di Tommaso Iorco
(autore tutelato dalla SIAE)
La seconda parte de Il segreto dei Veda contiene, in chiusura, un articolo in cui Sri Aurobindo lascia trapelare (quasi per caso, in linea con il suo stile) una riflessione di grande fascino che, oltre a preparare il terreno per il prossimo volume di questa medesima collana, getta una luce sorprendente sulle radici dell’attuale civiltà.
Sri Aurobindo dice, parlando del proprio svelamento dei Misteri rigvedici: «Spero anche di preparare la strada per un ricupero del significato delle antiche concezioni spirituali che ci vengono indicate dal simbolo e dal mito antico e che ritengo siano state un tempo una cultura comune estesa su gran parte del globo con al centro, forse, l’India».
Sri Aurobindo non è mai stato incline a dilungarsi in congetture e ipotesi, ciò che a lui interessa sempre e innanzi tutto sono le esperienze concrete e vive, perciò mette un punto alla questione e lascia al lettore la libertà di effettuare le proprie considerazioni e ricerche. Esponendo, ovviamente, nel suo libro dedicato alla linguistica che noi stiamo preparando con il titolo L’origine del linguaggio - studi vedici e linguistici, le proprie ricerche nell’ambito della linguistica comparata, dove mostra (e ricordiamoci che questi scritti risalgono ai primi decennî del XX secolo) la stretta parentela che lega le lingue comprese nell’area indoeuropea (in particolare sanscrito, greco, latino, tamil), accennando anche a una quanto mai probabile affinità con alcune lingue semitiche. Tutto ciò ci porta alla constatazione, paventata da un numero sempre più considerevole di studiosi, di una antichissima civiltà che, dall’area indiana, si è estesa in buona parte del mondo: l’intera Asia (Medio e Estremo Oriente), tutta l’Europa (per esempio la cultura celtica) e, attraverso quel tratto di terra ghiacciato che si ipotizza esistesse all’epoca dell’ultima glaciazione, fino alle Americhe, dando nascita alle grandi culture dei Maya e degli indiani d’America.
Tutto ciò è estremamente affascinante, ancor più se consideriamo le attuali divisioni etniche e quell’ignorante e perniciosa volontà che ha dominato per secoli, tendente a una divisione fra “razze bianche” — ritenute superiori e considerate portatrici della cultura in tutto il pianeta — e “razze inferiori”. L’India, in particolare, si riteneva fosse una cultura talmente lontana dalla mentalità europea da rendere improponibile un qualunque contatto («Oriente e Occidente non si incontreranno mai», sentenziava Kipling). Ancora nel secolo scorso, chi si interessava di discipline esoteriche indiane, quali lo yoga, era guardato come un personaggio quanto mai stravagante preso dalla mania di abbandonarsi a qualche eccentricità esotica, uno che non avendo radici abbastanza profonde nella propria cultura mediterranea, cercava vanamente di sprofondarsi nel terreno melmoso di una cultura distante e aliena, inconiugabile con il nostro approccio della realtà, ripudiando o misconoscendo i tesori della propria tradizione. Ebbene, d’ora innanzi sarà sempre più chiaro come le vere radici della civiltà europea sono da rintracciare nell’India rigvedica, e che approfondire la cultura indiana è un arricchimento volto a un più integrale e completo ricupero delle nostre vere radici. Come disse giustamente il celebre professor A.K. Coomaraswami, «non si può essere veri cittadini del mondo se le nostre radici non affondano all’indietro nel terreno dell’India almeno quanto affondano nella cultura classica del Mediterraneo».
Quando Sri Aurobindo traccia — per fare qualche esempio — parallelismi tra la cultura indiana antica e la cultura greca, risulta evidente che ai suoi occhi si tratta di due culture con radici comuni. Apriamo per esempio a pagina 97 il primo volume de Il segreto dei Veda — leggiamo: «i due Ashvin, i Cavalieri sul Cavallo, Castore e Polideuce della mitologia mediterranea antica. […] Dobbiamo rammentare che gli Ashvin sono i cavalieri sul cavallo, spesso raffigurati con epiteti di movimento, “dai piedi veloci”, “ferocemente in moto sui loro percorsi”[rudravartani]; che Castore e Polluce nella mitologia greco-latina proteggono i marinai nei loro viaggi e li salvano dalla tempesta e dal naufragio; e infine che nel Rig Veda essi sono rappresentati quali fonti di energia che, come fossero su una nave, trasportano i rishi o li salvano dall’annegamento nell’oceano. […] Gli eruditi moderni rendono rudravartani con “dai sentieri rossi”, epiteto ritenuto perfettamente adatto alle stelle e danno come esempio l’espressione parallela hiranyavartani, che ha un sentiero d’oro o luminoso. Indubbiamente rudra deve aver significato, in un certo momento, splendente, di colore intenso, rosso, come le radici rush e rus, rudhira, ‘sangue’, ‘rosso’, latino ruber, rutilus, rufus, che significano tutti rosso». Lo stesso Rig Veda conferisce agli Ashvin gli epiteti di Kashitri e Purudamshasa, foneticamente affini a Castore e Polideuce.
Perciò, è tempo di mettere definitivamente da parte ogni preteso sciovinismo, ogni rigida barriera culturale e, nel pieno rispetto della unicità e della specificità delle singole culture sviluppatesi nella grande civiltà mondiale, coglierne l’unità. Unità di radici primordiali e unità di intenti finale. E anche in questa operazione abbiamo molto da apprendere dalla penna sovrana e veggente di Sri Aurobindo.