eletto Caligola, che tentò di instaurare la monarchia e fu ucciso in una congiura. Gli succedette nel 41 Claudio, il quale si dimostrò buon politico e buon amministratore. Quindi venne Nerone che, dapprima capace, finì per inimicarsi il senato e il popolo con le sue stravaganze e si fece uccidere da uno schiavo nel 68. Con lui iniziano le persecuzioni ai cristiani e finisce la dinastia Giulio-Claudia.
Inizia quindi, con Vespasiano, la dinastia Flavia. Vespasiano seppe amministrare con fermezza l’impero e estendere i confini con nuove conquiste. Gli succedettero Tito, il riconquistatore di Gerusalemme, e Dominziano, il quale, nemico del senato, fu ucciso in una congiura. A lui seguì Nerva, un anziano senatore.
Dopo il breve impero di Nerva, fu fatto imperatore per la prima volta uno straniero, lo spagnolo Traiano, che si rivelò di altissimo valore. Nel 117 divenne imperatore un altro spagnolo, Adriano, con il quale finirono le guerre di espansione e vi fu una più solida organizzazione dell’impero. La pace continuò con Antonino, di origine gallica, che promulgò leggi per la difesa degli schiavi e tollerò i cristiani. Dopo di lui, nel 161, salì al trono Marco Aurelio, grandissimo imperatore, mentre il figlio Commodo, che gli succedette, fu assassinato in una congiura per la sfrenata tirannia. Finita la dinastia degli Antonini, cominciò a delinearsi la crisi che in breve tempo travolgerà l’impero. Un periodo di anarchia portò sul trono un valoroso generale, africano d’origine, Settimio Severo. Il suo successore, Caracalla, concesse la cittadinanza romana a tutti i cittadini dell’impero; ciò gli attirò l’odio del senato, che lo fece assassinare, mentre nemici esterni sempre più temibili premevano ai confini.
Infatti, un tragico periodo d’anarchia si aprì per l’impero, finché divenne imperatore Diocleziano, che, oltre a promulgare importanti leggi agrarie e civili, trasformò l’impero in una monarchia e lo divise prima in due parti, poi in quattro. Ritiratosi Diocleziano, Costantino prese il potere. Fece cessare le persecuzioni contro i cristiani e anzi li favorì. Seguì poi, con il successivo imperatore, Giuliano (332-363), un tentativo assai raffinato e intelligente di restaurazione del paganesimo, nel fondamentale rispetto di tutte le fedi; Giuliano è anche celebre per le notevoli riforme economiche e amministrative da lui introdotte.
La pressione esercitata sui confini dell’impero dalle popolazioni germaniche, spinte a loro volta dagli unni, si fece più pesante. La situazione precipitò quando una popolazione germanica, i goti, riuscì a sconfiggere per la prima volta i romani. Di fronte alla sconfitta l’imperatore Teodosio, con il quale il cristianesimo divenne religione di Stato, concesse ai goti di stanziarsi all’interno dei confini dell’impero.
Alla morte di Teodosio, l’impero venne definitivamente diviso fra i suoi due figli: si formò così un Impero Romano d’Oriente e un Impero Romano d’Occidente (quest’ultimo molto debole e destinato a crollare sotto i barbari). Nel 410 e nel 463 Roma fu saccheggiata dai visigoti e dai vandali. Nel 476, con la deposizione di Romolo Augusto da parte del germanico Odoacre, finisce l’Impero Romano d’Occidente, sulle cui rovine nacquero i regni romano-barbarici.