a cura del CENTRO STUDI arya
«La chitarra è una piccola orchestra,
uno strumento adatto sia ad accompagnare la voce
che a figurare in molti brani strumentali,
così come per eseguire pezzi solisti di maggiore o minore
complessità e a più parti, che possiede
un indubbio fascino quando suonato da veri virtuosi.
Dalla introduzione del pianoforte, in tutte le case
dove esiste un interesse per la musica,
la chitarra è usata con meno frequenza,
tranne che in Spagna e in Italia,
tuttavia il suo carattere malinconico e sognante
dovrebbe più spesso potersi dispiegare».
Hector Berlioz
(Grand Traité d’instrumentation
et d’orchestration modernes,
1843)
La chitarra è uno degli strumenti più espressivi della musica occidentale e mondiale, capace di trasformarsi, come disse Berlioz, in una piccola orchestra (e qualcuno addirittura non mancò di replicare: «No: è l’orchestra a essere una grande chitarra!»).
Ma, nonostante la sua diffusissima popolarità, si tratta di uno strumento ancora non adeguatamente conosciuto nelle sue reali capacità musicali da parte del più vasto pubblico.
Incominciamo col dire che, da un punto di vista storico, la chitarra è un cordofono a pizzico (ma, per certi aspetti, simile a un membranofono a percussione) di origine indo-persiana introdotto in Spagna dagli arabi intorno al XIII secolo e noto con il nome di car’tar (che in arabo significa ‘quattro corde’ — a sua volta derivante dall’antico persiano e dal sanscrito). Già presente in un bassorilievo ittita del 1300 a.C. circa, sparsasi con il passare dei secoli in tutto il bacino del Mediterraneo, la chitarra, diffusasi in Europa, subì notevoli modifiche fino a dare origine alla chitarra a sei corde come noi oggi la conosciamo.
Per quanto riguarda le prime fasi di evoluzione dello strumento, fra gli studiosi vi sono svariate supposizioni. Vi sono comunque almeno due strumenti che hanno portato alla nascita della chitarra attuale: la kuitra araba (conosciuta anche come ‘chitarra moresca’, dal caratteristico fondo curvo) e la fidicula latina (con fondo piatto). Mentre un parente stretto della chitarra è il liuto (il cui nome deriva dall’arabo al’ud, ovvero, “di legno”).
Inizialmente la chitarra aveva una lunghezza di circa 55 centimetri, montava quattro corde (di budello o, più raramente di seta o di metallo) le quali venivano suonate con il plettro. Così era la chitarra durante tutto il Medioevo europeo (la chitarra medievale è conosciuta con il nome di ‘gittern’) e per buona parte del Rinascimento (fra le varie chitarre rinascimentali figura la ‘vihuela’, nota soprattutto in Spagna). A partire dal XV secolo la chitarra inizia a subire notevoli trasformazioni: la cosiddetta ‘chitarra battente’ (molto diffusa in Italia, dal caratteristico fondo bombato), del XVI secolo, monta cinque corde. E così pure la ‘chitarra barocca’. Ma inizia anche a modificarsi nella sagoma, che assume sempre più la caratteristica forma di un otto. Inoltre, progressivamente, l’uso del plettro viene sostituito dal pizzico delle dita (o delle unghie, per aumentarne la sonorità) direttamente sulle corde.
A metà del XVII secolo arrivò infine la sesta corda e una migliore resa sonora dovuta all’aumento del volume della cassa armonica.
Ma è solo tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento che si diffonde la moderna chitarra classica, in particolare grazie al liutaio spagnolo Antonio de Torres Jurado (1817-1892) che, in risposta alle richieste di chitarristi quali Francisco Tárrega (1852-1909) e del suo discepolo Miguel Llobet (1878-1938), aumentò le dimensioni della cassa armonica (e, per conseguenza, della tavola armonica) e sviluppò la cosiddetta ‘incatenatura’ (vale a dire tutta una serie di sottili listelli, detti appunto catene, posti a raggiera all’interno della cassa armonica, aventi la funzione di modificare in modo selettivo la rigidità della tavola armonica al fine di controllarne meglio la risonanza). Lo strumento è ancora un po’ più corto e stretto (e anche un po’ più piatto) dell’attuale, mentre il diapason (questo termine indica per i liutai la lunghezza del tratto vibrante delle corde) è ancora leggermente più ridotto (640-650 millimetri, contro gli attuali 650-660).
Altra modifica importante intervenuta nella chitarra fu la sostituzione dei ‘bischeri’ (piroli di legno che servono a tendere le corde, ancora largamente in uso negli strumenti a corde indiani, come il sitar o la vina) con le cosiddette ‘meccaniche’, cioè con un sistema di tensione formato da un ingranaggio mosso da una vite senza fine che permette una migliore tenuta dell’accordatura. Inoltre, la forma del ponticello si trasforma da quelli ancora presenti sul liuto, a quello moderno nel quale la presenza dell’ossicino consente una più precisa regolazione dell’altezza delle corde sulla tastiera.
La chitarra classica viene costruita con legni di diverso tipo per ogni parte del suo corpo.
La tavola armonica è in legno di abete rosso (picea abies), oppure di cedro rosso (in realtà si tratta di una conifera nord-americana), o anche, più raramente, la sequoia. La crescita di tali alberi è molto lenta, permettendo agli anelli annuali di essere estremamente vicini e così il liutaio può ottenere tavole armoniche molto sottili ed elastiche. L’abete è certamente il legno più pregiato per realizzare la tavola armonica di una chitarra classica; il cedro si è imposto solo in tempi più recenti, per trovare soluzioni accettabili a costi inferiori rispetto all’abete, che resta comunque di maggiore pregevolezza sonora. Il taglio dei tronchi avviene per quarto, poi dagli spicchi si ricavano tavolette di uno spessore di circa quattro millimetri che si fanno stagionare in modo naturale per circa dieci-quindici anni prima di essere utilizzate, per poter avere una maggiore qualità timbrica dello strumento. Il ‘rosone’ intorno alla buca viene realizzato per rinforzare il legno che in quel punto è estremamente fragile. I liutai amano dare al rosone anche una funzione decorativa; per realizzarla, oltre all’uso dei classici filetti che andranno a formare le due corone (interna e esterna), il liutaio, dopo avere scelto il disegno, lo realizza unendo insieme a mosaico dei fili di legno a più colori e creando fantasie molto varie.
Al suo interno, la tavola armonica viene rinforzata con listelli di abete (fu il liutaio Louis Panormo il primo a disporle a ventaglio, sistema perfezionato poi da Torres e ancora in uso, sia pur elaborata da allora con diverse modifiche). Tale raggiera ha lo scopo di contenere la torsione che il ponte, gravato dalla tensione delle corde, impone alla tavola armonica, ma crea anche veri e propri settori che rispondono alle varie frequenze; una buona disposizione a raggiera è quindi determinante per il giusto equilibrio di tutte le note.
Le fasce laterali e il fondo della cassa armonica sono costruite in varie essenze, solitamente di legno duro e compatto, a seconda del timbro che il liutaio vuole conferire allo strumento. Molto ricercate sono le essenze di palissandro (in particolare quello indiano o quello brasiliano — di quest’ultimo ne esiste una varietà, conosciuta come ‘Rio Jacaranda’, che è in assoluto la più pregiata per la resa sonora dello strumento, anche se molto delicata da un punto di vista strettamente fisico, in quanto particolarmente sensibile al secco e all’umido, oltre al fatto che si tratta di un legno di sempre più difficile reperibilità), di mogano, di cipresso (per le chitarre flamenco), di ebano makassar e di acero.
Il manico è costruito con legni poco sensibili all’umidità e poco propensi alla deformazione, ma al tempo stesso leggeri e stabili, quali il mogano e la cedrella spagnola. Data la notevole sollecitazione che subisce a causa della tensione delle corde, il manico va inoltre rinforzato per tutta la sua lunghezza da una striscia di ebano dello spessore di circa 5 millimetri che va a formare una ‘T’ con la tastiera.
La tastiera è rigorosamente in ebano che, oltre alla sua bellezza, offre una eccellente scorrevolezza e resistenza all’usura, grazie alla superficie compatta.
Il ponticello cui si legano le corde può essere in palissandro, ebano, noce o altre essenze. Importante è la scelta della qualità e della venatura del legno del ponte, dato che attraverso di esso le vibrazioni delle corde si trasmettono all’interno della cassa per essere amplificate. Alcuni liutai, mantenendo viva la tradizione, pongono nel ponticello un inserto di madreperla in corrispondenza con il passaggio delle corde, rendendolo più durevole oltre a impreziosire esteticamente lo strumento.
Il capotasto e l’ossicino sono in osso.
La verniciatura migliore è in gomma lacca (prodotta da insetti che vivono in simbiosi con una conifera), permettendo al legno di ‘respirare’ e continuare nella sua naturale stagionatura, di vibrare più liberamente e di migliorare sempre più con il passare del tempo. Alla gomma lacca vengono solitamente aggiunte altre resine allo scopo di aumentarne la resistenza allo sfregamento e la brillantezza, anche se i liutai più validi sono propensi a non effettuare simili mescolanze che, sia pur in piccola misura, riducono la sonorità e la vitalità del legno.
Quanto alle corde, oggi sono principalmente di nylon (rivestito, per le tre corde più basse, in nichel, più raramente in rame, in argento o in oro), che conferisce al suono un timbro ovattato e dolce. Raramente si utilizzano corde di budello come era d’uso in origine. Ultimamente esistono anche corde di materiali compositi a base di carbonio o fibra di vetro, che producono un timbro più brillante (troppo brillante, a detta di alcuni chitarristi, andando a discapito di sonorità più morbide che costituiscono una delle caratteristiche più affascinanti del suono della chitarra) e garantiscono una maggiore tenuta di suono.
L’affascinante melanconico lirismo degli acuti e la profonda vellutata solennità dei bassi, unite a una grande prontezza di risposta e alla straordinaria ricchezza di timbri, sono le peculiarità che hanno contribuito alla fortuna della chitarra classica realizzata da Torres nell’Ottocento e perfezionata nella prima metà del Novecento. Nel tentativo di ottenere una sempre maggiore potenza di suono, gran parte della produzione della liuteria della seconda metà del Novecento si è spinta talmente oltre da modificare il timbro naturale della chitarra classica, rendendolo più brillante, a discapito della sua gamma di variazioni timbriche. La perdita subita è troppo grande e il beneficio troppo esiguo, perciò, ben lungi dall’idea di precludersi nuove evoluzioni, i liutai più sensibili sono tornati — in questi ultimi anni — a realizzare chitarre aventi un diapason in mi bemolle (sul modello Torres, per intendersi), distaccandosi così dalla produzione seriale, posizionata sul sol (talvolta addirittura sul la!), restituendo la piena ricchezza timbrica a questo strumento. Parallelamente, i chitarristi classici contemporanei hanno ripreso a suonare su chitarre realizzate sui principi costruttivi tardo-ottocenteschi, quando addirittura non si procurano chitarre d’epoca, fatte opportunamente restaurare.
Per quanto riguarda la letteratura chitarristica, l’abolizione dell’uso del plettro (tranne per qualche brano contemporaneo), ha determinato un notevole salto di qualità, in quanto la chitarra in tal modo può essere sfruttata in senso polifonico (più voci in contemporanea, non ottenibili dall’uso del plettro). Particolari effetti timbrici sono inoltre dovuti all’uso delle unghie (a cui si è già accennato), al variare dell’angolo di attacco delle dita sulle corde, al pizzicato e ad altri effetti, alcuni provenienti dalla tecnica chitarristica utilizzata nel flamenco (ad esempio il celebre rasgueado).
Le prime raccolte di composizioni destinate alla chitarra (a quattro corde) vedono la luce quasi contemporaneamente in Spagna, Francia e Italia, intorno alla metà del XVI secolo. Il repertorio formato da tali musiche comprende composizioni solistiche originali, trascrizioni di celebri musiche vocali, motivi di derivazione popolare a carattere di danza, brani per voce con accompagnamento di chitarra. All’epoca, le composizioni per chitarra, così come quelle per liuto, suo strumento antagonista, non venivano redatte sul pentagramma, bensì in ‘intavolatura’ (un sistema di scrittura che su una pagina o ‘tavola’ rappresenta la tastiera dello strumento in ogni momento dell’esecuzione e indica il posto che le dita dell’esecutore debbono occupare secondo il valore di tempo indicato in verticale).
Con la nascita dello strumento moderno a sei corde e con l’adozione del sistema di notazione mensurale (quello tuttora in uso), sul finire del Settecento si assiste a un crescente interesse dei compositori verso la chitarra. Nel 1798 Luigi Boccherini compone e adatta dodici quintetti per quartetto d’archi e chitarra, offrendo un lucido esempio sull’utilizzo dello strumento a pizzico in organici cameristici. È questa una delle prime opere per chitarra moderna.
Un contributo importante viene dato dall’italiano Mauro Giuliani (1781-1829), che rappresenta sicuramente uno degli autori più rappresentativi del suo secolo. Chitarrista, violoncellista e compositore, ha lasciato centocinquanta partiture per chitarra. Emigrato a Vienna nel 1806, divenne una celebrità soprattutto in veste di esecutore, incantando il mondo musicale viennese con le sue virtuosistiche esibizioni. Rientrato in Italia nel 1819, si dedicò particolarmente alla composizione (realizzando fra l’altro tre Concerti per chitarra e orchestra), esibendosi spesso con la figlia Emilia, che nel frattempo era diventata un’ottima chitarrista.
Altro chitarrista eminente di questo periodo fu l’italiano Ferdinando Carulli (1770-1841), violoncellista, chitarrista, compositore. Vissuto prevalentemente in Francia, fu uno dei migliori concertisti dell’Ottocento parigino. Il suo Metodo per chitarra è ancora in uso presso i Conservatori musicali sparsi nel mondo.
Francesco Molino (1768-1847), inizialmente oboista e violinista (presso il Teatro Regio di Torino), si trasferì a Parigi dove iniziò la sua carriera di chitarrista, creando una schiera di ‘molinisti’, in antitesi ai ‘carullisti’.
Anche lo spagnolo Dionisio Aguado (1784-1849) conobbe a Parigi una intensa carriera di concertista, richiamando le attenzioni di Gioacchino Rossini, Vincenzo Bellini e Niccolò Paganini (1782-1840); quest’ultimo, peraltro, ci ha lasciato numerose composizioni per chitarra, strumento al quale si era dedicato con passione fin da ragazzo. Aguado si legò in amicizia con un altro grande chitarrista spagnolo dell’epoca (noto a tutti gli studenti di chitarra per i suoi studi): Fernando Sor (1778-1839) che, dopo essersi distinto per le sue capacità di esecutore e compositore in tutta Europa, si stabilì anch’egli a Parigi.
Nel periodo romantico si produce comunque una crisi dello strumento, la cui causa principale viene concordemente indicata nell’impossibilità della chitarra di competere con i più agguerriti strumenti antagonisti: primo fra tutti il pianoforte, vincente in partenza per emissione sonora. D’altro canto, lo strumento a pizzico è impotente di fronte alla predilezione crescente del pubblico dell’epoca per il repertorio sinfonico. Durante il Romanticismo, solo in Spagna la chitarra continua a godere dell’attenzione di molti musicisti, soprattutto grazie all’impegno dei già citati Tárrega e Llobet.
È con Andrés Segovia (1894-1987) che la chitarra ritorna a imporsi nel panorama europeo e, in più, mondiale. Dotato di una tecnica esemplare e, ancor più, di un tocco magistrale e di una sensibilità artistica eccezionale, Segovia dimostrò — a partire dal memorabile concerto del 1913 tenuto a Madrid — che la chitarra possiede una espressività e una capacità tecnico-musicale pari agli strumenti più sofisticati.
Da quel momento, molti compositori di fama quali Heitor Villa-Lobos (1887-1959), Manuel Maria Ponce (1882-1948), Joaquin Turina (1882-1949), Mario Castelnuovo-Tedesco (1895-1968), Joaquin Rodrigo (1901-1999) e altri ancora — il più delle volte sollecitati dallo stesso Segovia —, dedicano sempre più energie a scrivere opere per chitarra. Mentre, fra i più prestigiosi esecutori contemporanei, figurano il venezuelano Alirio Diaz (1923), lo spagnolo Narciso Yepes (1927-1997), l’inglese Julian Bream (1933), l’australiano John Williams (1941), lo spagnolo Pepe Romero (1944), l’italiano Flavio Cucchi (1949), il cubano Manuel Barrueco (1952), gli statunitensi Eliot Frisk (1954) e Sharon Isbin (1956). Iniziano anche a imporsi chitarristi asiatici di grande virtuosismo (cinesi e giapponesi in particolare — fenomeno assai meno diffuso in India, poiché abbonda di strumenti a pizzico dal suono non meno affascinante, seppure i fantasiosi e prolifici liutai abbiano inventato un ibrido piuttosto diffuso fra chitarra classica europea e liuto indiano).
Come ha ben delineato Angelo Gilardino, «la chitarra, che aveva goduto di un periodo di favore nei primi decenni dell’Ottocento e che era poi entrata in una lunga crisi determinata dall’estetica musicale del pieno e del tardo romanticismo, riapparve sulla scena musicale agli inizi del Novecento grazie a un rinnovato interesse da parte di diverse categorie di compositori: da un lato, gli autori francesi o comunque di formazione e di cultura parigina, dall’altro i maestri della nuova musica viennese. Gli uni e gli altri manifestavano la loro sensibile attenzione soprattutto nei riguardi della ricchezza timbrica di uno strumento che, in precedenza, era stato guardato con curiosità e condiscendenza più che con vero interesse. Se, nell’opera di Debussy e di Ravel, la chitarra si mostra come un fantasma che aleggia su alcuni aspetti della scrittura e del suono senza mai prendere esplicitamente corpo, Schönberg e Webern non si limitano a evocare l’anima chitarristica, ma convocano direttamente la chitarra in alcune loro composizioni e si prendono la non lieve responsabilità di mettere a punto impasti sonori in cui lo strumento è essenziale, peculiare e insostituibile. Al seguito dei capiscuola, sia in ambito, per così dire, impressionista che in ambito espressionista, cioè sia a Parigi sia a Vienna, la chitarra godrà di una lunga stagione di favori accordati dalla sensibilità, dal gusto sopraffino e dal prezioso artigianato di compositori che, al seguito dei grandi, troveranno nella sua inesauribile gamma di colori un motivo di potente attrazione. La musica francese, con la sua tendenza a impreziosire il discorso musicale evitando le grandi esclamazioni retoriche e sentimentali, attrae anche i giovani maestri della nascente scuola nazionale spagnola — fortissimamente caldeggiata da Felipe Pedrell — e diviene quasi impossibile tracciare una linea di demarcazione tra le composizioni ispaneggianti degli autori post-debussiani di Parigi e quelle francesizzanti dei giovani talenti della musica spagnola: in questo ambiente colorito di esotismo la chitarra ha naturalmente un posto d’onore. Ecco quindi, in Spagna, le composizioni di Falla, Turina, Manén, Rodrigo, anche quelle un po’ facilone di Moreno-Torroba e, soprattutto ecco la Sonata para guitarra di Antonio José, il più meditato e consapevole omaggio che potesse venire, dalla Spagna, alla musica francese. Al seguito dei grandi viennesi, invece, il panorama chitarristico appare più ristretto e tardivo, ma composizioni come la Suite für Gitarre allein di Krenek o le Sechs Musiken di Apostel riscattano con la loro nitidezza formale e la loro perfezione nei minimi dettagli quella che appare, rispetto alle premesse, come una circospetta avarizia».
Oggi la chitarra gode di una vastissima popolarità in molte parti del mondo. Grazie alla sua versatilità (si adatta bene a un gran numero di generi musicali), ma anche alla leggerezza (che la rende facilmente trasportabile), è assai diffusa. Si rivela ideale per eseguire brani solisti, ma anche per accompagnare il canto o altri strumenti. Oltre alla chitarra classica, si sono inoltre diffuse la chitarra folk (a sei corde semplici o doppie), la chitarra elettrica, la chitarra ‘dobro’ (con un risuonatore metallico sulla tavola armonica), la chitarra jazz (con fori a ‘f’ sulla tavola che, come il fondo, è ricurvo); meno conosciute son invece la chitarra-arpa, la chitarra-lira e altre tipologie aventi la cassa di risonanza allungata o altre specificità, come la chitarra dotata di corde simpatetiche trasversali (ispirata probabilmente a certi strumenti a pizzico dell’India, come il sitar e il surbahar) fino ad arrivare a eccentricità e stravaganze, come la chitarra innestata in un bastone da passeggio!
Esistono inoltre alcuni accessori, come il capotasto mobile (che consente di alterare la lunghezza della sezione vibrante delle corde) o il bottleneck (un pezzo di tubo di metallo o di vetro infilato su un dito della mano che pigia le corde, producendo sonorità simili a quelle della cosiddetta chitarra hawaiana). Talvolta, in via sperimentale, si usano anche bacchette da percussione o archetti di violino.
Nella storia italiana, illustri appassionati di chitarra sono stati Giuseppe Mazzini (esperto suonatore di chitarra classica, attento conoscitore ed esecutore del repertorio a lui contemporaneo), Leonardo da Vinci (nel curriculum inviato a Milano, che lo farà assumere da Ludovico il Moro, oltre a ingegnere, pittore, scultore e scienziato, specifica di essere anche un “suonatore di chitarra”), Vittorio Alfieri (la chitarra trovò stabile collocazione nel suo quotidiano, come egli stesso riferisce nella propria autobiografia), Massimo D’Azeglio, Giuseppe Garibaldi e, fra i musicisti, Niccolò Paganini, Gioacchino Rossini e Giuseppe Verdi; quest’ultimo ebbe perfino il coraggio di inserirla in qualche opera.
E, a proposito del rapporto fra la chitarra e Giuseppe Mazzini, una riflessione di Brondi deve essere riportata, in quanto ha il merito di mettere in luce una caratteristica assolutamente fondamentale di questo strumento: «La chitarra, così intima, tutta personale, che riflette meglio di qualsiasi altro strumento l’anima di chi la suona, che può ricevere l’impronta speciale dell’esecutore (l’acrobatismo non è arte) era per Mazzini parte della sua vita stessa».
Fra i personaggi più illustri che si dilettavano a suonare la chitarra classica, emerge certamente lo scrittore James Joyce.
Per concludere, la chitarra classica è ormai considerata — a giusto titolo — uno fra gli strumenti musicali più espressivi in assoluto. La maggior parte del repertorio esistente è scritto per uno strumento solo, occasionalmente per un duo (ma sono anche in aumento le partiture per orchestre di chitarre). A causa del suo basso volume, la chitarra ha trovato raro uso all’interno di un’orchestra, ad eccezione per le orchestre di chitarre e per alcuni componimenti particolarmente felici, come il riuscitissimo Concierto de Aranjuez di Joaquin Rodrigo. Oggi, comunque, la tecnologia consente di amplificare la chitarra classica per mezzo di microfoni e quindi essa viene ormai inserita in ogni contesto musicale e può essere agevolmente suonata nelle sale più ampie.