VATICANO

Fu papa Paolo VI a decidere di affidare il trasferimento all’estero delle partecipazioni a un sacerdote e a un laico. Il laico si chiama Michele Sindona — porta i capitali della mafia. Il sacerdote si chiama Paul Marcinkus. È lo stesso Sindona a presentare a Marcinkus il banchiere Roberto Calvi. I tre arrivano a manipolare gli andamenti della Borsa di Milano con le società del Vaticano che finiscono a Calvi via Sindona.
Dopo Paolo VI, viene eletto papa il patriarca di Venezia Albino Luciani, uomo di altissimo rigore morale. Il giornalista Mino Pecorelli pubblica i 121 nomi di esponenti vaticani che sarebbero affiliati alla massoneria (poco dopo, Mino Pecorelli verrà ucciso in circostanze rimaste misteriose). Papa Luciani intende fare pulizia allo IOR e trasferire tutti: Marcinkus, de Bonis, Mennini, de Strobel. Lo confida al segretario di Stato Jean Villot la sera del 28 settembre 1978. La mattina dopo il corpo senza vita di Giovanni Paolo I viene rinvenuto nel suo letto.
A dar ulteriore adito all’ipotesi dell’avvelenamento, concorrono le rivelazioni del pentito Vincenzo Calcara rilasciate a Paolo Borsellino e pubblicate nel suo memoriale. Calcara scrive di un colloquio con l’imprenditore e politico mafioso Michele Lucchese (membro di una loggia massonica segreta, secondo Calcara) subito dopo l’attentato a Giovanni Paolo II (al quale i mafiosi partecipano indirettamente). Queste ipotesi non hanno avuto seguito per il momento, ma sussistono dubbi in merito, anche a causa del diniego delle autorità ecclesiastiche a effettuare l’autopsia sul corpo.
Karol Wojtyla recupera la politica di Paolo VI e assicura a Marcinkus la continuità sull’indirizzo finanziario. Il ministro del Tesoro Andreatta dispone la liquidazione del Banco Ambrosiano. Marcinkus gode della protezione incondizionata di Giovanni Paolo II, dovuta soprattutto ai fondi per oltre 100 milioni di dollari che il Vaticano inviò al sindacato polacco Solidarnosc. Triplice mandato di cattura, emesso il 20 febbraio 1987 dalla magistratura milanese contro Marcinkus e i dirigenti dello IOR Luigi Mennini e Pellegrino de Strobel.
Oggi, il Vaticano ha una banca al suo interno che si chiama sempre IOR, che è presieduta sempre dallo stesso presidente dell’epoca, il quale cercò di fare pulizia seppur con parecchie difficoltà, ed è una banca che non risponde a nessun tipo di controllo. Nel senso che esiste una banca in piazza San Pietro che non aderisce ad alcuna convenzione antiriciclaggio e che non è sottoposta a nessuna normativa internazionale dell’Unione europea (che implica dei sistemi di controllo automatici sui flussi di denaro). Si tratta quindi di una banca assai appetibile per chi ha desiderio di far transitare soldi poco puliti. Basta presentarsi all’ingresso di porta Sant’Anna con una ricetta medica per poter entrare nello Stato “Città del Vaticano”, arrivare al torrione quinto che è una torre con mura spesse 9 metri che custodisce il forziere dei cardinali. Recenti documenti hanno messo in luce che in quei forzieri, per fare un esempio, le suore Ancelle della divina provvidenza di Bisceglie, sorelle che si occupavano dei malati di mente, avevano un saldo di 55 miliardi di lire sul conto. Come abbiano ottenuto questa somma non si sa, ma sappiamo che la retta che lo Stato italiano versa per questi malati è di 100 euro a testa.
Di certo questa banca gode di un sistema autoreferenziale di autocontrollo che ovviamente è privilegiato. Infatti quando arriva la rogatoria da Milano dei magistrati di Mani pulite, dai documenti si capisce che in Vaticano quei documenti della magistratura milanese già li avevano. Passati da qualche amico che li voleva mettere a conoscenza in anticipo. E chi è sotto scacco giudiziario sa bene che prima si hanno le carte dell’accusa meglio ci si può difendere.
Michele Sindona, attraverso una serie numerosissima di libretti al portatore trasferì due miliardi di lire sulle casse della Democrazia Cristiana, e parecchi milioni di lire vennero distribuiti tramite Vito Miceli a una ventina di politici italiani. Venne arrestato per bancarotta fraudolenta e condannato dapprima negli USA e in seguito anche in Italia. Nel 1986 venne anche condannato all’ergastolo per essere il mandante dell’omicidio di Giorgio Ambrosoli, liquidatore delle sue banche, il quale si era sempre opposto con fermezza alle minacce che subiva. Durante le indagini emersero l’affiliazione alla P2 di Gelli, contatti con il Vaticano, la Massoneria e con ambienti mafiosi. Per tentare di commuovere gli USA e di convincerli che tutte le sue sfortune finanziarie erano frutto di un sabotaggio nei suoi confronti da parte di elementi politici italiani, arrivò a simulare un rapimento. Attraverso esponenti della mafia italo-americana ottenne documenti falsi, così che dopo aver simulato il rapimento da parte di un fantomatico gruppo proletario eversivo, si trasferì in Italia per un breve periodo con lo scopo di ritrovare dei documenti necessari per la sua difesa al processo. Durante questo finto rapimento si fece addirittura anestetizzare una gamba per poi farcisi sparare dal dottor Miceli Crimi, medico appartenente alla P2, al fine di rendere più veritiero il sequestro. Dopodiché, rientrò negli U.S.A., rimase alcuni giorni in un albergo e poi si fece trovare. Due giorni dopo la condanna per l'omicidio di Ambrosoli fu avvelenato con un caffè al cianuro nel supercarcere di Voghera il 20 marzo 1986: morì due giorni dopo.
Quanto a Roberto Calvi iniziò la sua carriera nel 1947, quando entrò nel Banco Ambrosiano, banca privata strettamente legata all’Istituto per le Opere di Religione (IOR) del Vaticano, in qualità di semplice impiegato, salvo riuscire, nell’arco di una trentina d’anni, a raggiungere prima la carica di direttore generale nel 1971 e poi quella di presidente nel 1975, carica quest’ultima tramite la quale riuscì ad avviare una serie di speculazioni finanziarie per lanciare il Banco Ambrosiano nella finanza internazionale. Fondamentali, a questo scopo, le amicizie con membri della loggia massonica P2 (di cui in seguito fece parte) e i rapporti con esponenti del mondo degli affari e della mafia. Nel 1968 conobbe Michele Sindona divenendone socio in affari; nel 1975 Sindona gli presentò Licio Gelli e Calvi entrò nella P2. In poco tempo divenne uno dei finanzieri più aggressivi, intrecciando una fitta rete di società create in paradisi fiscali con lo IOR, la banca vaticana: acquistò la Banca del Gottardo, un istituto di credito svizzero; fondò una finanziaria in Lussemburgo, la Banco Ambrosiano Holding; con l’arcivescovo Paul Marcinkus fondò la Cisalpine Overseas, nelle Bahamas; insieme al tecnico informatico Gerard Suisson (che morì a 40 anni in un Club Méditerranée in Corsica), Calvi ideò un meccanismo di compensazione dei conti fra istituzioni bancarie. Gli obblighi internazionali di riserva frazionaria vennero in questo modo applicati solo al saldo dei crediti tra due banche, a quella delle due che ha il saldo positivo (saldo creditore). In seguito Calvi si fece ancora più spregiudicato: costruì società fantasma nei paradisi fiscali per aumentare gli introiti del Banco Ambrosiano, e arrivò a finanziare alcune dittature del Sudamerica.
La prima crisi del Banco risale al 1977. All’alba del 13 novembre Milano si svegliò tappezzata di cartelloni in cui si denunciavano presunte irregolarità del Banco Ambrosiano. Artefice del gesto era stato Michele Sindona, che voleva vendicarsi di Calvi, cui aveva chiesto senza successo i soldi per «tappare i buchi» delle sue banche.
Per alcuni mesi, a partire dal 17 aprile 1978, alcuni ispettori della Banca d’Italia analizzarono la situazione del Banco Ambrosiano e denunciarono parecchie irregolarità, segnalate al giudice Emilio Alessandrini, il quale venne però ucciso il 29 gennaio 1979 da un commando di terroristi di estrema sinistra appartenenti a Prima Linea. Il 24 marzo il governatore della Banca d'Italia Paolo Baffi e il capo dell’Ufficio Vigilanza Mario Sarcinelli, artefici dell'ispezione, vennero accusati dai magistrati Luciano Infelisi e Antonio Alibrandi di alcune irregolarità e posti agli arresti (domiciliari per Baffi), salvo essere completamente prosciolti nel 1983, in seguito all'accertamento dell'assoluta infondatezza delle accuse mosse a loro carico.
In seguito il Banco si trovò ad affrontare una prima crisi di liquidità, che risolse ricevendo finanziamenti dalla BNL e dall’ENI per circa 150 milioni di Dollari, mentre una seconda crisi di liquidità nel 1980 fu risolta grazie a un nuovo finanziamento dell'ENI di 50 milioni di dollari, per ottenere i quali Calvi, come risulta dagli atti processuali, pagò tangenti a Claudio Martelli e Bettino Craxi. Il “castello di carte” dell’Ambrosiano crollò nel 1981 con la scoperta della loggia P2 che lo proteggeva: Calvi, rimasto senza protezioni ad affrontare lo scandalo, cercò l’intervento del Vaticano e dello IOR, ma poco meno di due mesi dopo, il 21 maggio, venne arrestato per reati valutari, processato e condannato. In attesa del processo di appello, Calvi fu messo in libertà provvisoria, tornando a presiedere il Banco. Nel tentativo di trovare fondi per il salvataggio dei conti, strinse rapporti con Flavio Carboni, un finanziere sardo legato ad ambienti politici e malavitosi romani come la ‘banda della Magliana’, legami che forse portarono al tentato omicidio di Roberto Rosone. Rosone, direttore generale del Banco, fu vittima di un attentato da parte di Danilo Abbruciati, un boss della banda della Magliana, a causa delle perplessità espresse circa alcuni finanziamenti concessi dal Banco a Carboni senza la presenza delle dovute garanzie. Il 9 giugno 1982 Calvi si allontanò da Milano, giungendo a Roma in aereo, dove incontrò Flavio Carboni, col quale organizzerà la fuga verso l’estero.
L’11 giugno il banchiere si diresse a Venezia, per poi raggiungere Trieste, e successivamente la Jugoslavia. Dal paese slavo proseguirà poi per Klagenfurt. Il 14 giugno Calvi incontrò Carboni al confine con la Svizzera, per poi partire il 15 giugno verso Londra, dall’aeroporto di Innsbruck. Il 16 giugno Carboni partì da Amsterdam per raggiungere Calvi a Londra. Il 18 giugno venne trovato impiccato sotto il Ponte dei Frati Neri sul Tamigi in circostanze molto sospette, con dei mattoni nelle tasche e 15.000 dollari addosso. Fu trovato anche un passaporto con le generalità modificate in Gian Roberto Calvini. La magistratura inglese liquidò la morte di Calvi come suicidio, come affermato da una perizia medico-legale. Sei mesi dopo, l’Alta Corte annullò la sentenza per vizi formali e sostanziali e il giudice che l'aveva emessa venne incriminato per irregolarità; il secondo processo britannico lasciò aperta sia la porta del suicidio, sia quella dell'omicidio. Nel 1988 iniziò in Italia una causa civile che stabilì che Roberto Calvi era stato ucciso. Un nuovo procedimento legale sulla morte di Calvi è stato aperto in Inghilterra nel settembre 2003. Una prima indagine della procura di Milano archiviò il fatto come suicidio. L’indagine proseguì con l'ordinanza di custodia cautelare emessa nel 1997 dal gip Mario Alberighi a carico di Pippo Calò e Flavio Carboni, accusati di essere i mandanti dell'omicidio. Secondo l’accusa, Calvi sarebbe stato ucciso perché impossessatosi del denaro di Calò e di Gelli. L’anno successivo, una nuova perizia sulla morte di Calvi, ordinata dal gip Otello Lupacchini, stabilì l’infondatezza dell’ipotesi del suicidio. Il processo penale iniziò il 5 ottobre 2005 in una speciale aula approntata all’interno del carcere di Rebibbia, a Roma. Imputati furono il boss di ‘cosa nostra’ Pippo Calò e Flavio Carboni, accusati di omicidio, Ernesto Diotallevi, esponente della Banda della Magliana, Silvano Vittor (contrabbandiere di jeans e caffè) e la compagna di Carboni, Manuela Kleinszig.
La frase «Il Banco Ambrosiano non è mio, io sono soltanto il servitore di qualcuno», pronunciata da Roberto Calvi durante il processo per reati valutari ha lasciato molti dubbi sugli eventi. Delle recenti affermazioni della famiglia di Calvi vorrebbero legare quella frase ad alcuni esponenti del Vaticano e la scomparsa di Emanuela Orlandi (la ragazza scomparsa a Roma il 22 giugno 1983, figlia di un dipendente del Vaticano, e tuttora al centro di un giallo internazionale) a queste vicende.
Il 6 giugno 2007 la seconda Corte d’assise di Roma, presieduta da Mario Lucio d’Andria, ha emesso una sentenza di totale assoluzione per gli imputati per il processo Calvi: Flavio Carboni, Pippo Calò, Ernesto Diotallevi e Silvano Vittor sono assolti ai sensi dell'articolo 530 c.p.p., 2º comma, ossia per insufficienza di prove.
Resta aperto invece il secondo filone dell’inchiesta romana, a proposito dei mandati dell’omicidio, tra i cui indagati figura anche Licio Gelli.
In una lettera del 5 giugno 1982 rilasciata dal figlio diversi anni dopo e pubblicata nel libro di Pinotti, Calvi scrive anche a papa Giovanni Paolo II cercando aiuto: «Santità sono stato io a addossarmi il pesante fardello degli errori nonché delle colpe commesse dagli attuali e precedenti rappresentanti dello IOR, comprese le malefatte di Sindona...; sono stato io che, su preciso incarico dei Suoi autorevoli rappresentanti, ho disposto cospicui finanziamenti in favore di molti Paesi e associazioni politico-religiose dell’Est e dell’Ovest...; sono stato io in tutto il Centro-Sudamerica che ho coordinato la creazione di numerose entità bancarie, soprattutto allo scopo di contrastare la penetrazione e l’espandersi di ideologie filomarxiste; e sono io infine che oggi vengo tradito e abbandonato».
I segreti e gli interessi economici legati alla mancata restituzione da parte dello IOR del denaro ricevuto dal Banco Ambrosiano e connessi alle operazioni finanziarie che lo IOR realizzava per conto di propri clienti italiani desiderosi di esportare valuta aggirando le norme bancarie sarebbero quindi all'origine della decisione di uccidere Roberto Calvi, che, disperato e temendo di finire in carcere, avrebbe potuto rivelare quanto sapeva ai magistrati.

Si è più volte fatto riferimento all’arcivescovo cattolico statunitense Paul Casimir Marcinkus (Cicero, 15 gennaio 1922 – Sun City, 20 febbraio 2006). Il 21 agosto 1967, Marcinkus entrò a far parte della massoneria, con numero di matricola 43/649 e soprannome Marpa. Il suo nome fu trovato nella lista contenente 121 ecclesiastici massoni, fra cui Jean-Marie Villot (Cardinale Segretario di Stato), Agostino Casaroli (capo del ministero degli Affari Esteri del Vaticano), Pasquale Macchi (segretario di Paolo VI), monsignor Donato de Bonis (alto esponente dello IOR), Ugo Poletti (vicario generale di Roma), don Virgilio Levi (vicedirettore de «L'Osservatore Romano») e Roberto Tucci (direttore di Radio Vaticana), pubblicata in concomitanza all'elezione di papa Giovanni Paolo I dalla rivista «OP Osservatore Politico» di Mino Pecorelli, ucciso il 20 marzo 1979.
Con Calvi, Marcinkus fondò nel 1971 la Cisalpina Overseas Nassau Bank (poi Banco Ambrosiano Overseas, indagato per riciclaggio di denaro proveniente dal narcotraffico) nelle Bahamas, nel cui consiglio di amministrazione figuravano anche Sindona e Gelli. Marcinkus diventò presidente dell’Istituto per le Opere di Religione (IOR), la banca del Vaticano, dal 1971 al 1989. Di particolare rilievo risultano i rapporti con il Banco Ambrosiano, al cui Consiglio di Amministrazione Marcinkus partecipò ben 23 volte.
Al 1972 risale un contrasto con l’allora Patriarca di Venezia Albino Luciani (poi Papa Giovanni Paolo I) riguardo la cessione da parte dello IOR del 37% delle azioni della Banca Cattolica del Veneto al Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, provocando la reazione dei vescovi veneti e dell'allora monsignore Albino Luciani (futuro Papa Giovanni Paolo I) che, non essendone stati informati, chiusero per protesta i loro conti presso la Cattolica del Veneto.
Il 26 aprile 1973, Marcinkus fu interrogato da William Lynch, capo della Organised Crime and Racheteering Section del dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, e William Aronwald, vice capo della Strike Force del distretto Sud di New York, riguardo un caso di riciclaggio di denaro e obbligazioni false che partiva dalla mafia newyorkese e approdava in Vaticano, per un totale di 950 milioni di dollari. Alle indagini fecero seguito alcuni arresti, ma Marcinkus fu assolto per insufficienza di prove.
Il 26 settembre 1981 Giovanni Paolo II nominò monsignor Marcinkus arcivescovo e pro-presidente della Pontificia commissione per lo Stato della Città del Vaticano.
Marcinkus rimase invischiato, in quanto presidente dello IOR, nello scandalo del crack del Banco Ambrosiano, riuscendo a evitare, grazie al passaporto diplomatico vaticano, il mandato di cattura emesso il 20 febbraio 1987 dal giudice istruttore del tribunale di Milano.
Il nome di Marcinkus è citato anche in altri scandali, quali la morte di papa Giovanni Paolo I e la scomparsa di Emanuela Orlandi.
Lo IOR di Marcinkus aveva concesso nel 1981 a Calvi lettere di patronage, con le quali confermava che «direttamente o indirettamente» esercitava il controllo su Manic. S.A. (Lussemburgo), Astolfine S.A. (Panamá), Nordeurop Establishment (Liechtenstein), U.T.C. United Trading Corporation (Panamá), Erin S.A (Panamá), Bellatrix S.A (Panamá), Belrosa S.A (Panamá), Starfield S.A (Panamá), società fantasma con sede in noti paradisi fiscali, che avevano fatto da paravento alla destinazione dell’ingarbugliato flusso di denaro che aveva drenato duemila miliardi di lire dalle casse dell’Ambrosiano.
Inoltre, secondo le dichiarazioni rese dal pentito di ‘cosa nostra’ Vincenzo Calcara, considerate credibili nel 2003 con sentenza del tribunale di Roma, (nona sezione penale, con sentenza del 6 giugno 2003) e rese pubbliche solo nel 2008, Marcinkus sarebbe stato il personaggio di raccordo fra Vaticano e Mafia per le attività di riciclaggio di denaro. Il pentito, fra l’altro, riferisce di aver trasportato a Roma, pochi mesi prima dell’attentato a Giovanni Paolo II nel 1981, per conto di Tonino Vaccarino (presunto consigliere della famiglia di Castelvetrano) dieci miliardi di lire da investire in Sud America e nei Caraibi attraverso Marcinkus, la Banca Vaticana e il notaio Francesco Albano. L’incontro si sarebbe svolto a casa di quest’ultimo (a detta di Calcara membro, come Marcinkus, dell’Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro, contatto fra la Mafia e il Vaticano, nonché notaio personale di Giulio Andreotti, del boss Luciano Liggio e di Frank Coppola), alla presenza del notaio stesso, di Marcinkus, di un cardinale, di Roberto Calvi, Vincenzo Culicchia (deputato al Consiglio Regionale della Sicilia), Stefano Accardo (detto «cannata»), Vincenzo Furnari, Enzo Leone (anch’egli componente del Consiglio Regionale della Sicilia), Antonino Marotta e il suo padrino Tonino Vaccarino.
A seguito dello scandalo, l’allora ministro del Tesoro Beniamino Andreatta impose lo scioglimento dell’Ambrosiano e la sua liquidazione coatta, avvenuta il 6 agosto 1982. Andreatta stesso tenne uno storico discorso in Parlamento l’8 ottobre 1982, riferendo pubblicamente delle responsabilità della banca vaticana e dei suoi dirigenti, fra cui lo stesso Marcinkus. Secondo i suoi calcoli il Vaticano fu coinvolto nello scandalo per una somma di circa 1500 miliardi di lire. Nel 1987 Marcinkus venne indagato, assieme ad altri due dirigenti dello IOR, per concorso in bancarotta fraudolenta e venne emesso un mandato di cattura dalla magistratura italiana in rapporto al crack dell’Ambrosiano, ma dopo pochi mesi la Corte di Cassazione prima, e quella Costituzionale poi, annullarono il mandato in base all’articolo 11 dei Patti lateranensi.
Altra vicenda poco chiara in qualche modo collegata alla figura di Marcinkus fu la scomparsa di Emanuela Orlandi. Per le telefonate di un uomo, che fu soprannominato l’Amerikano per la sua inflessione, nelle quali si proponeva lo scambio della stessa in cambio della libertà del terrorista Mehmet Ali Agca, alcuni giornali dell’epoca additarono Paul Marcinkus. Questa ipotesi non ha avuto riscontri oggettivi.
Nel giugno 2008 uno dei supertestimoni del processo contro la banda della Magliana, Sabrina Minardi, ex compagna del boss Enrico De Pedis detto Renatino, ha rilasciato agli inquirenti dichiarazioni secondo cui Emanuela Orlandi sarebbe stata rapita dall’organizzazione criminale di De Pedis, tenuta in un’abitazione in via Antonio Pignatelli 13 a Roma, che ha «un sotterraneo immenso che arrivava quasi fino all’ospedale San Camillo» (la cui esistenza è stata confermata dagli inquirenti), poi uccisa e gettata in una betoniera a Torvaianica. La palazzina in questione sulla gianicolense sarebbe stata restaurata da Danilo Abbruciati, membro della banda della Magliana e vicino a Calvi (con il quale Marcinkus aveva contatti). Il rapimento sarebbe stato richiesto, secondo una confidenza fatta da De Pedis alla stessa Minardi, proprio da Marcinkus, «come se avessero voluto dare un messaggio a qualcuno sopra di loro». È la stessa Minardi ad ammettere di aver accompagnato in auto la ragazza dal bar del Gianicolo fino al benzinaio del Vaticano, dove ad attenderla stava un sacerdote a bordo di una Mercedes targata Città del Vaticano. La Minardi ha aggiunto di aver personalmente accompagnato ragazze compiacenti a incontri privati col monsignore in via Porta Angelica.
Affiora anche il personaggio di Giulio Andreotti, presso il quale la testimone racconta di essere andata a cena due volte, assieme al compagno, a quel tempo già ricercato dalla polizia. La donna specifica però che Andreotti «non c’entra direttamente con Emanuela Orlandi, ma con monsignor Marcinkus sì».
La pubblicazione dei verbali resi alla magistratura dalla Minardi ha suscitato le proteste del Vaticano che, per bocca di padre Federico Lombardi (portavoce della Sala Stampa della Santa Sede), ha dichiarato che oltre alla «mancanza di umanità e rispetto per la famiglia Orlandi, che ne ravviva il dolore», ha poi definito come «infamanti le accuse rivolte a Mons. Marcinkus, morto da tempo e impossibilitato a difendersi».
Secondo dichiarazioni del pentito di mafia Vincenzo Calcara, lo IOR era coinvolto nel riciclaggio di denaro di ‘cosa nostra’, mentre un altro pentito, Francesco Marino Mannoia (secondo Giovanni Falcone «il più prezioso collaboratore di giustizia») rivelò nel 1998, durante il processo per mafia a Marcello Dell’Utri, che «Licio Gelli investiva i danari dei corleonesi di Totò Riina nella banca del Vaticano. [...] Lo IOR garantiva ai corleonesi investimenti e discrezione». Perciò «quando il Papa Giovanni Paolo II venne in Sicilia e scomunicò i mafiosi, i boss si risentirono soprattutto perché portavano i loro soldi in Vaticano. Da qui nacque la decisione di far esplodere due bombe davanti a due chiese di Roma».
Ma lo IOR è rimasto invischiato anche in scandali più recenti.
Nel 1993, negli anni di Tangentopoli, il giudice Borrelli del pool di Mani pulite appurò il transito nelle casse dello IOR di 108 miliardi di lire in certificati del Tesoro destinati a quello che fu conosciuto come lo scandalo Enimont. Anche in questo caso l’extraterritorialità assicurò l’impunità del presidente dello IOR Angelo Caloia.
Il 10 luglio 2007, Giampiero Fiorani rivelò ai magistrati milanesi la presenza, nella BSI svizzera, di tre conti della Santa Sede da «due o tre miliardi di euro» e di aver versato in nero nelle casse dell'APSA (la Banca centrale vaticana) oltre 15 milioni di euro.
Lo scandalo più recente è quello di Calciopoli, in quanto è risultato ai magistrati che i fondi neri della Gea World di Alessandro Moggi sarebbero depositati allo IOR, così come altri 150 milioni di euro circa, frutto delle intermediazioni calcistiche del padre, Luciano Moggi.
Secondo il giornalista Gianluigi Nuzzi, che si è avvalso dell’archivio di monsignor Renato Dardozzi, attraverso lo IOR parallelo sarebbero stati movimentati in pochi anni, tra il 1989 e il 1993, 275 milioni di euro in contanti più 135-200 miliardi di lire in titoli di stato. Nel suo libro Vaticano S.p.A. si racconta che lo IOR era attivo nel riciclaggio di denaro sporco, tangenti, supporto finanziario alla mafia, fondazione di un partito di centro destinato a sostituire la Democrazia Cristiana crollata in seguito a tangentopoli. Per esempio il figlio di Vito Ciancimino, Massimo, ha detto che «le transazioni a favore di mio padre passavano tutte tramite i conti e le cassette dello IOR».

Esiste oggi, nel mondo cattolico, un forte movimento di protesta sotterraneo, non ancora manifestatosi apertamente ma che, qualora ciò avvenisse, potrebbe determinare un capovolgimento epocale all’interno delle istituzioni religiose facenti capo alla Chiesa. Per chi volesse farsi un’idea del fenomeno, consigliamo di ascoltare questa intervista rilasciata da don Paolo Farinella il 25 marzo 2010. Tenetevi forte perché si tratta di materiale davvero esplosivo, soprattutto nella seconda metà!