L I L A
RIELABORAZIONI
Ogni poeta possiede una propria spiccata sensibilità, una personale gamma espressiva e un suo peculiare accesso al dominio delle Muse, caratteristiche formatesi certamente — sia pur solo in minima parte — grazie alle frequentazioni e le affinità letterarie con i suoi poeti preferiti... In questa dinamica, non c’è affatto da stupirsi se, nella produzione poetica di un determinato poeta, si rintracciano talvolta alcuni echi suggestivi che rimandano a ben determinati versi di poeti che lo hanno preceduto.
Non si tratta per nulla di banale e deplorevole plagio (a meno che non assuma proporzioni superiori a qualche ben congegnata e giustificata eccezione, ovviamente). È, semmai, una rielaborazione creativa che, al tempo stesso, prende la forma di un omaggio reverenziale pieno di rispetto.
Viene in mente, fra gli innumerevoli esempi che si potrebbero citare, il verso di Torquato Tasso contenuto nel suo capolavoro, la Gerusalemme Liberata —
in suon che di dolcezza i sensi lega
(IV.38.8)
— che, come è noto, è la rievocazione (quasi identica) del verso che pochi secoli prima scrisse Francesco Petrarca nel suo ineguagliabile Canzoniere:
Ma ’l suon che di dolcezza i sensi lega.
(CLXVII.9)
È ovvio che, come si cennava, se un poeta esasperasse tale tendenza, facendone un uso superiore a qualche esigua e ben calibrata eccezione, non sarebbe più un poeta originale ma un volgare ladro di versi. Occorre pertanto avere la massima parsimonia unita a una sopraffina raffinatezza nel ricorrere a simili espedienti, che possono rivelarsi assai felici se il vero intento risulta quello di evocare veri e propri echi, rarissimi e suggestivi, in cui nella nuova poetica vibrino ogni tanto sonorità del passato, utilizzate per i propri fini e non come mera e volgare copiatura.
Tutti i veri poeti hanno fatto uso sapiente di questa possibilità, più o meno esplicitamente (e, addirittura, non sempre in modo cosciente — talvolta il subconscio può influire), da Shakespeare a Eliot fino ai giorni nostri. Compreso lo stesso Sri Aurobindo... Perfino nel suo capolavoro, Savitri — l’opera poetica del futuro per antonomasia —, troviamo echi suggestivi di altri poeti.
Qualche esempio:
And feel the touch of tears in mortal things.
(II.VI.I.509)
— che è quasi una traduzione letterale del celebratissimo verso di Virgilio (contenuto nell’Eneide) che Sri Aurobindo considerava uno dei più ispirati della poesia antica:
Sunt lacrimæ rerum et mentem mortalia tangunt.
(I.462)
Mentre il verso
Our life’s repose in in the Infinite.
(I.II.VI.862)
— riconduce in qualche modo al Paradiso dantesco
E ’n la sua volontade è nostra pace.
(III.III.85)
— verso che Sri Aurobindo ammirava particolarmente.
Anche dalla mirabile poesia sanscrita le rielaborazioni sono svariate —
But thought nor word can seize eternal Truth:
(I.II.XI.571)
che specchia il verso della Katha Upanishad:
na manasa praptum sakyah.
(II.III.12)
Oppure:
Ringing for ever with the crickets’ cry
(II.IV.IV.308)
il cui senso (e perfino, sia pur in parte, la sonorità) richiama direttamente il seguente verso contenuto nel Mahabharata:
vanam pratibhayam sunyam jhallikagananinaditam
(III.61.1)
O ancora:
A thin dance of fireflies speeding through the night.
(III.IX.II.382)
— chiara evocazione del sublime Meghadhuta di Kalidasa (che Sri Aurobindo tradusse in inglese ricorrendo alla terza rima):
khayonalivilasitanibham vidyudanmeshadrshtam.
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E, ancora più esplicitamente:
A light not born of sun or moon or fire,
Alight that dwelt within and saw within.
(II.VII.V.109-110)
con i versi contenuti in due differenti Upanishad:
na tatra bhati na vandratarakam nema viddhyuti
bhanti krto’yamagni
(Katha, II.V.15)
tameva bhantamanubhati sarvam tasya bhasa
sarvamidam vibhati.
(Svetasvatara, VI.14)
∞
Può dunque essere di un qualche interesse andare a individuare quei versi presenti nell’epopea Lila di Tommaso Iorco che si specchiano — in modo più o meno diretto — con precedenti poeti.
Eccoli nell’ordine progressivo, canto dopo canto (offriamo anzitutto i versi dell'antico Autore, seguiti dalla nuova rielaborazione)...
Ariosto, Orlando furioso —
Che viver più felice e più beato,
Che ritrovarsi in servitù d’amore;
(XXXI.11-12)
Che nel Nostro diventano:
Nulla è più grande cosa e più preziosa
che ritrovarsi in servitù d’amore.
(VI.68-69)
Omero, Odissea —
[...] krusothronos heliuthen Eos.
(XX.91)
L’Aurora trono eletto giunse rapida
(X.87)
Mallarmé, Le vierge, le vivace et le bel aujourd’hui —
Le transparent glacier de vols qui n’ont pas fui!
(4)
trasparenti ghiacciai di voli insonni!
(XXX.50)
Katha Upanishad —
angushtamatraha purusho’ntaratma
(II.VI.17)
un essere più piccolo di un pollice
(LXXIII.26)
Shakespeare, Richard III —
Now is the winter of our discontent
(I.I.1)
nel freddo inverno del nostro scontento
(LIX.15)
Pascoli, L’aquilone —
C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole
(1)
C’è qualcosa di nuovo sotto il Sole!
(XCVIII.105)
In quest'ultimo verso, inoltre, echeggiano le celebri considerazioni vichiane (a loro volta ispirate da un passaggio dell'Ecclesiaste — I.9) secondo cui non accade mai nulla di nuovo sotto il sole, capovolgendone però il senso, in riferimento alla manifestazione sopramentale sulla terra.