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(a cura di Gaia Ambrosini)
Il compositore italiano Filippo Santoro (foto in alto) vive da alcuni anni negli Stati Uniti; attualmente, dopo un primo periodo trascorso a New York, insegna musica presso l’Università di Madison, nel Wisconsin.
Ed è proprio a Madison che, il 10 dicembre del 2009, è avvenuta la prima esecuzione mondiale della sua nuova opera Melosophiæ, per trio di archi e soprano, basata su sei liriche di Tommaso Iorco, contenute nella silloge L’Opera della Fenice (pubblicata nel 2004).
Per la verità, la collaborazione tra Filippo Santoro e Tommaso Iorco è iniziata con Ariosi Mistici, un’opera per soprano e orchestra che il prolifico compositore ha iniziato alcuni mesi prima di Melosophiæ, della quale avremo modo di parlare più avanti.
Ma cerchiamo come prima cosa di tracciare un excursus della brillante carriera del giovane compositore.
Diplomatosi in pianoforte nel 1995 presso il Conservatorio Morlacchi di Perugia, nel 2003 Santoro ha conseguito la laurea al Dams di Bologna (con una tesi su Prokovief), seguita da una laurea in composizione ottenuta presso la prestigiosa Accademia di Santa Cecilia di Roma, nel 2007 (dove nel 1998 aveva già ricevuto un diploma per musica da camera). La sua ricca formazione lo porta a ricevere poi una terza laurea, in composizione, presso la Birghamton University (stato di New York, 2009) e un ulteriore riconoscimento in composizione presso l’Università di Madison, dove attualmente insegna.
Fra i suoi progetti artistici, figurano soprattutto composizioni originali, tuttavia occorre segnalare anche le orchestrazioni da lui effettuate di varie opere di Ennio Morricone (2005, Ricordi) e Nino Rota (2004). Inoltre, in qualità di pianista, si è esibito in tutta Europa. Un suo progetto, Musica e Diversità, è stato presentato presso la prestigiosa Accademia dei Lincei di Roma nel 1998.
Ma, come si diceva, è il processo compositivo che più affascina il Maestro Santoro, il cui profondo amore per la poesia lo porta spesso a creare interessanti connubi fra la scrittura musicale e quella poetica — due linguaggi di per sé già fortemente intrecciati, per ovvi motivi.
In ordine cronologico, segnaliamo le opere del Maestro Santoro: un paio di composizioni per quartetto d’archi (2003); tre composizioni pianistiche (2004); un duetto per oboe e flauto (2004); una piccola sonata per pianoforte (2004, in seguito orchestrata); una fuga per quartetto di strumenti a fiato (2004); una serie di composizioni pianistiche per bambini (2004); tre variazioni per orchestra da camera basate sul sistema dodecafonico (2004); un Notturno meditativo per soprano, oboe, violoncello, corno, vibrafono, celesta e percussioni, su poesie di Rainer Maria Rilke (2005); Re David, oratorio per soli, coro e orchestra (2005); una Fantasia per orchestra (2005); Dieci variazioni su un tema di Schönberg, per orchestra da camera (2006); Il mondo è tutto ciò che accade, tautologia per coro (2006); Cinque Bagatelle, per orchestra di strumenti a fiato (2006); Chess Symphony, due movimenti sinfonici, per orchestra, dedicati al gioco degli scacchi (2006); Love Song, per doppio coro a cappella, nuovamente su testi di R.M. Rilke (2007); Ouvertüreper orchestra d’archi (2007); quattro studi per oboe (2008); For Ten Instruments, per un sestetto di strumenti a fiato e un quartetto di ottoni (2008); Seven Philosophical Pictures, per soprano, flauto, oboe o corno inglese, clarinetto, violino, viola, violoncello e pianoforte, ispirato al “Tractatus Logico-Philosophicus” di Wittgenstein (2009); Piano quartet (2009); Intermezzo, sei liriche per tenore e pianoforte su testi di Carlo Levi (2009); per arrivare infine a Melosophiæ e agli Ariosi Mistici che costituiscono attualmente le ultime sue composizioni.
Melosophiæ è, appunto, una composizione per trio di archi (violino, viola, violoncello) e soprano, della durata di 12 minuti (due minuti per ogni singola poesia).
Le liriche di Tommaso Iorco che compongono il tessuto poetico sono, nell’ordine: Nihil, Cineseria, Nirvana, Agni, Màrtanda, Solvitur Ambulando. E non sono certo state scelte a caso: formano infatti un preciso percorso — sia interiore sia espressivo — che lo stesso Maestro Santoro così riassume: «l’idea ispiratrice è nata dall’esigenza di “giocare” sui suoni (e i contenuti che portano con loro), scrivendo sei brevi frammenti che sostengano e avvalorino i versi di Tommaso Iorco, che apprezzo davvero molto, apparendomi come piccole gemme estremamente aperte a possibilità espressive.»
Con il prezioso aiuto di Tommaso, che mi ha aiutato a stilare quanto segue, analizzo brevemente tali liriche che, oltretutto, sono tra le più brevi composizioni contenute nella raccolta poetica L’opera della fenice.
NIHIL
Il titolo latino è piuttosto esplicito; per i mistici occidentali (tedeschi, in particolare — Meister Eckhart, Silesio, Novalis...) il Nihil non è il semplice “nulla” che ha ispirato il moderno nichilismo filosofico, ma un preciso stato di coscienza spirituale, un Vuoto che è in realtà pieno di una pace perfettamente statica, insondabile, priva di qualunque moto mentale o emotivo.
Dal punto di vista metrico, si tratta di una lirica composta da bisillabi rimati (con una singolarissima incatenatura: abccdbdbeebff): fatto raro — ma nient’affatto inusuale — nella poesia italiana.
Eccola:
Pace
senza
moto.
Vuoto
senza
luogo.
Lago
senza
fondo.
Tondo
senza
centro.
Dentro.
CINESERIA
La nota a piè di pagina posta nella raccolta L’opera della fenice spiega bene il titolo di questa poesia, essendo liberamente ispirata a un modello poetico cinese là illustrato. “Liberamente”, perché la quartina è composta da versi endecasillabi, mentre i cinesi utilizzavano metri più brevi, a causa dell’enorme quantità di monosillabi presente nella loro lingua che rende possibile una più concisa compattezza espressiva. La Madre cui si accenna nell’ultimo verso è, ovviamente, la Grande Dea, uno dei temi ricorrenti di Iorco e presente in modo preponderante in tutte le più antiche culture planetarie, compresa ovviamente quella cinese.
Ecco la nota inserita a piè di pagina sul libro e, a seguire, l’intensa quartina:
Questa breve lirica si ispira a una forma poetica cinese, particolarmente usata dai poeti mistici del Sol Levante. Ecco come la descrive un poeta zen dell’antichità: «La consueta poesia cinese è formata da quattro versi: nel primo verso c’è la premessa; nel secondo c’è la continuazione di quella premessa; il terzo verso si allontana dall’argomento e ne comincia uno nuovo; il quarto verso collega i primi tre.»
Il sole si congeda dalle nubi
al tramonto, tingendole di rosso.
O Madre, il tuo sorriso m’ha trafitto.
Rosse sono le nubi del mio cuore.
NIRVANA
Nirvana, come è noto, è un termine sanscrito, posto soprattutto in relazione al Buddha Siddharta. Designa un’esperienza molto radicale, in cui sparisce completamente la coscienza individuata, per cui è impossibile trovare dei punti di riferimento adeguati a livello concettuale per poterlo esprimere e definire a parole. Da un punto di vista filosofico è perfino sbagliato dire che il Buddha (o chiunque altro) “è entrato nel nirvana”, perché si tratta di uno stato essenziale in cui nessuno entra e da cui nessuno esce: esiste da sempre e per sempre, al di là del mondo manifesto e di qualunque oggettivazione. Si tratta di un Permanente che è totalmente e inalienabilmente incondizionato, libero dall’impermanenza che contraddistingue l’esistenza fenomenica, ineffabile, trascendente. Il termine, tradotto letteralmente, corrisponde a ‘estinzione’ o ‘zero’. E i buddhisti ben sanno che non lo si può raggiungere per mezzo di alcun metodo (meditazione, preghiera o altro tipo di pratiche sono solo procedimenti per sbarazzarsi di quelle sovrastrutture che ne ostacolano la possibile percezione — purtroppo, però, tali pratiche creano il più delle volte nuove sovrastrutture, certo più eteree e raffinate ma non per questo meno incatenanti, che rimpiazzano le vecchie) e ancora meno attraverso opere filantropiche — più semplicemente (o più misteriosamente), ACCADE. È, per meglio dire, uno stato che è sempre presente e a cui noi non prestiamo attenzione. E, quando ‘accade’, apporta nell’essere individuato una sensazione di suprema Liberazione.
La sestina è costituita da versi ternari con rima ‘abbacc’.
Assorto
senz’io
né mio.
Non morto
né vinto:
estinto.
AGNI
Agni, “il dio del fuoco” vedico, ha moltissime implicazioni e significati. Principalmente, da un punto di vista psicologico, rappresenta la fiamma interiore che si accende nel ricercatore spirituale, dapprima in modo fioco e poi, incendiando le varie pulsioni egoiche, acquista sempre più massa e potere, cresce e si eleva verso l’alto, verso il cielo spirituale, illuminando la notte interiore, apportando luce e ardore e, infine, elevando l’essere (e qui adempie al suo attributo di “vicario” accennato nella lirica) sempre più in alto fino a condurlo nella vera dimora di Agni, che è piena illuminazione spirituale, pura Luce (quest’ultima, nel simbolismo rigvedico, corrisponde a Surya, il dio Sole).
Da un punto di vista filosofico, Agni è il Divino immanente, in interiore homine direbbero i mistici cristiani, sebbene per i veggenti vedici si trovi celato in ogni essere («perfino nel sasso sei presente», recita un passo rigvedico) e non è esclusivo appannaggio degli esseri umani, sebbene negli uomini abbia maggiori possibilità di emergere in superficie. In una delle sue molteplici manifestazioni, Agni è anche l’origine di ogni suono e di ogni forma manifesta (per questo nella lirica gli viene chiesto di trasformare «il nome e la forma» delle cose, ovviamente a immagine divina).
La sestina che compone la lirica è costituita da versi senari (perciò con accenti ritmici rigorosamente in seconda e quinta sede), con rima canonica abab cc.
Azzurra freschezza
che vibri nel fondo,
guerriero d’ebbrezza,
vicario giocondo,
— giocondo trasforma
il nome e la forma.
MARTANDA
Il significato di questo titolo si collega in modo particolarmente stretto con quanto si diceva a proposito di Agni. Màrtanda corrisponde a quello che gli alchimisti occidentali identificavano con il Sol Niger, il Sole-Nero. Secondo i veggenti vedici, quello stesso Sole che splende in alto nei cieli della coscienza spirituale, si trova sepolto qui in basso, al centro della terra, in forma di sole nero, e il ricercatore deve farlo emergere e risplendere, abbattendo ogni ostruzione psicologica che lo tiene rinserrato nelle fortezze dell’incosciente materiale. Le lingue di Agni, in questo contesto, rappresentano le irradiazioni del fuoco interiore della Terra che, alla fine del percorso di risveglio, si ricongiunge alla sua origine solare. La lirica si sofferma sull’importanza di questo doppio movimento (verso l’alto e verso il basso) per trovare la piena completezza e il giusto equilibrio: i due Soli (che alla fine si rivelano un’unica Fonte di Luce) rappresentano il Principio supremo in grado di riconciliare tutti gli opposti (Essere e Divenire, Materia e Spirito, Natura e Soprannatura, aldilà e aldiquà...) in una Coscienza divina dove non esiste più né alto, né basso.
La quartina è in versi decasillabi (accentri metrici in III, VI, IX sede).
Mentre in alto elevo le fronde
nel beatifico abbraccio del cielo
le radici nel basso affondo
per scoprire l’ascoso tesoro.
SOLVITUR AMBULANDO
Quest’ultima poesia (posta in chiusura non solo nell’opera del Maestro Santoro, ma anche nella silloge L’opera della fenice), che è una quartina di endecasillabi, si ispira invece al simbolismo della mistica mediorientale: il «calamo supremo» è espressione tipica dei mistici sufi per indicare lo Scriba cosmico intento a redigere il destino della terra e di ogni individuo. Il Corano stesso dice che tutto è già in tal modo scritto e previsto e che nulla può essere modificato dagli esseri umani. I versi di Iorco lascerebbero presupporre che le ultime pagine del Libro del Destino siano bianche, vergini, ancora da scrivere o, forse, da elaborare compiutamente. In ogni caso, restano per noi per lo più indecifrabili o, per lo meno, risolvibili solo camminando (ambulando solvitur!), ovvero procedendo sul sentiero attraverso la propria concreta esperienza di vita e non certo mediante congetture o astrazioni cerebrali di sorta (tanto meno mediante articoli di fede da subire aprioristicamente, in modo dogmatico e bigotto).
La tavola ove il calamo supremo
incide i destini della terra
non ha segnata l’ultima parola
— soltanto qualche lettera è tracciata
in un qualche linguaggio di mistero.
La composizione musicale, nella sua prima esecuzione, ha riscosso calorosi applausi e grande interesse da parte del pubblico, dei media e dei critici statunitensi. È disponibile un compact-disk dell’esecuzione dal vivo.
Si accennava inoltre a Ariosi Mistici, opera per soprano e orchestra per una durata complessiva di 20 minuti. Anche in questo caso, alcuni testi poetici hanno ispirato le rispettive arie, versi appartenenti a poeti mistici italiani di tre differenti epoche: Pier Matteo Petrucci (del Seicento), Niccolò Tommaseo (dell’Ottocento) e, arrivando ai giorni nostri, Tommaso Iorco.
Lasciamo nuovamente che sia il Maestro Santoro a spiegare con le sue stesse parole il proprio intento: «Nel mio progetto compositivo volevo tre testi che condividessero una tematica, un percorso mistico e che fossero simbolicamente distanti tra loro (i tre si passano piu o meno centocinquant’anni l’uno con l’altro). Con il testo di Iorco, che è il primo brano ad aprire questa trilogia, ho trovato quel “percorso” che già si riscontra nel titolo delle poesie: Traversata, Vita nuova, Parla un’anima contemplativa».
Riportiamo a questo punto i tre testi poetici che hanno ispirato quest’opera musicale.
Il primo è, come ci ha appena detto il Maestro Santoro, il sonetto Traversata, di Tommaso Iorco (tratto anch’esso dalla silloge L’opera della fenice). Le due quartine sono a rima alternata (ABAB), mentre le due terzine hanno la rima incrociata ABC CBA.
TRAVERSATA
È notte fonda ancora, e la mia barca,
tra due abissi di tenebra, avanza;
condotta dal nocchiero insonne, varca
Eracle e il Capo di Buona Speranza.
Ma non finisce lo stato d’erranza
sebbene la tempesta più non marca
questa fragile chiglia, che sopranza
come in un ultimo diluvio arca.
Passato l’orizzonte dei mortali
fa scalo presso l’Isole Beate,
per poi riprendere ancora il suo viaggio.
Intercetta il primo bianco raggio
e penetra le aurore beneamate
infin che il sole spalanca i portali.
Segue poi Vita nuova di Niccolò Tommaseo (1802-1874), contenuta nel volume delle Poesie, pubblicato del 1872. Si tratta di una canzonetta di quattro strofe di settenari piani e sdruccioli, concluse da settenari tronchi rimati a due a due.
Vita nuova
Esci di te. Ne’ liberi
splendor’ del cielo immenso,
sul mar profondo e placido
degli enti, il volo intenso
corra del tuo pensier.
Ogni alito che senti
è un’immortal parola;
ogni respir de’ venti
è un angelo che vola
de’ mondi messaggier.
Esci di te. Nell’ampia
luce che avviva i mondi
le tue virtù ritempera,
le gioie tue trasfondi,
dilegua i tuoi dolor’.
Il tuo destino apprendi;
de’ secoli le vie
sali, raggiando, e scendi,
concorde all’armonie
del provvidente Amor.
Conclude la serie la poesia Parla un’anima contemplativa di Pier Matteo Petrucci (1636-1701), sonetto a rime alternate contenuto ne I Mistici Enigmi Disvelati, testo pubblicato nel 1683 e messo all’Indice quando, quattro anni dopo, l’Autore fu accusato di eresia.
Parla un’anima contemplativa
Svelami Amor che stravaganze io provo.
Veggio; e pur non m’illustra alcun splendore.
Amo; e pur non so chi, né sento amore:
Godo; e pur nulla stringo, e nulla trovo.
Quando torno al mio Centro, io non mi movo:
Quando mi pasco più fame ho maggiore:
Quando morta son più, vita ho migliore:
Quando a tutti son tolta, a tutti io giovo.
La povertà più nuda è mia ricchezza:
La pena più profonda è gaudio mio:
La tenebra più densa è mia chiarezza.
Mi manca ivi ogni bene, ove son’io:
Dove è ’l mio vacuo, ivi è la mia pienezza:
Nel Tutto ho nulla, e in un gran Nulla ho Dio.
Il Maestro Filippo Santoro, come si è potuto apprendere dalle sue stesse parole, è particolarmente affascinato dalla raccolta di poesie mistiche di Tommaso Iorco, al punto che sta studiando altri possibili progetti di collaborazione — come, forse, «un ciclo per tenore e pianoforte» basato sui versi di questo nostro poeta davvero ispirato e capace di un lirismo altamente musicale, che ben si presta alla musica. Indubbiamente, in questo tratto della sua poetica, influisce l’aver coltivato e amato da sempre la musica accanto alla poesia, avendo egli iniziato a poetare all’età di nove anni e a studiare musica classica a dodici.
Un grande IN BOCCA AL LUPO a Filippo e ai suoi importanti lavori!
15 dicembre 2009
QUALCHE AGGIORNAMENTO...
11 gennaio 2010: a Fillippo Santoro viene assegnato il primo premio del 2010 Concerto Competition for Composers, che contempla l’esecuzione dell’opera Melosophiæ.
12 febbraio 2010: esecuzione di Ariosi Mistici di Filippo Santoro, per soprano e orchestra. Riportiamo l’avviso del concerto nell’originale inglese —
Friday, Feb. 12, 8 p.m. (Symphony), Mills Concert Hall.
James Smith conducts as the winners of the annual concerto competition perform as soloists with the orchestra: Eleanor Bartsch, violin; Daniel Kim, viola; Olivia Musat, piano; and Ka-Ming Tan, violin. It will feature guest soprano Sarah Fox and guest cellist Lisa Kursel and will be directed by Ching-Chun Lai.
The orchestra will play the winning composition, Ariosi mistici by Filippo Santoro, directed by Ching-Chun Lai.
The concert will open with Capriccio Italien, Op. 45 by Tchaikovsky, under the direction of Grant Harville.
2 marzo 2010: esecuzione di Melosophiæ (presso il salone dei concerti Mills Hall di Madison, U.S.A.), affidata al prestigioso Contemporary Chamber Ensemble.