È questo il nome proposto per una possibile nuova specie di ominide identificata attraverso l’analisi del DNA, la cui scoperta è stata annunciata nel marzo 2010.
È ipotizzabile che questa classe di ominide visse in un periodo compreso tra 1 milione e 40.000 anni fa in aree dove esistevano anche uomini di Neandertal e Sapiens, tuttavia la sua origine e la sua migrazione appare distinta da quella delle altre due specie, e il DNA mitocondriale (quello trasmesso per linea materna) del Denisova risulta differente dai DNAmt di Neandertal e Sapiens.
Un team di scienziati dell’Istituto Max Planck di antropologia di Lipsia guidati dal prof. Svante Pääbo sequenziò il DNAmt, estratto dal frammento osseo di un dito mignolo di un giovane individuo di età stimata tra i 5 e i 7 anni e di sesso incerto nonostante gli fosse stato attribuito il soprannome di donna X. Il reperto venne alla luce nel 2008 nelle grotte di Denisova sui Monti Altai in Siberia.
Data l’estrema limitatezza del reperto finora recuperato, non si sa nulla sulle caratteristiche fisiche di questi individui, dal quale è stato estratto il materiale genetico. Si aspetta e si spera che il risultato delle analisi del DNA nucleare (ovvero quello prelevato dal nucleo della cellula, che il team è riuscito con successo a estrarre e sequenziare) chiarifichino l’esistenza di questa specie.
Quello che possiamo fin d’ora affermare è che, intorno a 40.000 anni fa, l’Eurasia era popolata da almeno quattro gruppi diversi di ominidi: Denisoviani, Neandertaliani, Homo floresiensis e Homo sapiens. Una piccola parte del nostro Dna (1-4%) non proviene dai Sapiens originari dell’Africa, ma ci è stata trasmessa dai Neandertal. E ora gli studiosi affermano che i Sapiens hanno avuto rapporti interfertili anche con i Denisoviani.
«È una delle scoperte più intriganti degli ultimi tempi», commenta il prof. Giorgio Manzi, paleoantropologo dell’Università La Sapienza di Roma, non coinvolto nella ricerca. E il genetista Brenna Henn della Stanford University afferma che i ritrovamenti di Denisova suggeriscono che le ibridazioni fossero molto più frequenti di quanto si ritenesse in precedenza.
Comparando il Dna della femmina di Denisova con quello di popolazioni umane moderne, è stato inoltre scoperto che i Melanesiani — e solo loro — hanno ereditato dal 4 al 6% del loro Dna dai Denisoviani. Questo significa che gli attuali abitanti di alcune isole del Pacifico di Papua (Nuova Guinea) potrebbero essere lontani discendenti di queste antiche ibridazioni.
Se Sapiens e Denisoviani erano specie diverse, i loro ibridi non avrebbero potuto riprodursi a loro volta; sembra invece che questi ibridi abbiano prodotto prole, altrimenti il DNA dei Denisoviani non avrebbe potuto trasmettersi ai moderni Melanesiani.
Date le evidenze a sostegno del fatto che l’homo sapiens possa essersi incrociato con Neandertaliani e Denisoviani, vi sono alcuni biologi dell’evoluzione che hanno suggerito di lasciar cadere la diversa denominazione per umani moderni e neandertaliani, e di considerare i due gruppi (Neandertal e Denisova) come sottospecie di Homo sapiens.
Peraltro, gli studi nel settore s’infittiscono e aprono scenari molto diversi da quelli finora ipotizzati dalla scienza. Per esempio, alcuni fossili rinvenuti in Cina non presentano caratteristiche anatomo-morfologiche simili a quelle di altri rappresentanti del genere Homo che vivevano in quelle zone e in quel periodo, come il cranio di Dali della Cina centrale risalente a 200.000 anni fa. Purtroppo l’Asia, finora, non ha messo in luce molti fossili umani — forse a causa della pratica di cremazione dei cadaveri in uso fin dalla più remota antichità. Fossili umani asiatici di qualche rilevanza, attualmente sono stati rinvenuti solo in Cina (con “l’Uomo di Pechino”, un tipo di Homo erectus) e in indonesia (con “l’Uomo di Giava”, un altro erectus, e l’Homo floresiensis). Gli utensili in pietra abbondano, ma le ossa umane asiatiche sono rare. Ma quest’ultima scoperta spinge a effettuare ricerche più approfondite anche in Asia.
Dicembre 2010