L’ARCHEOACUSTICA
UNA DISCIPLINA EMERGENTE
- a cura del CENTRO STUDI arya -
Gli uomini della più remota antichità dovevano essere dotati di un intelletto e di una sensibilità davvero particolari... E “l’archeoacustica” inizia a metterlo in evidenza.
L’archeoacustica è una nuova disciplina che si sta rivelando particolarmente importante per capire le reali funzioni di determinati siti archeologici, come pure di alcuni antichi manufatti.
Fino a pochi anni fa, l’archeologia si era concentrata primariamente sull’aspetto più concreto dei reperti archeologici (strutture architettoniche, reperti, caverne...), ovvero la loro componente fisica più materiale.
Nel 2003 Chris Scarre della Durham University e Graeme Lawson del MacDonald Institute di Cambridge hanno realizzato un libro, intitolato Archaeoacoustics, che rappresenta la prima pubblicazione in questo specifico ambito. Il libro indaga sul ruolo che il suono ha avuto nel passato, dall’antichità più remota fino al XIX secolo. Si è infatti scoperto che alcune antiche costruzioni (tombe megalitiche, caverne dipinte risalenti al paleolitico, siti archeologici vari, chiese romaniche) possiedono qualità sonore molto particolari che hanno spinto i ricercatori a indagare sulle possibili motivazioni che ispirarono i loro costruttori. Alcuni complessi archeologici, infatti, erano stati costruiti con ogni evidenza per eliminare quanto possibile i rumori esterni, creando in tal modo un isolamento che permettesse di esaltare al massimo la particolare dimensione sonora ottenuta all’interno.
Altri due ricercatori, Rupert Till della Huddersfield University e Bruno Fazenda della Salford University, hanno preso ad approfondire l’acustica di Stonehenge, mentre Aaron Watson ha deciso di allargare i propri studi anche su alcune camere mortuarie dell’antichità.
Il dipartimento dell’istituto archeologico tedesco (Deutsches Archäologisches Institut, Orient-Abteilung) è particolarmente interessato a queste ricerche e ospita al suo interno un team di esperti intenti a studiare l’archeologia musicale, operando in collaborazione con il dipartimento di etnomusicologia del museo etnologico di Berlino.
Inizialmente, negli anni Sessanta, alcuni studiosi avevano cercato di rintracciare eventuali fenomeni acustici “registrati” in determinati manufatti. Partendo dal presupposto che alcuni vasi di terracotta potessero essere “leggibili” come se si trattasse di un disco in vinile con i suoi solchi, si cercò di catturare i suoni emessi durante la costruzione di quei manufatti. Ma la ricerca, per quanto affascinante, è stata quasi completamente abbandonata, non avendo prodotto finora alcun risultato soddisfacente che mostri una evidenza scientifica di qualche rilievo.
Qui, invece, si entra in un dominio di prove certe, tese a dimostrare senza possibilità di dubbio che alcune strutture monumentali della storia e della preistoria sono state costruite al preciso scopo di manipolare l’acustica in modo da produrre suoni tesi a esercitare ben determinati effetti sulla mente. Pertanto, la disciplina ha raggiunto un pieno riconoscimento ufficiale e si sta ora cercando di portare l’indagine a livelli più ampi e approfonditi.
Si ritiene anzitutto che alcuni suoni, nel passato, celassero magia e recassero significati sacri, perché si dava credito alla comunicazione con il divino o con i regni dell’aldilà. È quindi diventata sempre più certa l’ipotesi che in passato le costruzioni architettoniche sacre ponessero particolare enfasi al modo in cui poter trattare i suoni.
A quanto pare, infatti, gli antichi erano riusciti a sfruttare la superficie delle pietre per ottenere degli effetti sonori molto particolari. Per esempio, gli studi a Stonehenge dimostrano chiaramente che tutto ciò che veniva proferito all’interno del cerchio, poteva essere udito in modo chiaro e limpido in qualsiasi altro punto dell’area.
E, oltre a Stonehenge, esistono parecchi altri siti archeologici che stanno rivelando sonorità eccezionali. La ricerca, infatti, si è presto estesa a diverse altre strutture monumentali, dislocate in aree geografiche piuttosto distanti fra loro: Irlanda, Malta, Turchia, Perù... Particolarmente degno di nota si rivela il sito Maya di Chichén Itzà, in Messico, ove è possibile udire un suono di volume medio emesso a 166 metri di distanza in modo chiaro, mentre alla stessa distanza è impossibile distinguere visivamente una persona in modo chiaro.
Gli studiosi dicono che tutto dipende dal nostro cervello, il cui emisfero destro può subire delle asimmetrie causate da particolari stati emotivi.
Così, nel 2008 è iniziato uno studio (tuttora in corso) sull’imponente complesso conosciuto con il nome di Hal Saflieni Hypogeum, sull’isola di Malta e risalente a 6.000 anni fa, comprendente lunghi corridoi e camere dalla particolare struttura arcuata. L’unicità di questo complesso deriva dal fatto che è sotterraneo, creato mediante la rimozione di qualcosa come duemila tonnellate di pietra mediante un lungo e paziente lavoro di scavo. Flebili emissioni vocali sono in grado di creare, all’interno di quelle strutture, strani effetti eco e misteriosi riverberi; al punto da spingere alcuni scienziati a suggerire che alcune vibrazioni sonore create entro quelle mura di pietra siano in grado di produrre delle alterazioni nella funzione della percezione cerebrale del cervello umano. E, per verificare la fondatezza di tali supposizioni, sono stati effettuati una serie di monitoraggi su un gruppo di volontari (individui mentalmente sani) sottoposti all’esposizione di frequenze vibratorie prodotte in quelle cave. Lo studio (realizzato dalla Old Temples Study Foundation) rivela che «a 110 Hertz l’attività della corteccia cerebrale parafrontale subisce una improvvisa alterazione, producendo una disattivazione parziale del centro preposto al linguaggio e a un temporaneo spostamento dall’emisfero sinistro a quello destro relativamente alla sfera emotiva e creativa. Spostamento che non si produce a 90 o a 130 Hz. Oltre a stimolare l’emisfero più creativo, si rileva che in una atmosfera di suoni risuonanti alla frequenza di 110 o 111 Hz si “accende” un’area nel cervello in qualche modo connessa alle emozioni, all’empatia e alla socializzazione. Consapevolmente o meno, coloro che si raggruppavano all’interno di un simile ambiente, in presenza di un uomo di sesso maschile dotato di voce particolarmente grave (che si suppone eseguiva canti rituali o, più semplicemente, parlava), si esponevano a vibrazioni capaci di esercitare effetti molto particolari sulla loro psiche» (Linda Eneix, “The Ancient Architects of Sound”, Popular Archaeology Magazine, vol. 6, marzo 2012).
Già nel 1994 una équipe di studiosi dell’università di Princeton aveva scoperto che nelle stanze presenti in alcuni siti megalitici (Newgrange in Irlanda e Wayland’s Smithy in Inghilterra) si producevano alcuni effetti acustici assai speciali: una forte risonanza (detta tecnicamente “standing wave”) nella gamma vibratoria compresa fra i 90 e i 120 Hz. Così testimonia la stessa Linda Eneix: «Quando ciò si produsse, i suoni che udivamo erano percepiti in modo distorto e misterioso, con una rilevazione che variava in base alla dimensione della stanza e della qualità della pietra.»
Le più recenti scoperte archeoacustiche mostrano che in un antico centro cerimoniale peruviano, il Chavín de Huántar, risalente a 3.000 anni fa, era presente una raffinatissima conoscenza della manipolazione del suono in relazione all’architettura, concepita per produrre ben determinati effetti sonori capaci di alterare le percezioni sensoriali. Con l’ausilio di conchiglie sonore, l’oracolo produceva effetti “magici” sul suo uditorio. Miriam Kolar, della Stanford University, ha presieduto agli studi e afferma che «a Chavín, abbiamo rilevato evidenze acustiche di una trasmissione selezionata di suoni fra il monolito Lanzon e la piazza circolare: un sistema acustico-architettonico in grado di filtrare frequenze sonore prodotte dalle pututus [conchiglie sonore] e dalla voce umana» (“Magic Sounds of Peru's Ancient Chavín de Huántar”, Popular Archaeology Magazine, vol. 5, Dicembre 2011). Ricordiamo che il “Lanzon” è una statua sacra che raffigura la divinità principale dell’antica cultura Chavín; è collocata in una stanza sotterranea e un sofisticatissimo condotto acustico la collega alla piazza circolare di cui si accenna nell'articolo, che è uno spazio all’aperto dove si svolgevano determinate attività cerimoniali.
Sempre più frequentemente, ci si accorge che nella più remota antichità dovevano esservi conoscenze raffinatissime e, se studiate con la necessaria pazienza e umiltà, potrebbero avere molto da insegnarci. Fino a qualche decennio fa, l’errore principale è stato quello di voler paragonare quelle culture alla nostra e, non rintracciando alcuna complessa tecnologia (perfino nella costruzione delle grandi piramidi egizie non si rileva l’uso di macchinari particolarmente sofisticati), relegarle a una dimensione primitiva o selvaggia. Oggi iniziamo a comprendere che quei selvaggi potrebbero avere sviluppato alcune linee di ricerca che l’attuale uomo “civilizzato” ha scartato e che dovrebbero invece essere integrate alle proprie conquiste. A partire dal senso segreto del Rig-Veda, capace a nostro avviso di gettare qualche luce significativa sulla spirale evolutiva della coscienza umana e terrestre.
Marzo 2012