ILIO
LA CADUTA DI TROIA

poema epico di Sri Aurobindo


aria nuova edizioni


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«L’uomo di natura dipinge ciò che vede e come lo vede, vivo, potente, mostruoso: nel disordine o nell’ordine, come lo vede e l’ode, così lo riproduce. Così ordinano le loro immagini non solo tutte le lingue selvagge, ma anche quelle dei greci e dei romani. Come le offrono i sensi, tali le espone il poeta; specialmente Omero il quale, per ciò che riguarda il nascere e il trapassare delle immagini, segue la natura in modo quasi inarrivabile. Egli dipinge cose e avvenimenti, tratto per tratto, scena per scena, e così gli uomini, quali essi si presentano con i loro corpi, come parlano e agiscono [...].
Gli dei d’Omero erano così essenziali e indispensabili al suo mondo come sono essenziali al mondo dei corpi le forze del movimento. Senza le decisioni dell’Olimpo nulla accadeva in terra di ciò che sarebbe dovuto accadere. L’isola magica di Omero nel mare occidentale appartiene alla carta delle peregrinazioni del suo eroe con la stessa necessità con la quale essa allora sulla mappa del mondo: indispensabile al suo canto, come sono indispensabili, al severo Dante, i gironi dell’Inferno e del Paradiso».

Così si esprimeva, sul finire del XVIII secolo, Johann Gottfried Herder. E sempre più, dopo di lui, si affermò la convinzione secondo cui l’epopea fosse possibile solo nell’infanzia del mondo; mentre, a mano a mano che l’uomo si intellettualizza, lo spirito epico sembra allontanarsi in modo fatale e irreversibile.

Di avviso nettamente contrario Sri Aurobindo, il quale non solo a livello teorico (nel saggio The Future Poetry), ma anche a livello pratico, in due sublimi epopee — Ilion e Savitri — ci offre la testimonianza dello spirito epico al suo più alto vertice, laddove l’ispirazione poetica tocca il suo apogeo matrico-rivelatorio.

Ilion, in particolare, è incentrata sulla guerra di Troia, esattamente come l’Iliade omerica. E, come precisa il suo traduttore nell’introduzione, «Sri Aurobindo rispetta in linea di massima la versione omerica, ma ne offre una interpretazione assai più ampia e significativa. Non cadremo di certo nell’errore di Properzio che, mentre Virgilio ancora scriveva l’Eneide, gridò/ “Nasce qualcosa più grande dell’Iliade!” — il nostro intento, ponendo in evidenza le differenze essenziali fra queste due grandi opere immortali, Ilion e Iliados, nasce unicamente dall’esigenza di mettere in luce la visione adamantina di Sri Aurobindo, il suo sguardo immenso sull’attuale ciclo umano e sull’evoluzione terrestre.
In quest’ottica, la storia dell’umanità appare lo sviluppo di un unico essere: dopo la gestazione euroasiatica (avvenuta in tempi protostorici) e la nascita della coscienza storica, l’India viene a rappresentare la meravigliosa età dell’infanzia (ingenua e profonda la tempo stesso, in cui tutto è presente in boccio), l’Egitto ne costituisce la magica fanciullezza, la Mesopotamia l’allegra adolescenza, la Grecia l’audace giovinezza, Roma la maturità del mondo antico e la Francia quella del mondo moderno (e, fra queste due fasi di maturità, l’innesto determinato dai popoli germani si rivelerà foriero di nuova linfa vitale). La storia di ogni nazione rappresenta così un signolo membro del grande corpo vivente dell’umanità, che mostra (per chi sa vedere) il mirabile disegno della Provvidenza, diretto verso una vasta unione modniale, mediante l’elaborazione (attraverso i conflitti e giungendo alla decrepitezza tipica della vecchiaia che precede una nuova nascita) di una formula di progressione progressiva tesa a produrre quella conclusiva armonia fra Materia e Spirito tanto attesa (e non, si badi bene, il trionfo dell’una sull’altra, bensì un gioioso imeneo di reciproca compiutezza» (Tommaso Iorco).

Interessante è poi esaminare da vicino l’atteggiamento degli dèi nell’epopea, corrispondente alla visione che Sri Aurobindo aveva di essi sul piano dell’Overmind. In Ilion, gli dèi si trovano in contrasto fra loro, giacché ogni divinità cerca di far prevalere il proprio punto di vista, la propria visione. Peraltro, una delle più profonde intenzioni artistiche di Sri Aurobindo consiste qui nel mostrare, attraverso suggestioni e allusioni, come gli umani ideali non siano autonomi, ma ispirati dagli stessi dèi. Poseidon ci sospinge dal di dentro, Ares arde in noi, Afrodite cattura i nostri cuori, Apollo accende improvvise luci al nostro interno. I piani di coscienza sovrafisici si intrecciano con quello terrestre, il livello subliminale si tiene dietro di noi ed è esistente in modo autonomo, avvengono invasioni dai mondi occulti e dai reami spirituali dell’essere.

Il celebre critico letterario (nonché poeta) britannico Herbert Edward Read (1893 - 1968) è stato un lettore entusiasta di questo poema epico e, senza mezzi termini, ha dichiarato che «Ilion di Sri Aurobindo è un’opera pregevole sotto ogni punto di vista e mi colma di stupore che qualcuno che non ha origini britanniche abbia posseduto una padronanza così straordinaria non solo del nostro idioma in quanto tale, ma della sua sapiente elaborazione in una dizione poetica di livello tanto elevato.»