In India i pigmenti vennero estratti da vegetali e minerali fin dall’antichità. Lo storico greco Ktesia, vissuto nel IV secolo a.C., ebbe modo di documentare la vivacità dei colori realizzati in India, molto più brillanti e meravigliosi di altri popoli. Vediamone alcuni.
La gommalacca è una sostanza resinosa secreta dagli alberi; è utilizzata come vernice protettiva per il legno. L’Oxford Dictionary dice che la parola inglese lac (“gommalacca") deriva dal sanscrito laksha, a sua volta derivato dal sanscrito raksha, “protezione”. Nei tempi antichi la gommalacca veniva utilizzata anche per colorare i tessuti, per mezzo di un processo conosciuto in India con il nome di vastra-ranga-kruta (“dare colore al tessuto”).
L’ocra è un pigmento che ha una gamma di tonalità compresa tra il giallo chiaro e l’arancione scuro. È un minerale e il suo vecchio nome era cinnabar (sanscrito sindhura, passando per il persiano zinjafr). Era usato per colorare i tessuti ma anche, presso gli antichi romani, per dipingere i muri. In India era anche usato (ed è usato tuttora) per dipingere immagini di divinità e per segnarsi il terzo occhio (tilaka).
Il copale è una resina estratta da un albero il cui nome botanico moderno è Valeria Indica e, come suggerisce il nome, si trova nelle vallate occidentali dell’India. Il termine copale potrebbe derivare dal sanscrito kankamon.
L’anilina è una tintura di colore blu che gli indiani scoprirono nei tempi antichi (cui diedero il nome di nil) e che arrivò in occidente tramite gli arabi, che lo chiamarono Al nil, da cui il termine da noi usato.
L’indaco è anch’esso una tintura blu ottenuta dalla piante conosciuta come indigofera. Nei tempi antichi l’indaco era utilizzato anche in medicina. La parola deriva dal greco indikon che significa letteralmente ‘dall’India’. Il termine sanscrito è invece nilam.
Anche la verniciatura dei metalli in India risale all’antichità. Alcuni testi greci e romani dicono addirittura che metalli come il ferro, lo stagno, il rame e l’ottone erano importati dall’India, e che in India avveniva la doratura di alcuni metalli mediante oro liquido.
Marco Polo scrisse che il ferro veniva venduto nei mercati di Kerman, in Iran. E molto prima, durante il regno di Marco Aurelio, il ferro era conosciuto con il nome di Ferrum Indium. Esiste anche un trattato greco di chimica intitolato ‘Sul temperare metalli indiani’.
Lo stagno era conosciuto presso i greci con il nome di kassiteros, derivato dal sanscrito kasthira che era appunto il temine utilizzato in India per indicare questo metallo (ancora oggi alcune lingue regionali in India chiamano lo stagno kathila), il quale veniva utilizzato per rendere il rame più resistente.
Il rame — sanscrito tamara — è sempre stato riconosciuto come un prodotto tipicamente indiano. I piatti di rame in India erano conosciuti con il nome tamara-patra.
L’ottone è un metallo composto, ottenuto dalla fusione di rame e zinco. Tali fusioni in India erano conosciute con il termine di mishradhatu (‘metallo mischiato’), e l’ottone veniva utilizzato per scopi decorativi.
Il corindone (kuruvinda in sanscrito) connota l’ossido di alluminio cristallizzato, e veniva utilizzato in India per tagliare i metalli.
Il berillio (sanscrito vaidurya) è una pietra preziosa largamente esportata dall’India nei tempi antichi, come pure l’opale (sanscirto upala), un quarzo particolarmente bello.
Aggiungiamo che in India venne inventato il processo di estrazione e raffinazione dell’olio da piante come la palma, la noce di cocco, il sesamo e altre, come pure il procedimento di raffinamento dello zucchero (latino saccharum, sanscrito sarkara).