L’architettura nell’India antica era conosciuta con il nome di Sthapatya. La parola sthapatya deriva da sthapana, ‘erigere, costruire’. Di conseguenza, la costruzione di templi, palazzi, case e altre abitazioni civili era affidata a architetti di professione, conosciuti con il nome di sthapati, ‘costruttori’. Gli scavi nell’area in cui sorse la civiltà Hindo-Sarasvati hanno reso testimonianza di una civiltà urbana altamente sviluppata in India già 5.000 anni fa. Sono stati rinvenuti pozzi di raccolta per le acque chiare e sistemi di scarico per le acque scure; a Harappa gli impianti sanitari si trovavano praticamente in ogni abitazione, tutti collegati per mezzo di canali a una rete centralizzata. A partire dal settimo secolo d.C., inoltre, abbiamo le prove dell’esistenza di veri e propri trattati di architettura e alcuni resti che provano quanto evoluta dal punto di vista urbanistico fosse la civiltà gangetica. La tecnica seguita era simile a quella usata dai romani per la costruzione di acquedotti, ovvero senza l’utilizzo di malta, mediante la semplice sovrapposizione di pietre, e le arcate sfruttavano la forza di gravità. Le meravigliose sculture venivano realizzate dopo aver innalzato l’edificio.
Le tecniche architettoniche indiane presto si diffusero sia verso oriente, sia verso occidente. Sotto il regno di Ashoka, l’Afghanista, il Belucistan e il Seistan erano sotto il dominio dell’impero Maurya. Gli Stupa buddhisti vennero innalzati in tali provincie (purtroppo, pochissimi sono sopravvissuti). Gli immensi Bodhisattva scolpiti direttamente nella roccia a Bamiyan, in Afghanistan (e bombardati qualche anno fa dai talebani), risalgono al periodo Maurya.
Durante i tempi del re Kushana, l’Asia centrale faceva parte dell’impero Kushana. L’arte e l’architettura indiana si confrontò con lo stile dei greci (causando un reciproco arricchimento) e si diffuse in tutta l’Asia centrale. L’arte Gandhara, nota in tuta l’Asia centrale, è derivata da questa commistione.
Anche il sudest asiatico recepì l’arte e l’architettura indiana. Indonesia, Malesia, Laos, Cambogia, Tailandia, Birmania, ma anche Cina, Corea e Giappone, oltre ovviamente allo Sri Lanka, vennero fortemente influenzate dall’arte e dall’architettura dell’India. L’immensa statua del Buddha a Dong Duong, alta 108 metri, presenta forti affinità con le sculture Amaravati. In particolare, si può notare la presenza di capelli ondulati, in un paese dove la popolazione ha i capelli lisci. A Bali sono state ritrovate molte statue di Ganesh di epoca remota.
Le strutture emisferiche degli Stupa pare abbiano influenzato anche l’architettura bizantina attraverso la Persia pre-islamica. La celebre moschea di Istanbul (in origine una cattedrale cristiana) possiede minareti che ricordano in modo molto intimo gli Stupa. E le influenze dell’architettura indiana sono state riscontrate anche nella costruzione delle basiliche cristiane. Gli stessi mosaici sembrano trarre ispirazione dai chaitya indiani. Motivi ornamentali di ispirazione vagamente (ma chiaramente) indiana sono presenti anche presso le cattedrali di Bayeux, Achen e Trier. Anche se, ovviamente, le influenze maggiori si riscontrano in Oriente. E l’Indocina è certamente uno dei paesi dove tale influsso è più chiaramente visibile. Lo studioso Bernard Groslier, autore del volume dedicato all’Indocina nella celebre “Art of the World Series”, ha scritto in proposito dell’India: «essa ha rappresentato uno dei più importanti centri di civiltà dei tempi antichi, simile all’influsso esercitato dal mondo ellenico tra i popoli del Mediterraneo. L’India può a buon diritto essere fiera di aver diffuso la propria luce fino a quelle terre così distanti[il sud-est asiatico], che altrimenti sarebbero rimaste immerse nelle tenebre».