LA CIVILTÀ GLOBALE ARIANA
di Giacomo Colomba
Volendo trattare puramente dati e informazioni riguardo le influenze della cultura ariana nel globo non basterebbero in verità chili e chili di pagine, visto che tutti i testi che riempiono biblioteche, università e librerie di appassionati non estinguono in minima parte i dettagli e le connessioni tra tutte le antiche culture protostoriche. Vale la pena se non altro di prendere in considerazione ciò che Gregory Possehl (archeologo che lavora da più di dieci anni agli scavi nella valle dell’Indo-Saraswati) rivelò a un giornalista nell’ottobre del 2000 riguardo la cultura ariana: «Vuole saperlo? Sto tenendo un corso e ho detto agli studenti che quasi tutto ciò che è stato scritto riguardo a questa civiltà prima di cinque anni fa è sbagliato».
Il continuo ritrovamento di città sommerse, centri urbani sepolti, mappe e portolani impolverati, steli, obelischi, ipogei, piramidi, ecc., impediscono l’insediamento di un filone ideologico. Si è creduto, più o meno intelligentemente che una stirpe di guerrieri biondi e prestanti avesse traversato l’Asia centrale per raggiungere la valle dell’Indo-Saraswati e impartire lezioni di lingua, caccia, allevamento e spiritualità alle più deboli e primitive genti autoctone. Più tardi, si è più o meno intelligentemente invertita la tendenza, immaginando una cultura millenaria di saggi-guerrieri che ha influenzato pressoché ogni civiltà partendo dal nord dell’attuale India verso il bacino mediterraneo, la Scandinavia e ogni terra incontrata lungo l’esodo.
Molto più interessante di questa disputa, credo sia porre l’attenzione sull’oggetto “cultura ariana” senza considerare cruciale stabilire il processo di contaminazione interculturale e l’esatta cronologia di eventi e spostamenti. Il segreto dei Veda di Sri Aurobindo è per noi una grande guida illuminante, soprattutto in relazione al fatto che venne scritto quasi un secolo fa. Come egli stesso ci fa notare, i veri frutti della ricerca dovranno nascere dall’immersione dell’uomo contemporaneo nell’uomo ariano che fu, dalla completa immedesimazione in una differente costituzione psicologia, morale ed emotiva, piuttosto che dallo stampare una volta per tutte una carta d’identità per sapere dove è abitato, cosa ha mangiato, cosa ha inventato e chi ha adorato. Più importante è il perché.
Partendo da questi presupposti non si intenderà più con il termine “ariano” qualcosa di legato a un tempo, a un luogo e a degli accadimenti precisi, piuttosto una condizione interiore (condizione che naturalmente influenzava la vita esteriore) per la quale l’essere umano con molte probabilità è transitato in tutto il mondo. Ci appoggeremo a questo termine di origine sanscrita (dalla radice ar: combattere, lavorare, sacrificare, rendere pronto e adatto, produrre sforzo, viaggiare, conquistare, elevarsi) perché solo in India (chissà quando) è accaduto che questa cultura lasciasse delle tracce scritte di se stessa da noi interpretabili.
Recentemente in Siberia sono state analizzati dei megaliti e delle pietre scolpite riconducibili a una civiltà pressoché ignota denominata Tazmin. Lo scopo di questi obelischi decorati era sicuramente rituale. Gli elementi principali di queste raffigurazioni come sono arrivate a noi sono delle donne dai grandi seni con un sole posto sulla fronte tra le sopracciglia, e delle teste rettiloidi (il Drago, il Vritra vedico) o di lupo (il ‘Vrika’ vedico) che tentano di ingoiare il sole. Nelle Canarie, sono state trovate di recente delle piramidi a gradoni e delle statuette raffiguranti cavalli e vacche. Questa civiltà dei guanchi, sterminata dagli spagnoli, era una curiosa presenza nel contesto mediterraneo: individui che adoravano il sole invocando che elargisse loro bestiame. In Mesoamerica la forma umana di Quetzacoatl e Viracocha era quella di un uomo con la barba, e le incisioni mostrano uomini addetti ai sacrifici e ai riti. Nei deserti dell’Asia centrale e della Cina sono state recentemente scoperte delle antichissime mummie (createsi tramite processi naturali) vicino ad artefatti di fattura equina e bovina. E ancora piramidi e segni distintivi della cultura ariana in Melanesia, Sicilia, India, Galles, Giappone, Messico, Perù, Australia, Siria, Iran, Etiopia, Bretagna, Linguadoca, Canada del nord, Paesi Baschi, Ex-Jugoslavia, Asia Centrale, Armenia, Senegal, Capo Verde, Maldive… piramidi anche in Lombardia!
La spiritualità protostorica non riguardava un’autosalvazione e una mera scoperta dell’anima e della pace, piuttosto una vera battaglia contro forze avverse che tengono serrate la luce divina e l’immortalità che spettano di diritto al vero guerriero, che tra i Maori cantava:
Ka mate! Ka mate! Ka Ora! Ka Ora!
Tenei te tangata puhuru huru nana
nei i tiki mai whakawhiti te ra.
A upa...ne! A upa...ne!
A upane kaupane whiti te ra!
«Io muoio! Io muoio! Io vivo! Io vivo!
Questo è l’uomo peloso che ha persuaso il Sole
e l’ha convinto a splendere di nuovo.
Un passo in su! Un altro passo in su!
Un passo in su, un altro... il Sole splende!»
Nel Libro dei morti egizio il ricercatore esprime così la sua lotta:
Ho forzato l’ingresso del cielo,
ho sfondato le porte dell’orizzonte.
Io percorro la terra intera.
Degli spiriti possenti sono in mio potere.
Ecco che attraverso gli abissi delle acque celesti
che si estendono tra i due combattenti.
La mia bocca fa intendere parole di potere.
Ecco che percorro il cielo alla ricerca dei miei nemici
ed essi mi saranno rimessi e non sapranno più sfuggirmi…
Entro nel cielo, simile a un falco
e percorro le regioni celesti, simile a una fenice…
O dio di verità e giustizia
distruggi il male che è in me,
monda il mio cuore dalla tenebra
che potrebbe separarmi da te…
E i tuoi raggi illuminano il mio corpo dall’alto…
O tu, sostanza divina
dalla quale procedono le forme e gli esseri.
Nei Veda la battaglia è così narrata:
ghnanto vritram ataran rodasi uru kayaya cakrire
«Gli uomini, abbattendo l’Occultatore, hanno traversato
il cielo e la terra e hanno stabilito per loro dimora il Vasto Mondo»
hatvi dasyan praryam varaam avat
«egli annienta i Dasyu e protegge e accresce il colore ariano»
pani vacobhir abhi yodhad indra
«Non con armi materiali ma con il Verbo Indra combatte i Pani»
«Con la tua arma hai abbattuto il ricco Dasyu,
andando solo con i poteri che ti servono, o Indra;
dal tuo arco essi si sono sparsi in tutte le direzioni,
e i non-sacrificanti e gli accaparratori sono andati alla morte.
Le loro teste recise sono state sparpagliate,
essi, i non sacrificanti che lottavano con i sacrificanti,
quando, o signore dei corsieri luminosi,
che stai potente nel cielo, tu hai cacciato dal cielo e dalla terra
quelli che non osservavano la legge della tua azione.
Essi hanno voluto combattere l’esercito dell’irreprensibile;
i Navagvas lo hanno accompagnato nella marcia;
come buoi che combattono il toro essi furono dispersi;
essi capirono chi fosse Indra e fuggirono
precipitandosi giù per la scarpata. Tu, o Indra,
hai combattuto contro coloro che ridono e piangono
dall’altra parte del mondo di mezzo; con il fuoco
hai cacciato il Dasyu giù dal cielo e hai favorito
l’espressione di sé di colui che ti afferma e ti offre il Soma.
Facendo un cerchio attorno alla terra,
brillando della luce della gemma d’oro,
con tutta la loro spinta essi non sono riusciti a passare oltre Indra,
che aveva piazzato delle spie tutt’attorno al Sole.
Quando tu hai abbracciato da tutti i lati nella tua grandezza
sia la terra che il cielo, o Indra,
tu con quelli che pronunciano la parola hai cacciato il Dasyu,
attaccando quelli che non pensano
per mezzo di coloro che pensano.
Ed essi non hanno raggiunto l’estremità del cielo e della terra;
Indra, il toro, ha fatto del fulmine il suo aiutante e,
con la Luce, ha munto le vacche radiose traendole dall’oscurità».
Tralasciando i miti e le leggende scritte e orali che sono arrivati a noi (in primo luogo perché gli uomini che le hanno tramandate hanno pian piano cambiato la struttura dei miti adattandola al loro diverso complesso intellettuale-morale, secondo perché è un campo immensamente vasto da non poter essere esaurito in un articolo) nei quali comunque è custodito gran parte del segreto dell’uomo protostorico, le espressioni che queste civiltà progenitrici ci hanno lasciato vanno analizzate per il loro contenuto psicologico-spirituale. Filtrando il passato con la nostra ratio contemporanea osserveremo dei primitivi approcci artistici e dei tentativi idolatri e superstiziosi di conoscere il mondo fuori di sé. Questa mentalità è assolutamente da abbandonare se vogliamo capire il segreto di una civiltà che si è manifestata globalmente in una vasta epoca storica.
Per centinaia di anni abbiamo immaginato che gli antichi egizi non conoscessero la prospettiva e che fossero condannati dalla loro ignoranza a rappresentare gli individui sempre in un innaturale posa di profilo. Sono stati scoperti di recente degli studi per delle sculture in cui un faraone è visto di fronte. Questo banale esempio racchiude il segreto dei nostri paraocchi. La cultura ariana non aveva come scopo principale la soddisfazione estetica o artistica ma ogni espressione aveva un origine interiore profonda per la quale, ad esempio, il linguaggio più adatto per comunicare una verità ispirata era una figura un po’ stilizzata in una posa di profilo. La scelta dell’oggetto da esprimere e della tecnica in cui farlo era dettata e stabilita da esigenze spirituali ed espressa in modo diretto e ispirato, per questo motivo l’unico modo per capire il senso di questo primo uomo globale di cui non abbiamo memoria è affrontare il senso interiore dei suoi simboli e delle sue tecniche espressive.
Perfino il suo approccio con le principali attività esteriori di matrice psichica, ovvero arti e scienze, era completamente differente dal nostro. Le civiltà di stampo ariano avevano sviluppato delle profondissime conoscenze della realtà come astronomia, medicina, fisica, metallurgia, architettura, filosofia; e delle raffinatissime tecniche d’espressione artistica a tutto campo, dalla musica alla scultura, dalla poesia al canto… la differenza sostanziale con la civiltà contemporanea è che queste altissime attività umane erano sempre subordinate alla ricerca interiore e all’espressione delle conquiste spirituali.
Questo non deve portare a un confronto moralistico, dal quale per molta parte tra l’altro usciremmo malconci, ma alla consapevolezza delle differenze tra le strutture interiori che intercorrono tra queste due civiltà globali, affinché si possa comprendere i segreti di un uomo che cercava un bene differente da quello che ci proponiamo per l’umanità attuale, e che con molta probabilità è scomparso perché a causa di questa sua tendenza peculiare non produsse un progresso integrale negli scopi e nei mezzi. Se potessimo aprire gli occhi verso la verità di questa antica civiltà globale, capiremmo che non ha molto senso fare paragoni di sorta o proporre un indesiderabile “ritorno all’armonia delle origini”. Un uomo capace di vedere, capirebbe che l’umanità ha un bisogno integrale, e che civiltà che usano mezzi non integrali per scopi non integrali (come in modo apparentemente opposto sono quella ariana e quella contemporanea) sono costrette a lasciare il posto a nuovi tentativi, a nuove civiltà, a nuove tendenze e a individui dalla sperimentale struttura fisico-psichico-morale-emotiva. L’uomo che volgendosi indietro coglie questa verità, non può preferire un modello a un altro o semplicemente lodare la saggezza dei tempi che furono. L’occhio che vede tende alla grande sintesi per produrre un progresso integrale affinché l’aspirazione integrale di cui l’umanità è simbolo dia i suoi frutti senza bisogno degli incoscienti riflussi della natura. Affinché non si ricada diretti nel calderone di Medea.
Finora, per quanto abbia tentato di analizzare oggettivamente il passato preistorico e protostorico dell’umanità, l’uomo moderno è la vittima eccellente della sua stessa razionalità. Il rasoio di Occam taglia le gambe alla possibilità di una chiara visione delle età passate e gli scienziati, gli storici, e ogni sorta di crononauta non sono mai riusciti a prescindere dall’essere uomini dell’era moderna, contraddistinta da un’egemonia della ratio.
Di quello che è avvenuto prima dell’apparizione dei caratteri cuneiformi, dei pittogrammi, e dei geroglifici egizi non abbiamo in realtà un’idea chiara. Possiamo collocare nel tempo e nello spazio un oggetto o un osso certi, ma non abbiamo la chiave che ci permette di vivere la verità di epoche così lontane nel tempo. Critichiamo piuttosto le culture che ci hanno dato le basi della matematica, della medicina, e delle mille altre scienze di non essere capaci di comprendere la natura dei fenomeni che avvengono nella loro quotidianità quando parlano di divinità nel fulmine o nella vacca. Condanniamo piuttosto come schizoidi e paranoici gli individui che hanno sviluppato la filosofia e hanno inventato le arti quando ci testimoniano insistentemente la ricerca dell’immortalità.
Il fatto che l’uomo moderno non riesca a concepire una spiritualità insubordinata a un concetto di una liberazione extracosmica dal dolore della vita, e che non riesca a ottenere dalla vita materiale una nobiltà sociale e una disinteressata e pura tendenza al progresso è la causa principe per la quale ci è così difficile accostarci e identificarci con questi progenitori ricercatori dell’immortalità, del sole nella roccia, dell’unione del cielo con la terra, dell’infante dorato nutrito dalla madre luminosa e da quella notturna, dell’aurora infinita… qui e ora, senza altre priorità. Usavano il simbolo perché avevano l’attitudine a cercare la verità dietro il velo, a cercare l’unica anima che abita tutto, e a tentare d’agire in funzione di essa, poiché essa Esiste. Perché alla fine l’evoluzione abbia preso nei millenni questa piega è un’altra storia. Tuttavia dovremmo superare i limiti temporali e vedere il progresso umano nel suo complesso, poiché le separazioni tra epoche storiche, tra etnie e genie, tra popoli dell’est e tribù dell’ovest sono fittizie e dettate dalla mente sensoriale che non vede oltre il velo.
Lo storico e lo scienziato con le loro analisi e teorie hanno finora scorto la razza ariana. Più saggiamente, con Sri Aurobindo, l’uomo che si immerge nella verità della psicologia passata vedrà la Cultura ariana.
Gli antichi ‘ariani’ lakota che furono sterminati e corrotti dagli europei avevano, a mo’ dei doppi sensi vedici, una frase che funge da mantra e che racchiude il segreto intero dell’universo:mitakute oyasin, che se pur letteralmente significhi “siamo tutti fratelli”, intende per l’uomo che sa udire “tutto è correlato”.Ekam sat.
Giacomo Colomba
Gennaio 2005