GIUSEPPE MAZZINI
E LA CHITARRA

 GMazzini.jpg

Giuseppe Mazzini (1805 - 1872) fu esperto suonatore di chitarra, attento conoscitore del repertorio a lui contemporaneo e, inoltre, autore di un piccolo trattato di estetica musicale: Filosofia della musica.
Non vi sono dubbi sulla appartenenza di Mazzini a quella schiera di uomini del primo Ottocento che, tra le discipline formative della giovinezza e tra gli interessi della maturità, accolsero la musica come elemento integrante per la definizione della propria personalità.
La chitarra costituì per Mazzini un indispensabile e insostituibile veicolo di familiarità con la musica: «La chitarra, così intima, tutta personale, che riflette meglio di qualsiasi altro strumento l’anima di chi la suona, che può ricevere l’impronta speciale dell’esecutore (l’acrobatismo non è arte) era per Mazzini parte della sua stessa vita» (M. R. Brondi).
Non sappiamo con chi Mazzini avesse studiato lo strumento, ma il singolare allievo deve aver mostrato particolari attitudini se il padre poteva ricordare: «Se tu volessi potresti avere una certa fortuna per mezzo dell’intelligenza che hai sopra la musica. Le osservazioni fatte sulla musica del Gambini sono state trovate eccellenti: adunque potresti incontrare l’appoggio e la protezione di tutti quei che hanno passione per la musica e principalmente con la Regina Vittoria, accompagnare il canto e il suono con quello della chitarra, che suonavi eccellentemente, ed allora che rumore, che gioia, che rabbia» (A. Luzio).
In un vasto progetto di elevazione della maturità del popolo europeo la musica acquista per Mazzini il valore di una epifania del Progresso, approdo a cui sarebbe dovuto giungere l’uomo purificato dal suo individualismo.
La perizia chitarristica e canora è un tratto della personalità mazziniana riconosciuto da tutti i biografi: «Suonava molto la chitarra, e cantava bene, accompagnandosi» (B. King). Gli appelli epistolari rivolti alla madre al fine di ricevere musica italiana erano praticamente ricorrenti: «Quello che poi vi dico fin d’ora è che gli darete alcune corde per chitarra, cattivissime e costosissime qui, e se ne avanzano ancora, alcuni pezzi di musica per chitarra di Giuliani, Legnani, Picchianti, moderni insomma. Ricordo per esempio, che io aveva tra la mia musica una poesia di Manzoni Ei fu, siccome immobile, con accompagnamento di chitarra» (Lettera alla madre, Londra, 13 settembre 1842). Per l’Inno manzoniano: «Credo che tra la mia musica esistesse un tempo un tema con variazioni di Giuliani, in sol sopra un motivo dell’Amazili di Pacini; se mai vi fosse ancora, come pure l’Inno a Napoleone di Manzoni, messo in musica da non so chi, e ridotto con accompagnamento di chitarra da Bacigalupo, dovreste consegnarli a Michelangelo» (Lettera alla madre, Londra, 14 ottobre 1843).
Nel corso degli anni ’40 l’attività politica mazziniana aveva avuto modo di valersi della musica sotto le più svariate forme di contributo. Risulta fondamentale, per il sostentamento della scuola fondata a favore dei piccoli italiani, l’apporto dei concerti di beneficenza (la Scuola per i giovani italiani fu fondata il 10 novembre 1841). Uno dei sistemi favoriti era quello di invitare i celebri cantanti italiani residenti a Londra a esibirsi in una serata di beneficenza, di solito organizzata a primavera inoltrata: il tenore Mario, democratico di provata fede, il soprano Giulia Grisi, Tamburini, Lablache, e più tardi anche la giovane Marietta Alboni offrirono a più riprese la propria ugola per raccogliere fondi («Questo concerto da organizzarsi mi porta via tempo, pazienza, mente e ogni altra cosa. E d’altra parte è cosa inevitabile: la salvezza della scuola dipende da questo»; Lettera alla madre, Londra, 21 maggio 1846).
Tra i musicisti non-cantanti reclutati da Mazzini figura il chitarrista e compositore Giulio Regondi (1822 - 1872), che, in un concerto del giugno 1845, era stato esecutore di una sua fantasia sui temi del Don Giovanni di Mozart.
Nel 1847, il "vero anno della chitarra", le indicazioni rivolte alla madre assumono ritmi serrati. Le richieste possono farsi sempre più circostanziate, al punto da non poter essere sempre soddisfatte: «Vi ringrazio per l’istruzione data ad Andrea pel pezzo di musica del Barbiere; ma non importava gran fatto: il desiderio era d’avere quella riduzione in re di Picchianti, credo ch’io aveva, ma che ho smarrito in Isvizzera. Sarà esaurita l’edizione» (Lettera alla madre, Londra, 31 maggio 1847). Si rende necessario anche produrre un catalogo da consultare: «M’era venuta in testa che una buona cosa sarebbe mandarmi un Catalogo di musica per chitarra: vedrei io stesso che cosa vi sia da scegliere. Addio, madre mia» (Lettera alla madre, Londra, 20 febbraio 1847).
Dopo il fervore degli anni Quaranta, l’interesse di Mazzini per la chitarra dovette necessariamente scemare, in particolare dopo la morte della madre, avvenuta nel 1852 (nei momenti che seguirono la notizia, Mazzini, colto da muto dolore, modulò “una mesta canzone”). Una fugace citazione relativa allo strumento appare in una lettera del 1856: il padre della nazione, finalmente in Italia, si rivolge a un’amica londinese: «Io, dacché son partito, non ho più udito musica, non ho più toccato chitarra» (Lettera a Giorgina Craufurd, Genova, 27 ottobre 1856).
Ecco, per finire, la foto della chitarra di Giuseppe Mazzini (custodita presso la Fondazione Mazziniana di Genova), costruita da un rinomato liutaio napoletano (Gennaro Fabbricatore, detto il Fabbricatoriello) nel 1821 (quando Giuseppe Mazzini aveva sedici anni) —

 cMazzini.jpg