ALHAJA

— una chitarra unica —


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Non è soltanto il tocco
ma il modo in cui le corde son toccate
che evoca i sussurri dello spirito.

’Tis not the touch alone but manner of the touch
That call the murmuring spirit forth.

Sri Aurobindo
(Vasavadatta, IV.II)


La chitarra classica accompagna Tommaso Iorco dall’età di dodici anni. E lo accompagna anche in diversi spettacoli, affiancando musicisti come il violoncellista Marco Testori o il compositore Gianfranco Franzoni. Ma KALIGONE è il primo recital interamente dedicato a questo strumento (oltre che alla poesia, suo primo e intramontabile amore).

Chi si intende di musica sa bene che gli strumenti di alta liuteria possiedono una loro anima (Andrés Segovia, fra gli altri, non avrebbe mai permesso a nessuno di mettere le mani sulla propria chitarra, mentre gli strumentisti indiani vedono nel loro strumento una effettiva incarnazione di Sarasvati, la dea dell’arte, con tutto il conseguente rispetto che ne deriva). Risulta perciò impossibile non soffermarsi sulla magnifica Alhaja, la chitarra costruita appositamente per Tommaso Iorco dal liutaio Luigi Locatto su modelli tardo-ottocenteschi.
Convinto sostenitore della scuola spagnola — che armonizza mirabilmente, fra le altre cose, i bassi con i cantini—, Locatto (che non a caso è stato a bottega in Spagna prezzo i Ramirez) realizza chitarre aventi un diapason in Mi bemolle, diversamente dai moderni liutai che le costruiscono in Sol o, talvolta addirittura, in La. Il risultato che ne scaturisce è una voce meno squillante, a tutto vantaggio di una vasta gamma di colorazioni timbriche che viceversa viene irrimediabilmente perduta.
Le chitarre Locatto, suonate da alcuni fra i più grandi chitarristi viventi (e non soltanto quindi da appassionati dilettanti come Tommaso Iorco — uno dei chitarristi più affezionati a questo mastro liutaio è Stefano Grondona, che da qualche tempo ha deciso di suonare esclusivamente su chitarre Locatto), sono realizzate con legni pregiati meticolosamente selezionati (per qualità e stagionatura naturale), posseggono una potenza di suono ragguardevole (pur se inferiore a quelle di impianto più ‘moderno’), una eccellente corposità e un’ottima resa acustica; la proiezione dei bassi risulta piena e profonda, i cantini hanno una voce limpida, dolce e fluida che, legata ai bassi nel modo in cui si cennava, crea estremo pathos.
Locatto, chitarrista egli stesso (piemontese, ha insegnato per anni presso il Conservatorio di Alessandria, per poi dedicarsi alla liuteria e, in 25 anni di attività, vanta la realizzazione di circa 250 chitarre sparse per il mondo), ha voluto esaminare attentamente la tecnica, le caratteristiche fisiche (la diteggiatura e, anche, più in generale, le mani) e l’espressività di Tommaso Iorco, prima di dedicarsi alla costruzione di Alhaja, sul modello ‘García’, appositamente per lui. Inutile dire che il prodotto è interamente artigianale e che per la lucidatura si è avvalso unicamente di una resina completamente naturale (la ‘gommalacca’, realizzata da insetti che vivono in alcune foreste dell’India), per non aggredire il legno e non svilirne la vitalità e la sonorità.
Il piano armonico è in abete, mentre la cassa di risonanza è in palissandro rio jacaranda (una qualità particolarmente pregiata proveniente dalle foreste brasiliane), che costituiscono in assoluto i legni migliori per la realizzazione di una chitarra classica [per maggiori informazioni sulla storia, la letteratura e la liuteria chitarristica, vai al seguente link: chitarra classica]. Perfino la tastiera (generalmente in ebano, legno nero e resistente, particolarmente adatto per essere pigiato con forza senza consumarsi, seppur le sue caratteristiche di pesantezza e durezza non sarebbero propriamente ideali per una chitarra) è stata realizzata con jacaranda (opportunamente verniciato di nero), proprio sull'esempio del liutaio García, il quale volle introdurre questa variante come ulteriore nota di pregio. Lo strumento, particolarmente riuscito per ammissione stessa del suo costruttore, è in grado di produrre una ricchissima tavolozza armonico-timbrica.

Ma facciamo un passo indietro per approfondire, sia pur sommariamente, la tecnica liutistica con cui questo strumento è stato realizzato. Abbiamo accennato al fatto che il modello è ‘García’. Enrique García (1868 - 1922) fu un celebre liutaio andaluso; figlio di Juan García (costruttore di chitarre e mandolini), dopo aver appreso il mestiere dal padre andò a perfezionarsi presso i laboratori madrileni di Manuel Ramírez, sebbene le sue chitarre debbano molto pure a Antonio Torres, il cui sistema di incatenatura egli studiò a fondo (e fece suo) quando il compositore Francisco Tárrega gli portò la propria chitarra a riparare, costruitagli proprio da Torres. García ebbe in tal modo l’opportunità unica di confrontarsi con le migliori scuole di liuteria chitarristica spagnola nel periodo di massimo splendore; quindi, intorno al 1890, andò ad aprire il proprio atelier in una città come Barcellona, dove esisteva una solida tradizione di liuteria basata su un’altra scuola ancora, in debito più con la pratica francese che con quella spagnola. García portò in questa città le tecniche apprese da Ramirez e da Torres, assorbendo al tempo stesso alcuni influssi catalani. René Vannes, nel suo Dictionnaire Universel des Luthiers, nota che «Gli inizi in questa città furono difficili, ma presto García divenne famoso in Europa e sud America, e nel suo paese fu considerato come lo Stradivari della chitarra.» Nel 1893 vinse il primo premio alla Chicago Exhibition, la più prestigiosa fiera internazionale di liuteria dell’epoca.
Forte di una simile tradizione di ineguagliabile eccellenza, Luigi Locatto, nel costruire con scrupolosissima fedeltà le chitarre d’epoca secondo il modello di questo impareggiabile “Stradivari della chitarra”, ne segue la tecnica costruttiva perfino in tutti i dettagli esteriori, mostrando chiaramente lo stile della rinomata liuteria di tradizione madrilena. Ma, essendo García di origini andaluse, Tommaso Iorco ha chiesto la realizzazione di determinati dettagli, come il meraviglioso disegno del rosone e la bella e ampia spigatura del bordo della tavola armonica (resi possibili grazie alla pazienza laboriosa e alla grande perizia costruttiva di Locatto) su un preciso modello andaluso da lui stesso indicato, con la felice aggiunta di due bottoni in madreperla sul ponticello, secondo il gusto francese che la liuteria catalana, come si diceva, assorbì. Ne risulta un esemplare ancora più unico, dove i vari influssi convivono in una unità armonica di singolarissimo pregio.

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E ora veniamo al nome della chitarra, dato da Tommaso sulla stregua dei cavalieri medioevali che conferivano un nome alla propria spada e la consideravano dotata di vita propria e di magico potere.
Il nome Alhaja, in spagnolo — mutuato dall’arabo — significa ‘gioia’ (non è certo un caso se la Musa della musica si chiama Euterpe, che in greco significa per l’appunto ‘gioia’) e, al tempo stesso, ‘oggetto prezioso’ (sanscrito alakàra; mentre Alaka è il luogo dove dimorano i divini musicisti Gandharva, ma è anche il nome della città del dio Kubera; infine, alaka identifica una capigliatura riccia e pertanto non poteva esserci un termine più appropriato per lo strumento suonato da Tommaso!).

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In ogni caso, al di là di questi aspetti estetici e nominalistici, certo non trascurabili, la vera eccezionalità dello strumento sta nella sua acustica, nel suo timbro morbido e avvolgente, nella sua vibrazione unica, come solo uno strumento artigianale realizzato con amore e passione è in grado di produrre.
Davvero, quando si ha la ventura di ascoltare dal vivo la vibrazione sonora di strumenti simili, si capisce a fondo quanto abbia senso parlare dell’ANIMA di uno strumento musicale e quanto questa espressione non sia per nulla un artificio retorico appartenente al linguaggio figurato, ma corrisponda a qualcosa di vivo e di reale. E la simbiosi, l’empatia profonda che si crea fra uno strumentista e il proprio strumento è comprensibile solo da chi ne ha vissuto l’esperienza — viceversa, apparirebbe esagerato e delirante se un esecutore confidasse di avere instaurato con il suo strumento quella reciproca intesa che è tipica di un bel rapporto d’amore.

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