La simbologia della montagna è profondamente radicata in molte tradizioni e riporta sempre ai concetti di stabilità, elevazione, centro. È anche simbolo dell’intera manifestazione nonché dello spazio propriamente umano.
La forma grafica del triangolo è pure una rappresentazione simbolica del Monte la cui base coincide con la terra, mondo della manifestazione corporea, la cima tocca il Cielo, regno del non-manifesto e lo spazio intermedio, l’atmosfera, raccoglie il mondo della manifestazione sottile.
Ordinariamente l’uomo vive ai piedi della Montagna immerso in una realtà piatta, frazionata, di dispersione e lontano dalla perfezione.
Oltrepassare questa condizione ordinaria significa intraprendere la scalata della Montagna il cui compimento rappresenta per l'uomo la completa realizzazione di tutte le sue possibilità. Si tratta di raggiungere non tanto un luogo ma uno stato in cui si riveste la funzione di Re del Mondo o Sovrano-Pontefice, cioè di colui che è capace di essere mediatore tra questo mondo e i mondi superiori.
Nello yoga, colui che ha raggiunto la cima del Monte realizzando, quindi, completamente la sua funzione regale è chiamato Giri, ‘montagna’, oppure Yogaruda. Garuda è l’aquila, capace di elevarsi oltre le cime, ove dimora, e di fissare direttamente il sole (la Coscienza-di-Verità). Essa occupa infatti quel luogo centrale in cui avviene una comunicazione diretta tra il mondo terrestre e quello divino. Garuda è anche la cavalcatura di Vishnu, divinità solare, protettore dell’Universo, guerriero e custode dell’universo: la cima del Monte, infatti, è anche luogo della conservazione della Verità.
Scopo del viaggio non è solo quello di raggiungere la vetta del Monte, ma di proseguire il viaggio oltre, elevandosi a stati ancora superiori. Al di sopra della Montagna Sacra oltre i tre Mondi dell’emisfero inferiore dell’esistenza, si incontrano infatti realtà ancora più elevate del triplice emisfero superiore, fino a Colei che è l'Origine di tutto e da cui tutto dipende.
Nella Cosmogonia dell’India, la Montagna sacra è Meru (ma anche altri Monti vengono considerati sacri in India, ad esempio Kaylasa, residenza del Dio Shiva, posto al centro dell’universo e rappresentato come una piramide a vari gradini, ognuno dei quali rappresenta una diversa modalità dell’essere) che in certe rappresentazioni è collocata al centro di un grande fiore di loto i cui sette petali costituiscono i continenti che emergono rappresentando il mondo manifesto. Sette sono anche le direzioni nello spazio che in India sono i quattro punti cardinali, lo Zenith, il Nadir e il centro stesso. Se pure ogni faccia di Meru ha un suo colore, il Monte, nel suo insieme, è bianco e per questo è anche chiamato la Montagna Bianca. Il mondo terrestre (Jambudwipa), si dice sia posto al Sud del Monte Meru, pertanto Meru mostra alla terra il suo lato sud, di colore turchese ove la luce si riflette provocando il colore azzurro del cielo.
Così si legge in alcuni versi tratti dalla raccolta I centomila canti di Milarepa:
«…Il prezioso Monte Meru
stupa al centro dell’universo,
a sud emana una luce di puro turchese;
essa è il grande ornamento del
firmamento di Zambuling"
(ove Zambuling corrisponde al sanscrito Jambudwipa.)
Considerato che l’alternato emergere del ‘mondo terrestre’ in posizione sempre diversa attorno a Meru provoca un diverso orientamento della Terra rispetto al Monte, è comunque da rilevare che Meru conserva in ogni caso la sua immobilità e centralità.
L’uomo, per intraprendere l’ascensione, deve pure dimorare al centro della propria individualità e, attraverso un adeguato cammino, deve poter “discendere” nella grotta della propria matura essenziale, punto di partenza per elevarsi verso la Cima.
Anche Dante inizia il suo viaggio da una posizione di centralità sia temporale (nel mezzo del cammin di nostra vita) che spaziale, scendendo prima al centro della Terra e da questo risalendo verso il Cielo.
Il Centro rappresenta quindi l’Origine di tutte le cose da dove, per la sua stessa potenza — Shakti —, si diparte l'intera manifestazione che gli ruota attorno, dispiegandosi in tutte le sue possibilità con un’azione centrifuga che trova ulteriori espressioni sempre più lontano dal centro stesso.
Ritornare all’Origine delle cose significa riavvicinarsi al centro ritrovando la saldezza dell’immobilità e dell’eternità.
Questa idea di immobilità e di stabilità del Monte è ancor più suggerita da certe immagini in cui Meru si erge su di un’isola circondata da un mare agitato.
L’acqua è simbolo della materia primigenia di Prakriti, la Potenza creatrice, da cui ogni cosa manifesta ha avuto origine ed è il luogo dei continui mutamenti, delle cose assoggettate alla temporalità.
Ma questo mare agitato non toccherà la Cima del Monte, come il diluvio non potrà raggiungere il Paradiso Terrestre trovandosi questo al di là del mondo dei mutamenti.
Salire la Montagna per raggiungere la Vetta comporta il progressivo abbandono dei mezzi che sono stati utili alla ‘scalata’ e anche il distacco da un mondo tutto esteriore fatto di nomi e di forme che velano la Realtà Assoluta.
Nella Bhagavad Gita questo distacco implica necessariamente “l'azione senza desiderio” (nishkama karma), la rinuncia ai frutti dell’azione.
La consapevolezza che nulla esiste al di fuori del Principio porta a quella ‘povertà’ ritenuta da varie Tradizioni essenziale per poter ritornare alle proprie Radici, alle Origini (qui rappresentate come la Cima del Monte).
Solo nello stato di perfetta semplicità, caratteristico del ritorno allo stato primordiale, ci può essere pura contemplazione che porta alla Conoscenza della ragione prima delle cose.
Questa ‘povertà’ (in arabo el-faqr) conduce, secondo l’esoterismo mussulmano, a el-fana, cioè alla “estinzione dell'ego”; per mezzo di questa estinzione si perviene alla “stazione divina” (el-maquam el-ilahi), che è il punto centrale dove tutte le distinzioni inerenti ai punti di vista esteriori sono superate, dove tutte le opposizioni sono cancellate e risolte in un equilibrio perfetto.
L'estinzione dell'ego è il superamento del molteplice per il raggiungimento della Vetta, unico punto nel quale vi è comunicazione, via di passaggio, verso il Cielo.
Anche nel Tantra la via iniziatica di autorealizzazione, seppure attraverso pratiche diversificate, rende il cammino simile alla “scalata del monte” ove il monte rappresenta lo spazio propriamente umano e il raggiungimento della cima è il recupero della condizione edenica.
Nel Kundalini Yoga la colonna vertebrale è il Merudanda e ha nel corpo la stessa funzione che il Monte Meru svolge relativamente alla Terra (macrocosmo).
Il cammino di realizzazione avverrà dunque verticalmente risalendo il Merudanda a partire dal bacino, la Coppa Inferiore (ove stagnano le acque inferiori, mortali) fino alla testa, la Coppa Superiore (il Firmamento ove scorrono le acque superiori, immortali) attraverso vari stadi intermedi, espressi nei chakra, posti lungo la colonna vertebrale, centri di tutte le indefinite modalità di esistenza. Nella iconografia classica la rappresentazione di ogni centro è arricchita da una complessa e affascinante simbologia che svela il progressivo cammino, durante l'ascensione, verso modalità dell’essere sempre più sottili, facendo al contempo presagire la possibilità di una discesa della più alta coscienza nei centri mortali al fine di trasformarli (in questo caso, come accade nel simbolismo rigvedico, la ‘roccia’ — adrim — rappresenta l’incoscienza da trasformare in divina Coscienza.
La ricerca di questa preliminare “ascesa” equivale al bisogno di dimorare alla sommità del proprio essere come necessario punto di partenza per poter ‘scendere’ nella propria natura fenomenica e attuare una completa reintegrazione, meta del nostro cammino.
Ogni buon praticante sa che le tecniche non sono che strumenti e che la reintegrazione finale avviene nella solitudine della Vetta dopo che è stato effettuato l’estremo abbandono di ogni strumento utile all’ascensione, nonché delle modalità propriamente umane dell’essere.
Questa povertà assoluta diverrà l'unica ricchezza quando, abbandonate le nebbie della pianura, dopo aver percorso i primi sentieri appoggiati al bastone e alla nostra guida, l’aria si farà più leggera, la luce più chiara e il Sole sarà direttamente visibile ai nostri occhi, come nel mantra rigvedico
"Yat sanoh sanum aruhat bhuri aspashtva kartvam"
(innalzandoci di vetta in vetta il cammino si fa sempre più chiaro).