MASSONERIA

Storicamente, la data-chiave per la massoneria risale al 24 giugno 1717, in cui quattro logge londinesi, The Goose and GridironThe CrownThe Apple Tree e The Rummer and Grapes (così chiamate dai locali presso i quali ciascuna si riuniva), decisero di darsi una nuova organizzazione centralizzata, cui dettero il nome di “Gran Loggia di Londra”, presto dilaniata da lotte interne fra Ancients e Moderns, le quali non impedirono tuttavia una costante diffusione della massoneria in Europa e negli Stati Uniti, secondo le linee di espansione dell’impero britannico, dei suoi commerci marittimi e delle colonizzazioni.
Lo sviluppo della nuova massoneria fuori delle isole britanniche fu rapidissimo. Nel 1728 furono fondate una loggia a Madrid e una a Gibilterra; nel 1731 la Gran Loggia di Londra nominò un gran maestro provinciale per la Russia, e sempre nel 1731 una loggia inglese fu fondata a Firenze. Nel 1733 a Boston nacque la prima Gran Loggia provinciale statunitense, mentre nel 1734 i liberi muratori olandesi elessero un gran maestro per le Province Unite. Nel 1735 sorsero logge a Lisbona, Roma, Milano, Verona, Padova, Vicenza, Venezia, Napoli, Stoccolma. Nel 1736 fu fondata la loggia di Genova, e nel 1737 nacque una loggia ad Amburgo.
In Italia, quindi, la prima loggia fu fondata a Firenze nel 1731. Intorno al nucleo iniziale, costituito da inglesi, si aggiunsero gradualmente numerosi nobili e intellettuali fiorentini. La loggia italiana subì scomuniche e condanne da parte della Chiesa. Tommaso Crudeli fu il primo massone a essere incarcerato e torturato dal Sant’Uffizio e a morire per i postumi del carcere a Poppi nel 1745.
Nel 1884 fu pubblicata l’enciclica Humanum Genus di papa Leone XIII, che segnò probabilmente il momento più alto dello scontro tra chiesa cattolica e massoneria. Il documento pontificio sosteneva che l’obiettivo dei massoni era quello di «distruggere da cima a fondo tutta la disciplina religiosa e sociale che è nata dalle istituzioni cristiane, e sostituirla con una nuova, modellata sulle loro idee, e i cui princìpi fondamentali e le leggi sono attinte dal naturalismo».
La massoneria, in effetti, lascia liberi i suoi affiliati di seguire la religione che desiderano; proclama la libertà dell'uomo, proscrive ogni discussione politica dalle sue riunioni coltivando solo la dedizione alla patria e la fratellanza universale. Al tempo stesso, i suoi membri hanno avuto la tendenza di appoggiare cause politiche legate alla laicità dello stato, alla libertà e tolleranza; a queste sono spesso associate dall’opinione pubblica la separazione tra Chiesa e Stato, la creazione di scuole pubbliche secolari e alcune rivoluzioni democratiche come la rivoluzione americana e la rivoluzione francese e su scala più larga in altri paesi come Messico, Brasile e più volte in Italia. Su queste premesse si capisce come fra i massoni figurano personaggi come Mazzini, Mozart, Goethe, Franklin, Washington, Voltaire.

Ma, per capire in che modo la massoneria ha influito sull’Italia contemporanea, dobbiamo partire dalla seconda metà del XX secolo quando, alla fine degli anni settanta e nei primi anni ottanta, la loggia massonica P2 (“Propaganda 2”), controllata da Licio Gelli, fu al centro di uno dei più grossi scandali della storia della Repubblica, con indagini che condussero alla scoperta di una lista di un migliaio di nomi (tra cui esponenti politici, militari e istituzionali) e al cosiddetto “piano di rinascita democratica”, una sorta di programma per la penetrazione di esponenti della loggia nei settori chiave dello Stato. Lo stesso Gelli ammise che «con la P2 avevamo l’Italia in mano. Con noi c’era l’Esercito, la Guardia di Finanza, la Polizia, tutte nettamente comandate da appartenenti alla Loggia.»
Il nome della P2 ricorre più volte nelle cronache nel corso della storia italiana, dato che suoi esponenti sono stati coinvolti in vari episodi non completamente spiegati della storia della Repubblica (dal Golpe Borghese all’operazione Gladio). Le indagini collegarono inoltre alcuni membri della loggia anche all’imponente scandalo finanziario internazionale della bancarotta del Banco Ambrosiano del banchiere Roberto Calvi e all’assassinio suo (inizialmente ritenuto un suicidio) e di Michele Sindona, entrambi appartenenti alla P2. Come risultato, fu emanata nel 1982 la legge Spadolini che sciolse la loggia e rese illegale il funzionamento di associazioni segrete. Come ebbe a dire nel 1981 l’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini: «Nessuno può negare che la P2 sia un'associazione a delinquere.»
La relazione della Commissione parlamentare sulla P2 (firmata da Tina Anselmi), indica la persona che mise in stretto legame la massoneria italiana e americana: il reverendo metodista Frank Gigliotti, già agente della sezione italiana dell’OSS, in seguito agente CIA e responsabile, tra gli altri, della riorganizzazione della mafia in Italia.
Tra gli iscritti alla P2 era presente anche Silvio Berlusconi (tessera n. 1816), prosciolto dalla Corte d’appello di Verona nel 1990 dall’aver giurato il falso davanti ai giudici a proposito della sua affiliazione alla loggia massonica P2 («Io non ho mai fatto parte della P2»), perché tale reato era stato estinto da un’amnistia del 1989.
Licio Gelli, che in passato si era schierato sia col fascismo (tanto da andare a combattere come volontario nella guerra civile spagnola e da essere poi agente di collegamento con i nazisti durante l'occupazione della Jugoslavia), sia con l’antifascismo (organizzò la fuga dei partigiani dal carcere delle Ville Sbertoli in collaborazione col partigiano Silvano Fedi), godeva di profonde aderenze negli ambienti del generale argentino Juan Domingo Perón: una famosa fotografia lo ritrae alla Casa Rosada insieme al presidente e a Giulio Andreotti.
Secondo la commissione parlamentare, Gelli mantenne fino al primo dopoguerra un atteggiamento ambiguo e opportunista, allo scopo di legarsi a chiunque avesse le redini del potere in Italia dopo la guerra (fossero i nazifascisti, gli Alleati e i loro gruppi politici di riferimento o i comunisti filo-sovietici).
Nel 1970 Gelli e la P2 presero parte al Golpe Borghese, come descritto nel dossier del SID consegnato incompleto da Andreotti nel 1974 alla magistratura romana e reso pubblico nella versione integrale solo nel 1991; le parti cancellate (omesse perché, a detta di Andreotti, avrebbero causato un terremoto politico per via dei nomi implicati) includevano il nome di Giovanni Torrisi, successivamente Capo di Stato Maggiore della Difesa tra il 1980 e il 1981, e i nomi e la compartecipazione della P2 e di Gelli, che si sarebbe dovuto occupare del rapimento dell'allora presidente della Repubblica Giuseppe Saragat.
Nel periodo dal 1976 al 1981 la P2 ebbe la massima espansione e influenza e cominciò a operare anche all'estero (pare che abbia tentato proselitismo in Uruguay, Brasile, Venezuela, Argentina e in Romania, paesi nei quali avrebbe, secondo alcuni, tentato di influire sulle rispettive situazioni politiche).
Secondo la commissione parlamentare, la P2 e Gelli stesso goderono di «una sorta di cordone sanitario informativo posto dai Servizi a tutela e a salvaguardia del Gelli e di quanto lo riguarda» a partire dal 1950, che permise al gruppo di agire indisturbato.
Il 17 marzo 1981 i giudici istruttori Gherardo Colombo e Giuliano Turone, nell’ambito di una inchiesta sul presunto rapimento dell’avvocato e uomo d’affari siciliano Michele Sindona, fecero perquisire la villa di Gelli a Arezzo, Villa Wanda, e la fabbrica di sua proprietà, la Giole; l’operazione, eseguita dalla sezione del colonnello Bianchi della Guardia di Finanza, portò alla luce una lista di quasi mille iscritti alla loggia P2, fra i quali il comandante generale dello stesso corpo della Guardia di Finanza, Orazio Giannini (tessera n. 832).
Il colonnello Bianchi resistette a vari tentativi di intimidazione, in quanto erano ancora al potere gran parte delle persone che ivi erano citate, e pubblicò la lista.
Gelli, per il quale la magistratura spiccò un ordine di cattura il 22 maggio 1981 per violazione dell'art. 257 del codice penale (spionaggio politico o militare), si rifugiò temporaneamente in Uruguay.
La commissione parlamentare Anselmi, creata il 9 dicembre 1981, ritenne che la P2 fosse strutturata come due piramidi sovrapposte, con i 972 nomi della lista appartenenti alla piramide in basso, Gelli come punto di congiunzione tra le due piramidi e una piramide superiore composta da nomi che figuravano su un'altra lista composta da personaggi che trasmettevano gli ordini alla piramide inferiore. A detta di alcuni giornalisti, tale lista sarebbe stata portata da Gelli a Montevideo.
Secondo il procuratore di Roma del periodo, gli iscritti delle due liste dovevano essere complessivamente 2000 e in un’intervista del 1976 lo stesso Gelli affermò che gli iscritti alla P2 erano allora 2400. Comunque sia, una buona metà dei nomi mancherebbe ancora all’appello e anche diversi appartenenti alla massoneria ascoltati dalla suddetta commissione affermarono che la lista era veritiera ma incompleta. È nota la clamorosa accusa formulata dalla vedova di Roberto Calvi, che indicò in Giulio Andreotti il «vero padrone» della loggia, ma di tale affermazione non sono mai stati raccolti riscontri attendibili. Andreotti, da parte sua, aveva sempre smentito di conoscere Gelli, sino alla pubblicazione della citata foto di Buenos Aires.
Altri politici, tra cui Bettino Craxi del PSI e alcuni deputati della DC, attaccarono invece l'operato della magistratura, accusandola di aver dato per scontato la veridicità di tutta la lista che invece, secondo Craxi, mischiava «notori farabutti» (di cui però non faceva i nomi) a «galantuomini» e di aver causato, con le indagini e l’arresto di Roberto Calvi, una crisi della Borsa.
Intimoriti dal clima arroventato, alcuni personaggi (come Maurizio Costanzo) negavano ogni coinvolgimento, mentre altri, come Roberto Gervaso, erano rimasti a corto di adeguati aforismi oppure, come il deputato socialista Enrico Manca, che fu anche presidente della RAI, già minimizzavano la loro condivisione delle esperienze piduiste.
Si ebbe quindi una sorta di temporanea epurazione, in realtà agevolata dal ridotto desiderio degli interessati di restare sotto i riflettori, e molti piduisti si eclissarono dalle cariche più in vista, o si fecero da parte per poi ripresentarsi qualche tempo dopo.

La scoperta del “piano di rinascita democratica” ha permesso di comprendere alcune ragioni dei notevoli cambiamenti all’interno della società italiana degli ultimi trent’anni. Portare il Consiglio Superiore della Magistratura sotto il controllo della loggia, separare le carriere dei magistrati, rompere l’unità sindacale e abolire il monopolio della Rai erano punti rilevanti del progetto. Ma anche la «abolizione della validità legale dei titoli di studio (per sfollare le università e dare il tempo di elaborare una seria riforma della scuola)», giustificata dalla carenza di tecnici. Sebbene, in modo più morbido, un simile intento possa essere realizzato aumentando progressivamente il numero delle bocciature, sotto pretesti di maggiore severità.
Di notevolissima importanza il ruolo indicato sul programma dai mass media italiani. Secondo Gelli, infatti, «il vero potere risiede nelle mani dei detentori dei mass media». A partire dalla fine degli anni '70 fino a oggi, la scalata ai media italiani iniziò dall’obiettivo più ambito: il Corriere della Sera, il quotidiano nazionale più diffuso e allo stesso tempo più autorevole. Per questa operazione Gelli fu coadiuvato dal suo braccio destro Umberto Ortolani, dal banchiere Roberto Calvi, dall’imprenditore Eugenio Cefis e dalle casse dello IOR. Infine era necessario un editore interessato all’acquisto della testata giornalistica più importante d’Italia, e furono individuati i Rizzoli. I due fratelli furono convinti dalle buone maniere e dalle argomentazioni di Ortolani e Gelli a entrare nella P2, anche se vi si iscrisse solo Angelo, nipote dell’omonimo capostipite. I Rizzoli, sostenuti finanziariamente da Eugenio Cefis, nel 1974 si decisero quindi per l’acquisto, ma si resero conto ben presto che l’operazione si sarebbe rivelata molto più onerosa di quello che ci si aspettava. Angelo Rizzoli quindi si mise alla ricerca di altri fondi presso le banche italiane, inconsapevole del fatto che molte erano presiedute o dirette da affiliati della P2, e che quindi la decisione di concedergli nuovi liquidi era condizionata dal parere di Gelli. Non vedendo altre vie di uscita, nel luglio del 1977 si appellò al Maestro Venerabile: questi gli concesse nuovi fondi, provenienti dallo IOR, così da rendere i Rizzoli sempre più indebitati nei confronti della loggia ed economicamente deboli. In questo modo non fu difficile far passare il controllo della casa editrice al sistema Gelli-Calvi-IOR.
Gelli ottenne in tal modo il suo primo obiettivo: inserì nei posti chiave dalla Rizzoli i suoi uomini, uno su tutti Franco Di Bella al posto di Piero Ottone, direttore del Corriere della Sera. Il controllo del quotidiano dava alla P2 un potere enorme: poteva condizionare ai propri voleri la condotta dei politici, ai quali l'adesione all’area piduista era ripagata con articoli e interviste compiacenti che garantivano visibilità presso l’opinione pubblica; e poteva inserire nell’organico del quotidiano personaggi affiliati alla loggia, come Maurizio Costanzo, Silvio Berlusconi, Fabrizio Trecca, con l’ovvio intento di pubblicare articoli graditi alle alte sfere della P2; infine, poteva censurare giornalisti, come capitò a Enzo Biagi, che sarebbe dovuto partire come corrispondente per l’Argentina, governata da una giunta militare golpista.
Nel 1977 la P2 spinse i Rizzoli verso l’acquisizione di molti altri quotidiani: Il Piccolo di Trieste, Il Giornale di Sicilia di Palermo, l’Alto Adige di Bolzano e La Gazzetta dello Sport. Nel 1978 venne pubblicato ex-novo L’Eco di Padova e la casa editrice entrò nella proprietà de Il Lavoro di Genova e finanziò L’Adige di Trento. Nel 1979 la Rizzoli aumentò la propria quota azionaria del periodico TV Sorrisi e Canzoni portandola al 52% e ottenendone il controllo. Infine, nonostante l'opposizione dei Rizzoli, venne fondato L’Occhio, con direttore Maurizio Costanzo.
Secondo il piduista Antonio Buono, magistrato già presidente del tribunale di Forlì, e collaboratore de Il Giornale, nel corso di un incontro a Cesena Gelli lo avrebbe informato del progetto di creare un ‘trust’ di testate, nell’ambito della Rizzoli, in funzione antimarxista e anticomunista, e si sarebbe dovuta creare anche, all’interno di questo progetto, una agenzia di informazione — alternativa all’ANSA — che avrebbe trasmesso le veline ai vari direttori di questi giornali associati.
Scrissero per Il Giornale almeno due personaggi in contatto con gli ambienti massonici: lo stesso Buono e Michael Ledeen, corrispondente per il quotidiano, legato a CIA, SISMI e alla stessa P2. Inoltre nel 1978, viste le critiche condizioni finanziarie del quotidiano, Silvio Berlusconi entrò con una quota azionaria del 30%.
In quello stesso periodo, nacque Telemilanocavo, fondata da Giacomo Properzi e successivamente rilevato dall’allora piduista Silvio Berlusconi, che la fece poi diventare Telemilano, poi Telemilano 58 e infine Canale 5.
Una volta scoppiato lo scandalo, le ripercussioni sul gruppo Rizzoli furono enormi: il Corriere della Sera ne uscì pesantemente screditato e perse dal 1981 al 1983 centomila copie, nonché le firme di Enzo Biagi, Alberto Ronchey e Gaetano Scardocchia. Franco Di Bella lasciò la direzione il 13 giugno e venne sostituito da Alberto Cavallari. L’Occhio e il Corriere d’informazione vennero chiusi, Il Piccolol’Alto Adige e Il Lavoro ceduti. Nessuna ripercussione si ebbe invece per Canale 5 e il suo proprietario Silvio Berlusconi, che nello stesso anno dello scandalo acquisì Italia 1 e l’anno successivo Rete 4.
La lista degli appartenenti alla P2 fu tenuta riservata per qualche tempo dopo la scoperta, e i tentennamenti di Arnaldo Forlani nel renderla pubblica gli costarono la carica di presidente del consiglio.
Una volta resa pubblica il 21 maggio 1981, divenne presto memorabile. Tra i 932 iscritti (molti dei quali negheranno il loro coinvolgimento nella loggia), spiccavano i nomi di 44 parlamentari, 3 ministri del governo allora in carica, un segretario di partito, 12 generali dei Carabinieri, 5 generali della Guardia di Finanza, 22 generali dell’esercito italiano, 4 dell’aeronautica militare, 8 ammiragli, vari magistrati e funzionari pubblici, ma anche di giornalisti, personaggi legati al mondo dello spettacolo e imprenditori come Silvio Berlusconi (a quel tempo non ancora in politica, tessera n° 1816), Vittorio Emanuele di Savoia, Maurizio Costanzo, Alighiero Noschese (morto suicida più di due anni prima della scoperta della lista) e Claudio Villa; in compagnia di Michele Sindona e Roberto Calvi, Umberto Ortolani e Leonardo Di Donna (presidente dell’ENI), Duilio Poggiolini e il personaggio televisivo professor Fabrizio Trecca, insieme a tutti i capi dei servizi segreti italiani e ai loro principali collaboratori.
Fra i generali, la stampa fece più volte il nome di Carlo Alberto Dalla Chiesa, sebbene risultasse solo un modulo di iscrizione firmato di suo pugno e nessuna prova di un’adesione attiva.
Circa i servizi segreti, si notò che vi erano iscritti non solo i capi (fra i quali Vito Miceli a capo del SIOS e successivamente direttore del SID, Giuseppe Santovito del SISMI, Walter Pelosi del CESIS e Giulio Grassini del SISDE) che erano di nomina politica, ma anche i funzionari più importanti, di consolidata carriera interna. Fra questi si facevano notare il generale Giovanni Allavena (responsabile dei famigerati “fascicoli” del SIFAR), il colonnello Minerva (gestore fra l’altro dell’intricato caso dell'aereo militare “Argo 16” e considerato uno degli uomini in assoluto più importanti dell’intero Servizio militare del dopoguerra) e il generale Gian Adelio Maletti, che con il capitano Antonio La Bruna (anch’egli iscritto alla P2) fu sospettato di collusioni con le cellule eversive di Franco Freda e per questo processato e condannato per favoreggiamento.
Negli anni successivi fu istituita, per volontà del Presidente della Camera Nilde Iotti, una commissione parlamentare d’inchiesta, guidata dal deputato democristiano Tina Anselmi, ex partigiana ‘bianca’ e prima donna a diventare ministro nella storia della Repubblica italiana. La commissione affrontò un lungo lavoro di analisi per far luce sulla loggia, considerata un punto di riferimento in Italia per ambienti dei servizi segreti americani intenzionati a tenere sotto controllo la vita politica italiana fino al punto, se necessario, di promuovere riforme costituzionali apposite o di organizzare un colpo di stato.
Il rapporto considerò la loggia «responsabile in termini non giudiziari ma storico-politici, quale essenziale retroterra economico, organizzativo e morale» della Strage dell’Italicus; giudicò la P2 «un complotto permanente che si plasma in funzione dell’evoluzione della situazione politica ufficiale»; sottolineò l’«uso privato della funzione pubblica da parte di alcuni apparati dello stato» legati alla loggia; sottolineò che la presenza di alcuni imprenditori si poteva spiegare con i benefici economici che il legame con alti dirigenti di imprese pubbliche e banche poteva potenzialmente portare loro, per esempio sotto forma di credito concesso in misura superiore a quanto consentito dalle caratteristiche dell’impresa da finanziare.
Un’apposita legge, la numero 17 del 25 gennaio 1982, sciolse la P2 e rese illegale il funzionamento di associazioni segrete con analoghe finalità, del resto in attuazione del secondo comma dell’articolo 18 della Costituzione Italiana, che più genericamente proibisce le associazioni a scopi, anche indirettamente, politici mediante organizzazioni di carattere militare.
Il giornalista e politico Massimo Teodori membro della succitata commissione, asserì: «la Loggia P2 non è stata un’organizzazione per delinquere esterna ai partiti ma interna alla classe dirigente. La posta in gioco per la P2 è stata il potere e il suo esercizio illegittimo e occulto con l’uso di ricatti, di rapine su larga scala, di attività eversive e di giganteschi imbrogli finanziari fino al ricorso alla eliminazione fisica».
La P2 fu oggetto d’indagine anche della Commissione Stragi per un presunto coinvolgimento in alcune stragi, ma non portò a niente di rilevante; tuttavia Gelli venne condannato il 23 novembre 2005 in via definitiva per tentativi di depistaggio delle indagini sulla Strage di Bologna. Già nel 1994 Gelli fu condannato a 12 anni di carcere, dopo essere stato riconosciuto colpevole della frode riguardante la bancarotta del Banco Ambrosiano nel 1982 (vi era stato trovato un ‘buco’ di 1,3 miliardi di dollari) che era collegato alla banca del Vaticano, l’Istituto per le Opere di Religione (IOR). Affrontò inoltre una sentenza di tre anni relativa alla P2. Scomparve mentre era in libertà sulla parola, per essere infine arrestato sulla riviera francese a Cannes. La polizia rinvenne nella sua villa oltre due milioni di dollari in lingotti d’oro. Dal 2007, Gelli è agli arresti domiciliari nella sua Villa Wanda di Arezzo dove sconta la pena di 12 anni per la bancarotta del Banco Ambrosiano. In sintesi, Gelli è stato condannato con sentenza definitiva per i seguenti reati: procacciamento di notizie contenenti segreti di Stato; calunnia nei confronti dei magistrati milanesi Colombo, Turone e Viola; calunnia aggravata dalla finalità di terrorismo per aver tentato di depistare le indagini sulla strage alla stazione di Bologna, vicenda per cui è stato condannato a 10 anni; bancarotta fraudolenta (Banco Ambrosiano). Nel 1993 venne pure indagato per offesa all’onore dell’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro per un articolo pubblicato sul mensile trevigiano Il Piave.

La scoperta del caso della P2 fece conoscere in Italia l’esistenza, in altri sistemi e in altri Paesi, del lobbismo, cioè di un’azione di pressione politica sulle cariche detenenti il potere affinché orienti le scelte di conduzione della nazione di appartenenza in direzione favorevole ai lobbisti.
Altrettanta attenzione è stata posta, nel tempo, al destino dei piduisti, qualcuno dei quali ha avuto pubblico successo, in politica o nello spettacolo, mentre altri si sono morbidamente confusi nell'anonimato; ad alcuni è stato revocato l’esilio. Tra tutti però, il piduista più noto ai giorni nostri è Silvio Berlusconi.
In un’intervista rilasciata a la Repubblica il 28 settembre 2003, durante il secondo Governo Berlusconi, Gelli ha raccontato: «Ho una vecchiaia serena. Tutte le mattine parlo con le voci della mia coscienza, ed è un dialogo che mi quieta. Guardo il Paese, leggo i giornali e penso: ecco qua che tutto si realizza poco a poco, pezzo a pezzo. Forse sì, dovrei avere i diritti d’autore. La giustizia, la tv, l’ordine pubblico. Ho scritto tutto trent’anni fa in 53 punti».
A questo punto, occorre citare anche l’imprenditore piduista Flavio Carboni (Sassari, 1932). Il suo nome appare in molte inchieste giudiziarie degli anni ottanta. Nel 1997, i magistrati di Roma collegarono Flavio Carboni e un esponente della mafia siciliana, Pippo Calò, all’omicidio del banchiere Roberto Calvi. Flavio Carboni è infatti sospettato di aver intrattenuto rapporti di un certo spessore col banchiere assassinato, del quale avrebbe successivamente alla sua morte ricettato la borsa e i documenti contenuti, vendendoli a un alto prelato dell'Istituto per le Opere di Religione (IOR), monsignor Pavel Hnilica. Per tale ricettazione il 2 marzo 2000 fu condannato con il pregiudicato romano Giulio Lena, mentre il religioso (che intendeva proteggere, dichiarò, il buon nome della chiesa cattolica e di papa Giovanni Paolo II) fu assolto per aver agito in stato di necessità. Carboni è stato inoltre sospettato di far parte della mafia. Con l'ex compagna Manuela Kleinszig, Pippo Calò e Ernesto Diotallevi, presunto boss della Banda della Magliana, venne processato (e assolto) dall’accusa di omicidio aggravato e premeditato in danno di Calvi. Da alcune parti politiche, il nome di Flavio Carboni è stato legato a più riprese a quello del conterraneo Giuseppe Pisanu, ex ministro dell’Interno, con l’intento di indagare sull’eventuale reale ragione dei loro rapporti, dichiaratamente di mera confidenza fra corregionali. In affari con Silvio Berlusconi, allora imprenditore in cerca di operare investimenti in Costa Smeralda, Carboni, secondo le affermazioni dell'editore Angelo Rizzoli alla Commissione P2, avrebbe lautamente remunerato un tranquillizzante intervento di Pisanu alla Camera dei Deputati poco prima che scoppiasse lo scandalo del Banco Ambrosiano.
Giuseppe Calò, soprannominato Pippo (Palermo, 30 settembre 1931), è conosciuto come il cassiere della Mafia perché era fortemente coinvolto nel lato finanziario dell'organizzazione criminale, soprattutto riciclaggio di denaro sporco. All’inizio degli anni settanta Calò si trasferì a Roma. Sotto la falsa identità di Mario Agliolaro, investì in beni immobiliari e operò nel riciclaggio di denaro per conto di molte famiglie mafiose. Si dimostrò abile nell’istituire stretti rapporti con la ‘banda della Magliana’ e membri dei servizi segreti italiani. Negli anni ottanta sostenne Totò Riina e i Corleonesi durante la guerra di mafia che decimò le altre famiglie. Calò organizzò il 23 dicembre 1984 l’esplosione di una bomba sul treno Napoli-Milano con 16 morti e 200 feriti (la cosiddetta Strage del Rapido 904 o ‘strage di Natale’), per deviare l’attenzione dalle rivelazioni date da vari informatori sulla Mafia, incluso Buscetta. Il 30 marzo 1985 venne arrestato in una villa di Poggio San Lorenzo in provincia di Rieti. Fu uno delle centinaia di accusati al Maxiprocesso che cominciò l’anno seguente dove fu accusato di Associazione mafiosa, riciclaggio di denaro e della strage del Rapido 904. Nel 1987 al termine del Maxiprocesso fu ritenuto colpevole, e gli fu inflitta una pena di due ergastoli. Nel 1989, con disappunto dei procuratori antimafia e degli investigatori, si venne a sapere che i condannati vivevano una vita relativamente lussuosa nella loro sezione di prigione. Nel 1997 Calò fu uno dei mafiosi implicati nel 1982 nell'omicidio di Roberto Calvi. Calò e altri quattro (il faccendiere Flavio Carboni, la sua ex fidanzata Manuela Kleinszig, l'ex boss della banda della Magliana Ernesto Diotallevi e Silvano Vittor) coinvolti nell'omicidio Calvi furono indagati e il loro processo, cominciato nell’ottobre 2005, si è concluso nel giugno 2007 con l’assoluzione degli imputati per «insufficienza di prove» da parte della Corte d’Assise. Sul caso rimane invece aperta l’indagine-stralcio presso la procura di Roma sui mandanti dell’omicidio che vede indagate una decina di persone tra cui Gelli.
Il 21 giugno 1982, 4 giorni dopo la misteriosa morte di Roberto Calvi, il ministro del Tesoro Beniamino Andreatta, su proposta della Banca d'Italia allora guidata da Carlo Azeglio Ciampi, dispone lo scioglimento degli organi amministrativi dell’istituto. Sul Banco grava un buco finanziario di 1200 miliardi di lire. Ai tempi della gestione di Roberto Calvi, il maggiore azionista del Banco era l’Istituto per le Opere di Religione (IOR). Il presidente dello IOR dal 1971 al 1989, Paul Marcinkus, fu incriminato nel 1982 in Italia come responsabile del fallimento. In accordo con i Patti lateranensi, a Marcinkus fu però permesso di ritirarsi nella diocesi di Chicago, avendo un valido passaporto vaticano.
Va infine sottolineato che, al di là della loggia P2, i massoni sono spesso accusati di costituire una potente lobby, teatro di scambio di favori e raccomandazioni tra persone potenti allo scopo di favorire in ogni modo i propri membri, arrivando in taluni casi a costituire una rete parallela, clandestina o comunque occulta rispetto ai poteri dello stato.
Non a caso in Gran Bretagna, nel 1990, una parte minoritaria del partito laburista al governo tentò (invano) di far passare una legge di trasparenza che richiedeva a tutti i pubblici ufficiali che fossero massoni di dichiararlo apertamente.