ANIMA MUNDI
— Gaia Ambrosini intervista Tommaso Iorco —
Gaia: «Tommaso, prima di illustrarci questa tua nuova rappresentazione teatrale, potresti sintetizzare i tratti salienti più significativi che hanno caratterizzato i venticinque anni del tuo impegno teatrale?»
Tommaso: «Un fattore che sicuramente contraddistingue il mio modo di fare teatro, è l’utilizzo di drammaturgie prevalentemente poetiche; non sono mai stato un grande appassionato del cosiddetto “teatro di prosa” e, per ovvi motivi, ho sempre privilegiato la poesia.»
G.: «Il grande teatro, d’altronde, ha invariabilmente utilizzato il linguaggio della poesia, da Eschilo a Shakespeare.»
T.: «Sì. Nel mio piccolo, seguo il loro esempio.»
G.: «E dal punto di vista delle scelte strettamente registiche, potresti individuare per noi le tue predilezioni?»
T.: «C’è anzitutto una risoluzione di fondo: quella della totale estraneità dal teatro ufficiale (sia esso borghese o di altro tipo) e dalle lobby dello spettacolo; parallelamente, mi sono sempre tenuto equidistante dal professionismo e dal dilettantismo, dato che mi appaiono entrambe delle scelte di comodo. Poi c’è sicuramente una forte propensione per la contaminazione di generi, che mi ha spinto — come attore — a relazionarmi con le altre tipologie di arte performativa, in particolare la musica e la danza, collaborando proficuamente con musicisti e danzatrici delle più varie estrazioni, proprio come nel caso di questo Anima Mundi. Inoltre, sempre dal punto di vista strettamente attoriale, fin dall’inizio del mio percorso teatrale ho trovato insopportabile limitarmi a “recitare” (termine orrendo, peraltro) e ho cercato di muovermi in una direzione più integrale, lavorando parecchio sull’espressione corporea in modo da tentare di esprimere una organicità globale, in cui la fisicità attoriale possa rivestire un ruolo scenico di primario rilievo.»
G.: «In questa scelta pare esserci lo zampino di Grotowski, o sbaglio?»
T.: «Per precisione e correttezza, direi che l’impronta mi proviene da Zigmut Molik, il quale fu il fondatore del Teatr Laboratorium insieme a Jerzy Grotowski, pur essendo assai meno noto di quest’ultimo. Fu lui ad assumersi la responsabilità di addestrare gli attori dell’ormai mitica compagnia di Wroclav e, in seguito, a formare molti altri attori in giro per il mondo, compreso il sottoscritto; la sua guida è stata per me preziosissima. Ma ci sono altre influenze ancora e, soprattutto, la costante esigenza di trovare un mio stile personale di stare in scena.»
G.: «Veniamo a questa tua ultima realizzazione: cosa puoi dirci a proposito di Anima Mundi?»
T.: «L’intenzione principale è quella di rappresentare in forma scenica il rapporto esistente tra l’anima-della-terra e la Grande Dea…»
G.: «Questo è un altro tema ricorrente del tuo teatro, o sbaglio?»
T.: «Assolutamente. E non solo del mio teatro, ma anche della mia poesia. È un aspetto che mi sta molto a cuore e che mi coinvolge in modo decisamente diretto, non solo nel teatro o nella poesia, ma in primo luogo nell’esperienza di vita.»
G.: «Puoi spiegarci meglio questa tua propensione verso la Divinità vista al femminile?»
T.: «Nasce da un vissuto interiore, essenzialmente, mentre quel che posso dire a livello concettuale è che la cultura europea subisce ancora oggi gli influssi della concezione giudaico-cristiana di un Dio-Padre poco incline a occuparsi delle cose di questo mondo. Non ha caso, la hybris — quella tracotanza giustamente condannata dagli antichi greci — raggiunge il proprio apogeo proprio negli ultimi duemila anni della storia dell’uomo, in cui la civiltà è stata quasi interamente governata da una simile concezione, in cui Dio è visto sostanzialmente come un essere antropomorfo radicalmente altro dalla propria creazione, il quale si limita a giudicare dall’alto della sua nuvoletta e a impartire una punizione post-mortem, al modo di un padre rigido e intransigente.»
G.: «Però io so che tu hai un grande rispetto per la cultura ebraica, e alcuni anni fa hai perfino realizzato uno spettacolo molto toccante — La luce della memoria —interamente dedicato alle vittime della Shoah…»
T.: «Ovviamente quanto dico a proposito del Dio-Padre è una generalizzazione utile alla comprensione e, quindi, le mie parole vanno intese nel modo giusto. Quello che intendo dire è che, in antitesi a questa concezione patriarcale (direi addirittura maschilista), la Divinità vista come una entità femminile corregge sensibilmente quella orrenda concezione dualista e dispotica che, di fatto, tende verso un importuno divario fra Terra e Cielo, tra Materia e Spirito.»
G.: «La Dea vista come Madre tende invece a occuparsi dei suoi figli in modo più amorevole, non è vero?».
T.: «Esatto: il principio è questo. La Grande Dea adorata fin dai primordi (già nel Paleolitico troviamo rappresentazioni del suo culto sull’intero globo abitato dall’uomo) è, tra le altre sue manifestazioni, Madre Terra, Madre Natura, Mater Materia. Pertanto, la visione del mondo risulta essere radicalmente diversa da quella che concepisce un Dio Padre extra-cosmico che crea il mondo dal nulla e che pare non occuparsene granché. Nel caso della Dea Madre, la stessa terra su cui poggiamo i piedi è una Sua forma viva e va quindi trattata con il massimo rispetto possibile. E l’uomo, in questa prospettiva, appare come uno dei tanti esseri viventi, né superiore né inferiore alle altre forme di vita ospitate nel grembo di Madre Terra.»
G.: «Effettivamente, siamo lontani dal Dio biblico che, nella Genesi, consegna la terra all’uomo dandogli il predominio sugli uccelli del cielo, sui pesci del mare e sulle bestie che camminano sulla terra!»
T.: «Appunto. Vedere Madre Terra come una forma della Dea genera spontaneamente un atteggiamento di rispetto verso tutte le forme viventi, siano esse animali, vegetali o minerali. E questo è solo il punto di partenza — si arriva infatti a vedere la nostra Terra come un luogo di realizzazione e di manifestazione progressiva degli infiniti poteri della Divinità stessa. E tutto ciò risulta in aperta controtendenza rispetto al mondo visto come una valle di lacrime o come un luogo di espiazione o, addirittura, come un pianeta da depredare e inquinare senza scrupoli. L’atteggiamento di dominazione antropocentrica si è rivelato devastante per questo pianeta e per tutti i suoi abitanti, uomini compresi. È tempo di cambiare radicalmente il nostro modo di rapportarci con il mondo, modificando i nostri modelli comportamentali in modo drastico. Umanamente non abbiamo alternativa.»
G.: «Scusa se ti faccio divagare un poco, ma questo argomento mi coinvolge particolarmente: si può rilevare un qualche riferimento allo specismo nel tuo discorso?».
T.: «Sì. Oggi si incomincia giustamente a condannare, accanto al razzismo e al sessismo, anche lo specismo, ovvero la sciagurata tendenza umana a considerarsi la specie eletta, che può quindi permettersi qualunque tipo di prevaricazione e di violenza nei confronti delle altre specie viventi. È un’assurdità che non può più essere tollerata.»
G.: «E tutto questo, nello spettacolo Anima Mundi, immagino che verrà affrontato con il tipico linguaggio teatrale.»
T.: «È ovvio che nulla di tutto ciò traspare in modo esplicito nel corso della rappresentazione. Ogni considerazione di questo tipo viene lasciata al singolo spettatore, che è libero di trarre le conseguenze che vorrà. Il linguaggio teatrale non può essere didascalico, altrimenti cadrebbe nella retorica più becera, che è quanto di più lontano possa esistere dall’arte. Il linguaggio teatrale è un linguaggio artistico. Nel corso di questa rappresentazione, come dicevo all’inizio, verrà messo in scena il rapporto vivo intercorrente tra la Grande Dea (interpretata da una danzatrice di prim’ordine come Gaia Scuderi) e l’anima- della-terra, in un interscambio continuo tra fisicità coreutica e fisicità attoriale che, nelle mie intenzioni, vorrebbe arrivare a mostrarsi talmente coinvolgente da affascinare tutti gli spettatori che vi assisteranno. Per il resto, credo che uno spettacolo teatrale debba essere un po’ come una fiaba per adulti: ciascuno può trovarci quello che vuole o che è in grado di recepire — e ogni interpretazione o lettura che ne scaturisce, resta valida per chi la esprime.»
G.: «Bene, Tommaso. Grazie e… in bocca al lupo!»
Aggiungiamo in conclusione a questa intervista che, qualche giorno dopo, a rappresentazione avvenuta, abbiamo ricevuto la seguente lettera da parte di Donatella Angelini, una delle organizzatrici del festival in cui lo spettacolo ha debuttato, nonché responsabile dell’associazione Soham — ecco le sue parole:
«Caro Tommaso, ti confermo le numerose testimonianze positive ricevute circa lo spettacolo Anima Mundi, in particolare dal pubblico femminile, ma non solo. A me è arrivata al cuore un’emozione intensa e forte, la purezza e forza del femminile ormai soffocato nelle donne stesse, la sensualità nella sua purezza e autentica potenza. La danzatrice è veramente unica, la cantante ha incantato tutti — in quello scenario meraviglioso di luce verso il lago, la voce si elevava in uno spazio puro assieme al sospiro della nostra anima; la maestria e intensità della musica ha coronato in modo eccelso la recitazione e la poetica. Grazie da parte di tutti. Come l’avevi descritto, uno spettacolo unico, diverso dagli schemi convenzionali separatori di concerto, teatro, canto e danza.»