FILOSOFIA

La filosofia è uno dei dominî in cui l’apporto dell’India è stato più ampiamente riconosciuto. Paradossalmente, però, in nessun altro dominio in Occidente sono intervenuti maggiori fraintendimenti. Il celebre studioso Ananda Kentish Coomaraswami — ammiratissimo in Occidente — dichiarò perfino che un autentico e genuino resoconto della filosofia indiana può essere fornito semplicemente attraverso una confutazione categorica delle maggiori e più riconosciute interpretazioni compiute dagli occidentali (o dagli indiani educati all’occidentale). Perciò, la filosofia indiana è un argomento estremamente delicato, dove l’errore maggiore che interviene è causato proprio dal fatto che noi crediamo di conoscerne — se non proprio l’intera essenza — almeno le sue caratteristiche salienti. Ovviamente, nel presente articolo non offriremo una analisi dei movimenti filosofici, bensì — più semplicemente — cercheremo di ravvisarne le influenze al di fuori dell’immenso subcontinente asiatico. Tuttavia è bene tenere bene a mente questa considerazione di partenza, che dovrebbe indurre riflessioni e rettifiche radicali.

Di una certa utilità risulta anche riconoscere come la ricerca filosofica, in India, ha seguito una traiettoria ben diversa dalla parabola che contraddistingue la filosofia occidentale. Infatti, la filosofia indiana — pur essendo di natura quasi sempre mistica (in un apparente paradosso che, a ben vedere, è la più logica conseguenza di un atteggiamento estremamente concreto, che non si attarda troppo in speculazioni metafisiche) — non ha mai divorziato dalla vita e dall’esperienza, né ha mai voluto trincerarsi in modo esclusivo su questo mondo o sull’aldilà.

Fatte queste precisazioni, cerchiamo ora di mostrare in estrema sintesi l’immenso contributo che la ricerca filosofica indiana ha apportato alla filosofia mondiale. In questo ambito gli studi sono numerosi e tutti gli studiosi hanno riconosciuto l’immenso influsso che la filosofia indiana ha esercitato nel mondo intero dai tempi più remoti. Anche se gli studiosi cadono negli errori cui si cennava all’inizio, tuttavia l’elemento incontestabile è il loro unanime riconoscimento dell’indebitamento di tutti i popoli nei confronti della filosofia sviluppatasi in India nell’antichità.

Roger-Pol Droit, filosofo e giornalista molto apprezzato (autore di una serie di articoli magistrali su Le Monde), nel suo testo “L’oubli de l’Inde”, ha scritto che «non c’è la sia pur minima ombra di dubbio che i greci conoscevano a fondo la filosofia indiana», aggiungendo che «i greci amavano a tal punto la filosofia indiana che Demetrios Galianos curò perfino una traduzione della Bhagavad-Gita». Ed è universalmente riconosciuta l’immensa influenza che la filosofia indiana ebbe sul pensiero greco.

Vivekananda disse che la filosofia Samkhya è in certo qual modo alla base delle filosofie del mondo intero. «Non esiste filosofia al mondo che non sia in debito con Kapila[considerato il primo autore di un testo espositivo della filosofia samkhya]. Nella Gita, Krishna afferma che di tutti i saggi, Kapila è il più perfetto. Pitagora giunse in India e ne ricavò quella filosofia che venne a essere l’inizio del percorso filosofico dei greci. Più tardi creò la scuola di Alessandria, e più tardi ancora lo gnosticismo».

L’area di penetrazione della filosofia indiana è vastissima, con una circonferenza che dal Volga giunge fino in Giappone e in Cina. Il buddhismo si è diffuso nella gran parte dei popoli dell’estremo Oriente. Anche l’Asia centrale, prima dell’invasione islamica, subì l’influsso della filosofia buddhista.

In buona sostanza, la filosofia indiana si è diffusa dapprima nella vicina Persia, poi nel Medio ed Estremo Oriente, quindi in Europa e in tutto l’Occidente. In altri articoli (e, soprattutto, in alcuni libri) abbiamo cercato di individuarne le caratteristiche salienti, la cui trattazione esula dagli scopi del presente articolo.